Resta aperto il nodo delle sanzioni, applicate dall'Unione europea (che non possono essere eliminate unilateralmente e nemmeno con accordi bilaterali fra Roma e Mosca) da quasi cinque anni e che sono costate al made in Italy più di 2,4 miliardi di euro (elaborazione del Centro studi di Confagricoltura) e che supererà il tetto dei tre miliardi entro il 2020.
Secondo un'analisi di Coldiretti, solo l'agroalimentare avrebbe perso in un quinquennio – a causa dello stop all'export di ortofrutta, formaggi, carne, salumi, pesce – oltre un miliardo di euro.
"Un costo insostenibile per l'Italia e l'Unione europea – ha commentato il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini - ed è importante che si riprenda la via del dialogo".
Partite nell'agosto del 2014, le sanzioni economiche alla Russia – replicate in tutta risposta dal Cremlino con l'embargo dei prodotti europei e dei principali paesi esponenti della Nato – sono state prolungate per altri sei mesi dal Consiglio europeo e resteranno in vigore fino al 31 dicembre 2020.
Nel periodo 2009-2013, il valore delle esportazioni di prodotti agricoli e alimentari verso la Russia è cresciuto notevolmente (+111%), passando dai 333 milioni di euro del 2009 a 705 milioni di euro del 2013.
A causa dell'embargo, il valore dell'export di prodotti agricoli e alimentari verso la Russia si è ridotto fino a 381 milioni di euro (2015), salvo poi tornare a crescere fino a 552 milioni di euro (2018).
Secondo Ismea, nonostante appunto il perdurare dell'embargo, nel 2018 l'export agroalimentare italiano ha saputo parzialmente compensare le perdite subite grazie alla crescita di altri comparti del made in Italy, come paste alimentari, pomodori pelati e polpe, tabacchi e olio.
Con un fatturato complessivo di 945 milioni di euro di export, l'Italia figura al settimo posto dei principali paesi fornitori della Federazione Russa e si è posizionata al secondo posto, dietro la Germania, tra i fornitori comunitari.
L'Italia, in particolare, vanta il primato per le vendite di vino confezionato (l'Italia era seconda nel 2013) e il terzo posto per i prodotti della panetteria e pasticceria.
Sul versante opposto, la Russia ha varato una politica aggressiva per sostenere lo sviluppo e l'innovazione dell'agricoltura nazionale, in modo da accelerare verso l'autosufficienza e, magari, ampliare il ventaglio delle occasioni di esportazione.
Secondo Clal.it, sito di analisi del settore lattiero caseario su scala mondiale, qualora si dovessero riaprire i canali commerciali con la Russia, ci sarebbe adeguato spazio per i formaggi italiani di alta qualità. Saranno semmai le commodity e i prodotti standardizzati a subire una diretta competizione sul prezzo e, presumibilmente, ad essere marginalizzati a vantaggio dell'agroalimentare made in Russia.
Se l'Italia rimane preoccupata dalla prosecuzione dell'embargo, anche gli agricoltori in Germania non ridono. "La Russia, insieme alla Svizzera e agli Stati Uniti, era uno dei tre maggiori mercati esteri per i prodotti agricoli tedeschi al di fuori dell'Unione europea. Il fatturato annuo arrivava a circa 1,6 miliardi di euro. Ma questo mercato ormai è sparito", ha dichiarato Joachim Rukwied, presidente della Dbv, l'associazione degli agricoltori tedeschi, all'emittente RedaktionsNetzwerk Deutschland (Rnd).
Una stazione quasi definitivamente chiusa per la locomotiva tedesca, che esporta oltre 70 miliardi di agroalimentare nel mondo (contro i 41 dell'Italia). "Ora i russi hanno nuovi partner o hanno ampliato la propria produzione, come nel caso della produzione di latte - ha osservato Rukwied -. Anche se le sanzioni venissero abolite è impensabile pensare di riconquistare le quote di mercato che avevamo in passato".
La Germania ha saputo guardare avanti e trovare valide alternative al mercato russo. "Dal 2012 al 2018 l'esportazione di prodotti agricoli dell'Ue in Cina è più che raddoppiata e gli agricoltori tedeschi ne detengono una quota sostanziale".