Se in passato la protezione delle colture dalle malerbe infestanti era affidata quasi esclusivamente ai prodotti erbicidi, oggi la situazione è molto più complessa a causa anche della comparsa di popolazioni resistenti. Piante cioè che non vengono devitalizzate dalla dose di erbicida solitamente sufficiente al loro controllo.
"Il fenomeno delle resistenze si sta espandendo ed aggravando", spiega Donato Loddo, ricercatore del Cnr e membro del Gire, Gruppo Italiano Resistenza Erbicidi, il Gruppo di lavoro che si occupa proprio di studiare il fenomeno della resistenza e di mettere a punto strategie per il controllo delle malerbe resistenti.
"È infatti in aumento il numero di aree interessate dalla presenza di piante resistenti agli erbicidi, nonché la presenza di popolazioni che hanno sviluppato una resistenza a più meccanismi d'azione".
Piante di loietto sopravvissute al glifosate
(Fonte foto: Donato Loddo)
Le zone d'Italia maggiormente soggette a questo fenomeno sono quelle in cui è presente una monosuccessione spinta. Parliamo quindi della Puglia e degli altri areali del Sud Italia, ma anche la Toscana centrale e le Marche sul versante Adriatico. Seguono poi la Romagna, l'Emilia e alcune aree del Piemonte.
Le specie resistenti più diffuse sono il papavero per le dicotiledoni, mentre tra le graminacee troviamo il loietto e l'avena selvatica, oltre all'Alopecurus, la cosiddetta coda di volpe. Gli erbicidi oggi maggiormente a rischio sono gli inibitori dell'ALS e dell'ACCasi, mentre la pressione sugli ormonici è invece minore. "La cosa preoccupante è che per alcune specie, come il papavero, oggi abbiamo popolazioni resistenti a più meccanismi d'azione".
Prevenzione e gestione delle malerbe resistenti agli erbicidi
Come gestire le infestanti resistenti del frumento
Per quanto riguarda il grano sono sicuramente queste le specie che sviluppano con più frequenza resistenze, anche multiple. Il loro controllo tuttavia è possibile ed è proprio l'agricoltore il primo a poter intervenire per mantenere sotto controllo la situazione nel proprio campo.
Il loietto ad esempio è ormai diffuso da Nord a Sud Italia e vede popolazioni resistenti anche a più meccanismi d'azione. Il suo controllo è tuttavia abbastanza gestibile. "La prima cosa da fare è procedere con l'aratura in modo da interrare i semi presenti sullo strato superficiale del suolo. Questi nel giro di due, tre anni sono in larga parte devitalizzati", spiega Loddo.
Lolium multiflorum resistente in frumento
(Fonte foto: Donato Loddo)
A supporto è anche consigliabile utilizzare sulla stessa coltura erbicidi di pre emergenza e di post emergenza, ricorrendo anche a delle miscele, in modo da impiegare sostanze attive con diversi meccanismi d'azione. Ciò comporta sicuramente un costo, ma scongiura il rapido propagarsi di una situazione che, vista l'alta quantità di semi prodotta da questa specie, può aggravarsi in pochi anni. Inoltre, anche adottare la tecnica della falsa semina o della semina ritardata, attraverso l'impiego di erbicidi non selettivi o l'uso di attrezzature come lo strigliatore, è spesso una pratica vincente in tal senso.
Le stesse accortezze possono essere prese anche nella gestione della coda di volpe, anche se in questo caso si tratta di una specie presente soprattutto nel Nord del Paese e che può essere controllata bene attraverso ampie rotazioni colturali, sicuramente più gestibili rispetto al Sud Italia.
Per quanto riguarda l'avena selvatica la tecnica dell'aratura è meno efficace, in quanto questa specie è capace di emergere anche da strati piuttosto profondi del terreno. L'aspetto positivo è che la sua diffusione è meno veloce rispetto al loietto e dunque per l'agricoltore è più facile individuare le aree interessate dalle resistenze ed intervenire con altri strumenti (lavorazioni, sfalci, erbicidi non selettivi, eccetera).
Discorso diverso invece per quanto riguarda il papavero, i cui semi possono sopravvivere nel terreno dieci e più anni. In questo caso l'aratura non è una soluzione, mentre bisogna optare per ampie rotazioni, falsa semina e impiego di erbicidi aventi meccanismi d'azione diversi.
"Sarebbe un errore tuttavia pensare di poter controllare una popolazione resistente sul lungo periodo semplicemente cambiando erbicida. Anzi, il rischio concreto è che trattando per anni lo stesso campo in cui è presente una popolazione resistente con un medesimo Mda si vada a selezionare esemplari con due differenti resistenze, creando un enorme problema all'agricoltore e a tutto il territorio", sottolinea Donato Loddo.
