Ci risiamo: si riparla di Bio e una volta di più lo si fa in termini tutt'altro che apologetici. Quando un business cresce molto velocemente attrae infatti attenzioni di tutti i tipi, comprese quelle di scettici impenitenti - come certi giornalisti del settore - ma anche di media generalisti che parlando di agricoltura non è che proprio proprio si siano sempre distinti per competenza e obiettività.

Sia come sia, e fatto salvo che i media generalisti vanno sempre presi con le pinze, un dato resta certo: la puntata di Report del 14 dicembre, condotta da Milena Gabanelli, ha lasciato il segno accendendo polemiche di fuoco su entrambi gli schieramenti che da tempo si fronteggiano sul Mondo Bio.
Già, perché i fronti, piaccia o meno, sono per lo meno due: quello degli apologeti del biologico a tutti i costi e quelli che ritengono il Bio un fenomeno che spazia dal discutibile al farlocco.
In mezzo, boccheggia un popolo spesso inconsapevole che viene condotto ove la pubblicità più accattivante lo induce poi ad aprire il borsellino e a cacciare denari per soddisfare bisogni.
Veri o soltanto presunti.
Ovvio che in tale clima se si spezza una lancia a favore del Bio, dall'altro schieramento si viene trattati da gonzi che credono ai voli pindarici. Se invece si denuncia con forza qualche sospetto puzzolente che il Bio talvolta emana, ci si becca degli astiosi che fanno tifo da stadio.
L'accusa di essere manutengoli delle "multinazionli che vendono veleni" è però chicca riservata a pochi e quando ciò accade è lecito appendersi tale accuse sulla giacca come vere e proprie medaglie al valore.

Report si, o Report no?


Milena Gabanelli è stata in passato applaudita dal fronte "Eco" quando ha tuonato contro ogm, pesticidi e brevetti, rimediando dall'altro lato accese polemiche di segno opposto. Questa volta è accaduto l'inverso: i detrattori della "Milena Nazionale" l'hanno applaudita (anche se un po' a denti stretti), mentre a scalmanarsi sono stati quelli che di solito l'applaudono. Ma Report, in fondo, cos'ha detto di così sconvolgente? Che è molto sospetto che la media dei quintali per ettaro fra Bio e non Bio sia addirittura a favore dei primi? Che i controlli siano nella quasi totalità solo dei pezzi di carta, bollati e controfirmati, dove i questionari sostituiscono le analisi a sorpresa? Che è impossibile stabilire alla raccolta cosa sia Bio e cosa no, perché di residui non se ne possono trovare in ogni caso?
E la novità, di grazia, dove sarebbe? Peraltro, le testimonianze di Regione Piemonte e Provincia di Vercelli sono state imbarazzanti, restituendo una fotografia del comparto pubblico che manco padroneggia numeri e dimensioni dei fenomeni. I responsabili della Provincia, per lo meno, hanno lamentato la mancanza di dialogo fra Enti, come pure hanno lanciato critiche verso un sistema che di fatto non aiuta per nulla a scoprire i truffatori.
E lavorare sapendo di esser menati per il naso deve essere parecchio frustrante per chi al proprio lavoro ci tenga e lo voglia far bene. Infatti, analisi effettuate a fine luglio o ad agosto, su piante e radici, quali residui di erbicidi potranno mai rivelare?  Nessuno. Un po' come analizzare un ciclista trionfatore di una grande gara, ma un mese dopo la vittoria.
Della serie: non li si prende perché non c'è affatto volontà di prederli.

Un po' di numeri


Il riso bio viene pagato fra il doppio e il triplo di quello normale. Non stupisce quindi che l'azienda intervistata nella puntata all'oggetto sostenga serenamente di starci dentro alla grande. Mette a riposo parte dei terreni, in modo da sconpensare le malerbe acquatiche, e così risparmia quasi 90 mila euro all'anno di sostanze chimiche. Raccoglie magari un terzo, visto che molti ettari sono lasciati improduttivi e i quintali raccolti da quelli a dimora alla fine sono solo 35 anziché 70, ma il riso gli viene pagato il triplo. Quindi alla fine l'incasso è uguale. Solo che i 90 mila euro risparmiati son rimasti in banca anziché andare ai rivenditori di mezzi tecnici. 

