Un 'no' forte e chiaro . E' quello arrivato dal presidio indetto martedì scorso a Montecitorio da 14 realtà tra associazioni e cooperative, alla vendita dei terreni demaniali definita dall'articolo 66 del decreto Liberalizzazioni e dal Ddl di conversione del decreto attualmente in discussione alla decima Commissione del Senato.
In piazza Aiab, Alpa, Libera, Slow Food, Ari, Legambiente e i molti altri presenti, non si sono limitati a contestare ma hanno attivamente proposto una soluzione.
Il presidio si è infatti concluso con l'invio di una lettera aperta ai senatori della decima Commissione del Senato recante numerose ed interessanti modifiche all'applicazione dell'articolo 66.
Svendita demaniale
L'articolo 66, la cui finalità dichiarata è quella di ridurre il debito pubblico, ad oggi stabilisce che entro il 30 giugno di ogni anno, il Mipaaf d’intesa con il Mef, individui con decreto di natura non regolamentare i terreni agricoli e a vocazione agricola di proprietà dello Stato e degli enti pubblici nazionali, da destinare ad alienazione a cura dell’Agenzia del demanio.
I terreni dovranno essere non utilizzabili per altre finalità istituzionali e non ricompresi negli elenchi ai sensi del Dgls n 85.
La procedura di vendita contempla una trattativa privata per gli immobili di valore inferiore a 100mila euro o un asta pubblica per quelli di valore pari o superiore a 100mila euro.
Il prezzo base dei terreni è stabilito in considerazione dei valori agricoli medi di cui al decreto DLP n. 327 e la loro destinazione agricola dovrà essere mantenuta almeno per 20 anni.
Con la teorica finalità di favorire i giovani imprenditori agricoli, il legislatore ha loro riservato il diritto di prelazione e la possibilità di accedere ai benefici di cui al Dgls n 185.
Non siamo d'accordo
In completo disaccordo, una porzione molto compatta del mondo agricolo non ci sta.
“Liberalizziamo il diritto d'uso, non la proprietà” sostiene Aiab in un comunicato stampa nel quale esplicita la proposta, concordata con le numerose associazioni che hanno sollevato la protesta di martedì, di concedere in locazione le terre pubbliche.
In considerazione della contingente crisi dell'agricoltura nazionale che oltre ad essere caratterizzata da difficoltà di accesso al credito è stata colpita, negli ultimo 10 anni, da una importante riduzione del numero di aziende (-32,2%) e dalla perdita di 300 mila ha di Sau, nella lettera inviata ai senatori viene richiesto il blocco “dell'inutile alienazione dei terreni agricoli demaniali” oltre al cambiamento dell'impostazione del testo dell'articolo 66.
Convinte della necessità di promuovere l'imprenditoria giovanile e l'ingresso di nuovi operatori nel settore primario, nonché della necessità di garantire la sopravvivenza delle piccole realtà già esistenti nel settore, le associazioni richiedono “la messa in valore di tutte le superfici agricole oggi di proprietà pubblica, tramite contratti di affitto ad equo canone riservati a coltivatori diretti, con priorità a giovani singoli o associati ed ad iniziative di rilevanza sociale”.
In tal modo, fanno sapere, oltre a creare vera nuova occupazione, “l'avvio di attività di produzione agricola porterebbe immediato beneficio alla casse pubbliche” grazie ai canoni di locazione, ai versamenti delle Imposte sul valore aggiunto derivanti dalla vendita di beni e servizi delle attività avviate e al pagamento degli oneri previdenziali per i nuovi lavoratori.
Un gettito costante e consistente alle casse dell'erario derivante da beni che, “assumerebbero valore come strumenti di garanzia patrimoniale per l'eventuale accesso al credito da parte dell'Amministrazione Pubblica o come ulteriore riserva di liquidità da iniettare per investimenti pubblici”.
Vederci chiaro
"Lo Stato manterrebbe il suo ruolo di controllo - spiega Legambiente - a tutto vantaggio della tutela dell'ambiente, del territorio e della biodiversità".
Si tratterebbe di un percorso che, se l'intenzione del Governo è davvero quella annunciata, non presentando alcuna controindicazione, porterebbe solo vantaggi.
Anzi, in questo modo sarebbe anche scongiurato il pericolo di accogliere con un tappeto rosso la criminalità organizzata che mettendo le mani sul patrimonio pubblico avrebbe la possibilità di ripulire una buona dose di liquidità derivante da proventi illeciti.
In attesa dell'evolversi della questione, la domanda è una: come mai le illustri menti che ci governano non hanno pensato ad una soluzione così ovvia e semplice? Non ci avranno davvero pensato? Dopo tutto gli interessi in gioco sono molti.