Per gli enti parco, il ministro ha confermato azioni già previste in passato come il monitoraggio della biodiversità e dei servizi ecosistemici, l'impatto degli ungulati sulla biodiversità, la gestione del cinghiale e la convivenza con il lupo, gli uccelli quali indicatori di biodiversità, il monitoraggio e la conservazione degli uccelli migratori, lo studio degli ambienti umidi e la conservazione della lepre italica e della lontra.
Galletti però ha chiesto ai parchi anche altre azioni tra cui l'analisi del legame tra biodiversità e cambiamenti climatici, lo studio degli insetti di valore conservazionistico e delle loro interazioni con specie fitopatogene e lo studio delle api come bioindicatori della qualità ambientale.
Un interesse, quello dell'uso delle api come indicatori della qualità ambientale, che fa seguito a un progetto già realizzato dal ministero dell'Ambiente alcuni anni fa, che ha valutato lo stato di salute degli alveari nei parchi.
Il progetto, denominato Apipark, iniziò nel 2009 sotto i coordinamento dell'Ispra, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, il braccio operativo del ministero dell'Ambiente nel campo della ricerca.
Un progetto vide coinvolti sul campo quattro enti di ricerca: il dipartimento di Scienze veterinarie dell'Università di Pisa, il dipartimento di Scienze e tecnologie agroambientali dell'Università di Bologna, l'Izs delle Venezie e l'Izs Lazio e Toscana per lo studio di alveari in cinque aree protette: il parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi in Veneto, il parco dei gessi bolognesi e dei calanchi dell'Abbadessa in Emilia Romagna, il parco di Migliarino Sanrossore e Massaciuccoli in Toscana, la riserva naturale statale del litorale romano e il parco dei Monti Simbruini, nel Lazio.
L'obiettivo in quel caso fu lo studio delle condizioni di salute degli alveari confrontando apiari situati in aree agricole all'interno delle aree protette e apiari situati in zone naturali o a riserva integrale.
Lo studio, come riporta la relazione finale dell'Ispra, non mostrò differenze significative tra lo stato di salute e la mortalità delle api nelle zone agricole e in quelle naturali, indicando come buone pratiche agricole e la consapevolezza da parte degli agricoltori siano compatibili con l'attività apistica.
Questo progetto confermò invece la capacità delle api di 'captare' anche piccole quantità di contaminati, come metalli pesanti e residui di fitofarmaci, ritrovandole nei prodotti dell'alveare o nelle api stesse. Contaminanti che alle quantità ritrovate nello studio non costituivano un pericolo per le api, ma dimostravano la sensibilità e la versatilità di questi insetti come indicatori ambientali.
Caratteristiche che ora il ministro chiede di rimettere in campo per valutare lo stato della qualità ambientale delle aree protette.