Buon anno e ben ritrovati! Vi propongo di iniziare il 2025 con un riassunto retrospettivo sull'evoluzione del settore del biogas in Italia. Dopo l'entusiasmo iniziale fra il 2010 e il 2015, l'interesse delle aziende agricole nella digestione anaerobica si è molto affievolito. Un po' perché gli adempimenti amministrativi e l'azione dei "comitati del no" sono sempre andati in aumento, mentre gli incentivi tariffari sull'energia prodotta sono andati in calo; ma burocrazia e politica non sono l'unica causa.

 

In linea di massima, un impianto di biogas dovrebbe essere sempre redditizio a prescindere dagli incentivi tariffari, altrimenti come si spiega che nel mondo esistono oltre 40 milioni di piccolissimi impianti, perlopiù privi di ogni tecnologia, in funzione malgrado non ricevano alcun tipo di sovvenzione statale? Eppure, osserviamo un calo del numero di impianti costruiti ogni anno, e inoltre alcuni che sono stati chiusi o che operano a regime ridotto, e molti imprenditori si lamentano di non avere raggiunto la redditività attesa.

 

Ecco dunque un'analisi critica di quali siano le cause di tali insuccessi, almeno quelle tecniche. Per ovvie ragioni di privacy, il contenuto di questo articolo sarà generico, senza riferimenti a casi o situazioni riscontrate sul campo.

 

La due diligence e la Valutazione di Impatto Ambientale non garantiscono il successo

Nel mondo finanziario si conosce come due diligence il protocollo di valutazione che le banche applicano per decidere il finanziamento di un progetto d'investimento. In ambito amministrativo, la Valutazione di Impatto Ambientale (Via) serve a valutare tutti i rischi che un'opera può rappresentare per l'ambiente e le persone.

 

Il motivo per il quale alcuni progetti di digestione anaerobica finiscono per fallire, o comunque non raggiungono le redditività attese, è che tali procedure si concentrano su aspetti finanziari e amministrativi assumendo che i presupposti di calcolo e le scelte progettuali siano corretti. Cosa che, almeno nella mia esperienza professionale, raramente si verifica.

 

Come più volte ribadito in altri articoli, per trarre conclusioni valide tutti i presupposti devono essere veri. Conclusioni basate su presupposti falsi, però, a volte possono rivelarsi vere, ma per puro caso. E questo spiega perché la maggioranza degli impianti funzioni malgrado abbia grosse carenze progettuali e venga gestita con metodi piuttosto approssimativi (si vedano "Ridimensionando l'importanza del test Fos/Tac" e "La conducibilità elettrica del digestato è inaffidabile per la gestione dell'impianto di biogas").

 

Ma vogliamo davvero lasciare al caso la redditività di un investimento importante come un impianto di digestione anaerobica?

 

Alcuni motivi degli insuccessi

La seguente lista non pretende di essere esaustiva, ma riflette le situazioni più frequenti di sofferenza, e perfino di fallimento, dei progetti di digestione anaerobica italiani:

  • Pregiudizi cognitivi e valutazioni superficiali degli investitori. Il motivo per il quale uno psicologo vinse il premio Nobel di Economia 2002 è per aver catalogato i pregiudizi e le scorciatoie mentali nei processi decisionali degli investitori. In altre parole: le decisioni finanziarie raramente sono razionali. Questo aspetto è stato ampiamente discusso in altri articoli sulle cause dei fallimenti dei progetti di coltivazione di bambù (si vedano "Il punto della situazione sulla bolla speculativa del bambù" e "Bambù: guadagni mancati e nuove speranze nei crediti di carbonio"). Tali situazioni si verificano più spesso quando gli investitori non sono imprenditori agricoli e quindi assumono fatti che un vero agricoltore o allevatore valuterebbe molto attentamente. L'esempio più ricorrente nei progetti di biogas portati avanti da gruppi di capitali: assumere che si possa comprare qualsiasi quantità di sottoprodotti in qualsiasi momento e al prezzo ipotizzato nel business plan.
  • Pregiudizi cognitivi e valutazioni superficiali di progettisti e promotori. Negli ultimi quindici anni molte aziende si sono proposte come progettiste e costruttrici di impianti di biogas, per fallire poco dopo. Il fatto che un soggetto sia stato in grado di progettare e costruire un impianto fotovoltaico o un manufatto in calcestruzzo non garantisce che sia capace di progettare, e soprattutto di far funzionare, un digestore.
  • Non adottare la norma UNI 10458 in fase di redazione del contratto. Detta norma non garantisce di per sé il successo di un progetto, ma è una valida linea guida per minimizzare i rischi e contrattualizzare quali sono gli obblighi e i diritti di ogni parte coinvolta.
  • Redigere i business plan su dati di produttività "da letteratura". Il potenziale metanigeno (Bmp) delle biomasse non è una "costante universale" che si può prendere da un manuale (si vedano alcuni esempi come "Biogas da pollina" e "L'imprevedibile Bmp delle sanse"). Si possono utilizzare dati di Bmp medio per uno studio preliminare di fattibilità, ma poi tali dati vanno misurati su campioni delle biomasse effettivamente disponibili sul posto e, una volta accertato il Bmp individuale, si deve comprovare anche il Bmp della miscela, che non sempre è la somma proporzionale dei Bmp individuali.
  • Non fare un'indagine preliminare per identificare la fonte di inoculo anaerobico più adatta per l'avviamento dell'impianto. L'attività biologica del digestato utilizzato per avviare l'impianto incide direttamente sul Bmp delle biomasse in alimentazione, quindi sulla produttività di energia (si veda ad esempio questo articolo). La durata della fase di avviamento, e quindi il costo del gasolio per il riscaldamento del digestore e il mancato guadagno per impianto non ancora produttivo, dipendono in primis dall'Attività Metanogenica Specifica (Sma), che non è la stessa per tutti gli impianti (si vedano "Come selezionare l'inoculo per l'impianto di biogas - I Parte", "Come selezionare l'inoculo per l'impianto di biogas - II Parte" e "La selezione dell'inoculo per l'impianto di biogas - III Parte").
  • Adottare dati di Bmp misurati con metodi non biologici. Esiste un forte pregiudizio culturale a favore della norma tedesca VDI 4630 da parte di costruttori di impianti, consulenti aziendali, banche e - in alcuni casi - anche degli enti pubblici che devono valutare il progetto. Il pregiudizio - assolutamente infondato! - che la norma tedesca garantisca i risultati più attendibili condiziona le scelte progettuali durante i processi di due diligence. La stessa presenta numerose lacune (si veda "Focus critico sulla norma VDI 4630/2014 - II Parte") e perfino errori di logica (ad esempio ipotizzare che il Bmp si possa calcolare con una formula a partire da analisi di laboratorio applicabili solo per l'industria mangimistica).
  • Assumere che ciò che funziona o ha funzionato altrove possa funzionare ugualmente in un determinato contesto. Vi suona la frase "In Germania ci sono mille impianti uguali che vanno benissimo"? O al contrario: "In Germania non si è mai visto, quindi non può funzionare".
  • Assumere che i risultati ottenuti in passato in un dato impianto si verificheranno anche in futuro. Esistono tanti motivi per i quali la produttività dell'impianto può variare nel tempo anche se apparentemente "abbiamo sempre fatto così e ha sempre funzionato":
