L'apicoltura vista in tutti i suoi aspetti, da quelli produttivi a quelli ecologici, evolutivi, ambientali, storici, culturali, politici.

 

L'apicoltura nella sua dimensione antropologica e culturale, vista cioè come espressione del rapporto tra l'uomo, le api e i luoghi in cui l'uomo e le api hanno convissuto e continuano a convivere. Luoghi che in questo caso sono quelli della Sardegna.

 

Può essere descritto così il filo conduttore su cui si sviluppa il progetto di Abis e Abieris, nato dalla passione di Greca Meloni, antropologa sarda e figlia di una famiglia di apicoltori.

 

Un progetto che non vuol essere uno studio sulla storia e la cultura sull'apicoltura sarda, ma un progetto per l'apicoltura sarda, per quella che è oggi e per quella che sarà.

 

E per andare alla fonte, abbiamo chiesto a lei, a Greca Meloni, di raccontarci questa idea.

 

Cosa è Abieris e Abis e da dove nasce? 
"Abieris e Abis è un esperimento sottoforma di blog che fa parte di un progetto di ricerca più ampio che sto portando a termine al Dipartimento di Etnologia Europea dell’Università di Vienna. La ricerca sul campo è iniziata nel 2016 e ha incluso varie metodologie per raccogliere i dati. Normalmente la ricerca sul campo prevede di stare un certo periodo a contatto con i soggetti per poi analizzare il loro modo di concepirsi nel mondo attraverso gli strumenti teorici dell’antropologia culturale.

Nel mio caso, durante la ricerca sono emersi due elementi importanti. Gli apicoltori (uomini principalmente) fanno largo uso dei social networks. In questa dimensione condividono pratiche e saperi in un network che è internazionale. Il secondo aspetto è che spesso chi pratica apicoltura non ha voce di fronte a chi si occupa delle politiche di gestione agricola e ambientale. Questo elemento mi ha spinto a ragionare su una piattaforma che potesse dare voce agli apicoltori e apicoltrici che volevano dialogare sull’apicoltura evitando però le forme conflittuali diffuse nei social networks".

 

Greca Meloni

Greca Meloni

Fonte foto: ©ÖAW/Klaus Pichler

 

Abieris e Abis è un progetto aperto, chi può partecipare e come?
"Possono partecipare tutte le persone che a vario titolo si occupano di apicoltura e che ritengono di voler condividere il proprio pensiero con un pubblico ampio. È sufficiente contattarmi tramite mail agli indirizzi indicati nel sito".

 

Abieris e Abis è anche un film documentario, di cosa parla e dove si può vedere?
"Il documentario Abieris e Abis (apicoltori e api) condensa i primi due anni di ricerca etnografica in circa 45 minuti. Affronta il tema della biodiversità, soprattutto in rapporto alle api che vengono allevate e importate in Sardegna, il tipo di politiche messe in campo per la loro tutela e il ruolo dei ricercatori dell’Università di Sassari. Era disponibile sul mio canale Vimeo ma attualmente è offline"

 

Quando l'uomo si rapporta a qualcosa fa cultura, quando si rapporta all'ambiente fa anche ecologia, cioè diventa parte attiva di un ecosistema, nel bene o nel male. Quale segno ha lasciato l'uomo e quale sta lasciando sulle api in Sardegna?
"Dalla ricerca sul campo ho imparato che gli apicoltori e apicoltrici sono costruttori di paesaggi. Quando viaggi in Sardegna, all’aeroporto sei accolto da immagini di paesaggi incredibili, 'selvaggi' di questa isola. Ebbene, gran parte dei paesaggi tipici della Sardegna sono il risultato di un lungo lavoro di cooperazione tra i custodi delle api e gli insetti stessi. Pensa al ruolo significativo che può avere il nomadismo di corto raggio nel favorire la riproduzione delle specie di interesse mellifero. Ma anche nei luoghi percorsi dagli incendi.

Uno studio di qualche anno fa eseguito per Coloss, la rete di ricerca internazionale sulla mortalità degli alveari, mostrava che le api favoriscono il ripristino delle aree percorse dagli incendi in tempi più rapidi. Dal canto suo l’uomo ha profondamente inciso sui corpi degli insetti e sulla configurazione delle popolazioni di api e fiori. Attraverso l’importazione di specie estranee al territorio sardo, sia di api che di altri insetti. Pensiamo alla diffusione della Psylla, fitopatogeno dell’eucalipto che è verosimilmente arrivato accidentalmente con altro materiale florovivaistico. Ma la stessa importazione e diffusione dell’eucalipto è un esempio dell’impatto degli esseri umani sulle api. Questa specie non nativa rappresentava la percentuale più consistente della produzione apistica isolana e permetteva alle api di sopravvivere e prosperare quando le altre specie vegetali autoctone erano già sfiorite.