Lolium rigidum con resistenze multiple in frumento
(Fonte foto: Donato Loddo)
La resistenza, un fenomeno da combattere con la prevenzione e le buone pratiche agricole
L'insorgenza di popolazioni resistenti è un fenomeno naturale che tuttavia può essere scoraggiato dall'agricoltore attraverso l'adozione di buone pratiche agronomiche. "La monosuccessione è una pratica che andrebbe abbandonata", spiega Loddo. "L'ideale sarebbe adottare ampie rotazioni, almeno triennali, e con l'alternarsi di colture autunno-vernine e primaverili. Questo non è sempre possibile, soprattutto per ragioni economiche, tuttavia nelle valutazioni fatte dall'agricoltore dovrebbe essere compreso anche il rischio che le popolazioni resistenti prendano in pochi anni il sopravvento sulla coltura".
L'altro accorgimento fondamentale è alternare i meccanismi d'azione (Mda) con cui agiscono i diserbi. È bene puoi ricordare che due differenti sostanze attive possono avere lo stesso meccanismo d'azione e quindi inconsapevolmente l'agricoltore potrebbe favorire l'emersione di popolazioni resistenti. Un esempio è il favino, spesso seminato in successione al grano, che tuttavia richiede l'impiego di erbicidi con lo stesso Mda di quelli usati su frumento. Per uscire da questo circolo vizioso sarebbe meglio invece seminare una crucifera.
Alternare il frumento al favino non funziona come rotazione in quanto vengono usati per le due colture erbicidi aventi Mda uguali
(Fonte foto: Donato Loddo)
La semina su sodo, se da un lato apporta diversi vantaggi al terreno, è indubbio che favorisca il diffondersi delle malerbe resistenti. L'aratura, infatti, portando in profondità i semi delle infestanti, comporta la devitalizzazione di quelle specie che hanno una scarsa persistenza nel terreno, come ad esempio il loietto. "L'ideale sarebbe una aratura ogni tre anni, intervallata da lavorazioni superficiali del suolo o dalla semina su sodo".
Anche il metodo di applicazione stesso degli erbicidi ha un'influenza importante sull'emersione di popolazioni resistenti. Impiegare agrofarmaci con dosi inferiori a quelle di etichetta, oppure usare attrezzature mal funzionanti o mal tarate può infatti contribuire a selezionare quegli esemplari che possiedono un certo grado di resistenza.
Esemplari di loietto resistenti vicino ad esemplari suscettibili
(Fonte foto: Donato Loddo)
"L'efficacia erbicida andrebbe valutata dopo due, tre settimane dal trattamento e non sotto raccolta, dove spesso le malerbe rimangono coperte e nascoste dalla coltura, dando solo l'impressione che il diserbo abbia funzionato correttamente, andando invece a propagarsi fortemente in seguito alla trebbiatura", spiega Donato Loddo.
"Di solito le malerbe resistenti si riconoscono in quanto sono le uniche a resistere al trattamento, mentre gli esemplari vicini sono devitalizzati. In questo caso l'agricoltore dovrebbe intervenire estirpandole a mano oppure, se l'area interessata è ampia, si può procedere con una lavorazione meccanica o ancora usando un erbicida non selettivo come il glifosate".
Prevenire è meglio che curare
L'unica persona a poter scongiurare l'insorgenza di popolazioni resistenti agli erbicidi e la loro diffusione è dunque l'agricoltore stesso. La responsabilità principale dei propri campi è nelle sue mani: solo lui infatti può adottare tutte quelle buone pratiche volte ad abbassare il livello di rischio.
Riassumendo, per scongiurare lo sviluppo di popolazioni resistenti e la loro diffusione è necessario:
- Prevedere ampie rotazioni, compatibilmente con la sostenibilità economica dell'azienda.
- Alternare prodotti contenenti sostanze attive con differente meccanismo d'azione, ricorrendo anche al trattamento sia in pre che in post emergenza.
- Prevedere una aratura periodica dei campi, ad esempio una volta ogni tre anni.
- Adottare pratiche agronomiche come la falsa semina o la semina ritardata.
- Prestare la massima cura nell'esecuzione del trattamento, utilizzando le dosi di etichetta e attrezzature correttamente funzionanti e tarate.
- Monitorare i campi due o tre settimane dopo il trattamento erbicida per individuare eventuali esemplari sopravvissuti al prodotto.
- Se possibile agire a livello di comprensorio in quanto le popolazioni resistenti non restano nei confini del campo ma si diffondono anche al di fuori.
- Non scoraggiarsi. Anche se nei propri appezzamenti sono presenti popolazioni resistenti agli erbicidi, adottando una corretta strategia di gestione integrata delle infestanti è possibile ridurne l'incidenza sotto la soglia di danno, se non addirittura eliminare il problema.