     • gli impianti "invecchiano" perché si formano depositi di sedimenti e/o "cappello" galleggiante, per cui il volume di digestione si riduce e quindi la digestione non è completa e la produzione energetica cala;
     • la qualità delle biomasse varia nel tempo (siccità, troppe piogge, contaminazione con aflatossine, stato di salute e dieta degli animali da allevamento);
     • diversa qualità delle partite di sottoprodotti da diversi fornitori (perfino casi di truffa);
     • variazioni stagionali della qualità delle biomasse (umidità, ossidazione, proliferazione di muffe);
     • fattore umano (personale più o meno addestrato o diligente);
     • riduzione graduale della Sma dell'ecosistema batterico (ad esempio, per troppo ricircolo di digestato e accumulo di sali, deficit di qualche macro o micronutriente, eccesso di dosaggio di qualche "booster").
  • Scelta sbagliata della tecnologia di digestore e della dieta. Secondo la norma UNI 10458 esistono cinque tipologie diverse di digestori, ciascuna con più varianti. Ogni tipologia risulta ottimale per un determinato ventaglio di biomasse, ma non esiste un digestore che vada bene per tutti i contesti. I costruttori di impianti in genere hanno un loro modello standard che adattano a casi diversi. Ma ci sono casi in cui il "copia e incolla" da progetti precedenti semplicemente non ha senso.
    Esempi tipici:
     • gli impianti di potenza inferiore a 200 kW costruiti sul modello di un impianto da 1 MW (digestore e agitatori sovradimensionati inutilmente per pura convenienza di gestione acquisti del costruttore, quindi maggiore costo di costruzione e maggiore costo operativo per l'acquirente);
     • impianti di digestione a umido per un mix di biomasse avente oltre il 15% di sostanza secca: tali impianti richiedono acqua di diluizione, ma l'accesso alla risorsa idrica può essere un problema in alcune regioni o durante periodi di siccità prolungati;
     • impianti alimentati a insilati senza aggiunta di deiezioni zootecniche (invecchiamento e perdita di biodiversità dell'ecosistema batterico, che rende il digestore più vulnerabile ai cambiamenti di dieta o alle inibizioni impreviste).
  • Componenti "griffati": acquistare i componenti principali (cogeneratore, pompe, sistema di alimentazione) da aziende ritenute "prestigiose" rappresenta sicuramente un maggiore costo iniziale ma non garantisce il successo dell'investimento. Oltre al costo di acquisto, anche i ricambi saranno più cari e i tempi di fermo impianto in attesa della visita del "tecnico autorizzato" potrebbero diventare troppo lunghi. Si veda un caso di successo di un impianto "fai da te" progettato per essere puramente funzionale all'azienda agricola con la massima flessibilità operativa, senza dipendere da fornitori unici.
  • Sovradimensionamento non necessario. Alcuni costruttori tendono a sovradimensionare il volume di digestione nella credenza che ciò renda più efficiente l'impianto. Ma dimensionano il sistema di alimentazione al minimo, secondo la "loro" dieta standard. Risultato: quando le contingenze del mercato o la stagionalità rendono conveniente utilizzare biomasse di minore qualità ma gratuite, il sistema di carico non è in grado di alimentare il digestore con il maggiore volume diario necessario.
  • Incompetenza del gestore o del "biologo". In Italia ci troviamo davanti al paradosso che l'operaio che utilizza un cestello elevatore o un muletto deve avere un patentino, ma per gestire un sistema complesso come un impianto di biogas non è richiesto alcun titolo. Non è una colpa essere ignorante, ma quando l'ignoranza è abbinata alla presunzione di sapere, il fallimento è inevitabile.

 

Cause esterne

Talvolta il fallimento dei progetti di biogas è una pura questione di sfortuna. Nessun business plan può prevedere liti fra investitori, l'ottusità - o malafede - di qualche funzionario affine ai "partiti del no" che porta a lungaggini burocratiche e perfino contenziosi, il commissariamento o il fallimento della banca che ha erogato il mutuo. Ma tutte le altre cause possono e devono essere evitate, basta applicare il metodo scientifico e il motto della Royal Society Nullius in verba (non fidarsi delle parole di nessuno), cioè richiedere sempre prove e controprove.