Bisogna pensare il rapporto tra umani e api in senso più ampio e includere tutto ciò che facciamo con e sull’ambiente. D’altra parte, le api sono insetti sensibili in questo senso".


L'apicoltura, come tutta l'agricoltura, è sempre un'espressione culturale, si potrebbe allora estendere questo progetto non solo alla Sardegna, ma anche all'Italia, all'Europa, al Mediterraneo?
"Certamente. Anzi, sarebbe auspicabile. Esistono tantissimi studi sulle tecniche apistiche e sui diversi tipi di api che popolano l’Italia e l’Europa, ma si contano sulle dita di una mano gli studi che indagano le relazioni ‘naturculturali’ tra umani-api nel loro contesto ambientale. Fino a qualche anno non c’era nulla. Poi a partire dalla diffusione del Ccd, le api sono emerse nel nostro quotidiano. Contemporaneamente, nell’antropologia culturale è nata l’etnografia multispecie che si occupa di indagare le relazioni tra umani e non-umani, incluse le piante e gli insetti, che finora erano stati esclusi. Non ci si occupa più di osservare in che modo gli esseri umani concepiscono gli animali sul piano simbolico e religioso. Ci si è spinti oltre a indagare i diversi modi che gli esseri umani hanno per rapportarsi con gli esseri non umani. Spesso si scopre che all’interno di uno stesso gruppo di persone, coesistono forme anche divergenti di posizionarsi nei confronti di quella che qui da noi viene chiamata ‘Natura,’ cioè tutto ciò che è non è umano frutto di ‘cultura.’ Faccio un esempio concreto: le politiche agricole comunitarie. Queste nascono da un preciso modo di intendere il rapporto tra operatori (umani) e i soggetti/oggetti non umani come animali, piante e suolo. Fin qui tutto bene. Uno potrebbe dire che siamo tutti europei e dunque non ci sono grosse differenze. Eppure, a ben guardare le differenze tra un allevatore o allevatrice austriaci e i colleghi italiani o spagnoli c’è differenza.

C'è una interessante ricerca condotta da un gruppo di ricerca dell’Università viennese Boku su un campione di 144 allevatori e allevatrici del Tirolo orientale, in bassa Austria, che mostra le piante locali utilizzate per prevenire o curare malori agli animali. Lo studio suggerisce che includere i saperi naturalistici tradizionali alla base di queste pratiche potrebbe aiutare a implementare le politiche per il benessere animale. C’è una ricchezza multispecie in questo studio: esseri umani che curano i propri animali attraverso il rapporto di conoscenza che instaurano con le piante, altri esseri viventi. O ancora, il rapporto tra microbi, ambiente, e patrimonio ambientale che si cela dietro la produzione di formaggi  tipici.

Il formaggio, come il miele, ha un forte legame con il territorio, non solo per il tipo di pascolo, ma anche per i microbi che favoriscono la fermentazione. È questo tipo di relazioni che viene definito multispecie su cui si stanno soffermando gli antropologi e le antropologhe di oggi. 
Nel caso dell’apicoltura questo approccio è particolarmente fruttuoso, a mio parere. Per lo stretto rapporto co evoluzionistico che esiste tra api e specie vegetali, ma anche tra api e esseri umani. Lo studio dell’apicoltura sarda suggerisce che il rapporto tra umani e api è basato sulla percezione che il paesaggio l’eredità di un lunghissimo rapporto di collaborazione tra persone, animali e pure piante. E proprio attraverso l’apicoltura, gli apicoltori e le apicoltrici contribuiscono a lasciare le proprie tracce sul paesaggio e a fare in modo che questo continui a prosperare per le generazioni che verranno. Questa concezione sembra peculiare del caso sardo, ma non si può dire con certezza perché al momento non esistono altre ricerche di questo tipo nel contesto italiano o europeo. Sono certa che questo approccio rivelerebbe delle informazioni interessanti, spesso anche utili per ripensare le politiche di gestione ambientale e del comparto agricolo nel rispetto di questi insetti e dei suoi custodi".