Fantastico? Mica tanto. Innanzitutto, se l'intera risicoltura nazionale facesse come quell'azienda, di risotti Made in Italy se ne potrebbe fare più o meno un terzo degli attuali. Gli ettari Bio, infatti, sarebbero oggi solo 8.405 contro i 137 mila convenzionali. Il riso Bio sarebbe quindi attualmente coltivato solo sul 5,7% della superficie. Applicando invece all'intera risicoltura la filosofia dell'azienda intervistata, fra terre lasciate a riposo e minori produzioni, si scenderebbe da oltre 940 mila tonnellate a meno di 400 mila. Ai risicoltori andrebbe un gran benone, visti i prezzi.
Ai consumatori molto meno: nei supermercati mancherebbero infatti all'appello oltre 500 mila tonnellate di riso italiano. Quindi, andrebbe di un gran benone anche ai Paesi dell'Estremo Oriente che già oggi esportano allegramente verso l'Italia parte dei loro prodotti. Ai consumatori non resterebbe quindi che scegliere fra due opzioni: la prima prevede di continuare a comprare riso generico, più economico. Nel senso, riso "non aumentato" rispetto a oggi, perché  le Gdo mica abbasserebbero i prezzi anche pagandolo molto meno in Thailandia o in Cambogia. 
Ipotesi due: comprare Bio e pagarlo il triplo. Cosa che - proprio non si vuole capire - se la possono permettere davvero in pochi. Perché mica esiste solo il riso nei piatti degli Italiani e spingere perché la loro spesa diventi tutta Bio, Igp, Dop, KmZero, è una delle più grandi bugerature mediatiche perpetrate ai danni di un'intera nazione.
Quindi, se tutta la risicoltura italiana diventasse Bio ci guadagnerebbero poche migliaia di risicoltori, come pure le solite Gdo, mentre a rimetterci sarebbero tanto per cambiare i consumatori e il sistema Italia in generale.

Per fortuna le cose non sembrano stare in tal modo. Incredibile ma vero, a dispetto dell'azienda intervistata che denuncia produzioni di soli 35 q/ha, la media produttiva delle aziende risicole biologiche si mostra addirittura superiore a quella delle aziende convenzionali: 67,84 q/ha contro 65,6.
Quindi, perché allarmarsi? Fare Bio conviene e non fa perdere un solo chilo di prodotto. Anzi.
Forse - e qui arriverà puntuale l'accusa di faziosità e di astiosità verso il Bio - non si risparmieranno magari quei famosi 90 mila euro di sostanze chimiche, ma coi prezzi che si possono spuntare sul prodotto finale, che saranno mai 90 mila euro?

Quando i controlli non si faranno per lo più sulla carta, bensì andando a pizzicare i gaglioffi mentre diserbano. Quando si proibirà di avere mezza azienda Bio e mezza no (assurdità che grida vendetta al cospetto del Cielo). Quando a trasmissioni come Report seguiranno indagini dei Nas o della Guardia di Finanza, allora forse la fiducia nel riso Bio potrà ritornare a crescere. Dopo aver fatto la debita pulizia.
Fino ad allora, che nessuno abbia l'impudenza di stracciarsi le vesti per quanto emerso su Rai 3, perché per i consumatori Italiani forse era una novità. Per gli addetti ai lavori erano solo segreti di Pulcinella.

PS: indovinello proprio per gli addetti ai lavori. Perché le domande di contributi dei Psr sono bassissime? Perché molti rinunciano, pur essendo certificati Bio, a ricevere i sussidi pubblici previsti per il biologico? Si apra il concorso alla risposta più azzeccata...