Il tonfo dell’asta di Fonterra di ieri, con le quotazioni della polvere di latte intero che hanno registrato una diminuzione dell’11,5%, portando i prezzi medi a 2.725 dollari a tonnellata (pari a 2.041,96 euro, al cambio attuale), aprono possibili scenari di guerra commerciale fra la Nuova Zelanda e gli Stati Uniti per non perdere quote di mercato in chiave di export.

Lo scenario entro il quale si muovono le dinamiche lattiere è di un aumento delle produzioni mondiali dell’oro bianco. Gli indicatori riportati da Clal - portale di riferimento del settore lattiero caseario a livello internazionale – registrano una crescita del 4,1% delle produzioni di latte dei principali Paesi esportatori (Ue-28, Usa, Nuova Zelanda, Australia, Argentina, Ucraina, Bielorussia, Cile, Uruguay, Turchia), nel periodo gennaio-giugno 2014 rispetto all’anno precedente.
Con una maggiore disponibilità di prodotto sul mercato, inevitabilmente i riflessi sui prezzi sono stati negativi, con la flessione già dal 1° luglio dei prezzi del latte alla stalla in Nuova Zelanda.

Anche la polvere di latte scremato, nell’asta di una delle più importanti cooperative a livello mondiale, Fonterra appunto, ieri ha segnato un rimbalzo negativo del 6,5%, scendendo a 3.264 dollari per tonnellata (pari a 2.443,79 euro).
Le dinamiche del mercato rispondono al rallentamento delle esportazioni verso la Cina. Il colosso asiatico, a quanto trapela in via ufficiale, avrebbe i magazzini pieni. Ma secondo alcuni analisti dietro queste giustificazioni rimbalzate a mezza bocca potrebbe nascondersi una strategia cinese per contenere i prezzi delle produzioni importate. Ipotesi non ufficiali, ma non del tutto destituite di fondamento, a quanto vociferano gli operatori.

In Italia, nel frattempo, la produzione di Grana Padano tiene ritmi elevati, segnando un incremento addirittura del 24% nel mese di luglio. E l’Italia, mentre l’Europa che conta nel comparto aumenta le produzioni di latte, lo scorso maggio ha visto rallentare i propri volumi. Se sarà la strada giusta o se, con la fine del regime delle quote latte, la soluzione più corretta sarebbe stato incrementare le produzioni, si vedrà fra qualche mese.

Ma forse l’Europa – e l’Italia in particolare, per le peculiarità delle proprie produzioni – dovrebbe riflettere e chiedersi se conviene di più puntare sui formaggi e i prodotti tipici (potrebbe essere il caso del nostro Paese) che non sulle commodities indistinte.
È vero che proprio nei giorni scorsi il gruppo spagnolo Ilas (Industrias lacteas asturianas) ha annunciato che inaugurerà un impianto in Marocco per produrre formaggio fuso e latte in polvere, con l’obiettivo di espandersi in Africa, ma l’Italia ha un altro tipo di produzioni tipiche e di qualità.
Forse bisognerebbe ipotizzare il ricorso alla polverizzazione solo come via d’uscita per sostenere il mercato in una fase di sovrapproduzione o come gestione delle eccedenze dei formaggi Dop, non come modalità continuativa.

Il ribasso di ieri nell’asta di Fonterra e soprattutto la chiusura del canale verso la Cina lasciano intravedere altre conseguenze. Gli agricoltori neozelandesi sono piuttosto preoccupati per gli investimenti già programmati e per il fatto che, nel sistema economico dello Stivale dell’Emisfero Sud, la frenata del prezzo dello scorso 1° luglio ha significato un calo del 2% del Pil nazionale.

Altre incognite. E se la cooperativa neozelandese, perdendo quote di mercato non indifferenti per il proprio bilancio, si vedesse costretta a rincorrere una politica di ribasso dei prezzi per non indietreggiare sullo scacchiere mondiale a vantaggio di altri player come Stati Uniti, Canada, Australia e Argentina? Quali conseguenze si avrebbero nel panorama internazionale, Europa e Italia comprese?

Di qui, appunto, la necessità per l’Unione europea di concentrarsi sui formaggi e, magari, prodotti diversificati e innovativi. E chissà, potrebbe essere giunto il momento di riattivare i centri di ricerca – come quello di Lodi - per colpire nel segno.