Correva infatti il lontano 1669 quando tal Hennig Brand, ad Amburgo, in Germania, scoprì uno strano componente delle urine umane che brillava nel buio. L'urina contiene infatti fosfati disciolti e tale elemento può reagire emettendo una quantità di luce proporzionale alla massa reagente.
Due sono però le modalità con cui il fosforo produce luce, ovvero la fosforescenza e la fluorescenza. I materiali fosforescenti sono appunto quelli che brillano al buio, mentre i fluorescenti sono alla base di sensori e LED bianchi. Non sapendo ancora di tale distinzione, Brand battezzò tale sostanza "fuoco freddo".
In campo agricolo il fosforo viene utilizzato da decenni come fertilizzante, data la sua importanza in diverse fasi fenologiche delle colture, com per esempio in fioritura. Macroelemento portante insieme ad azoto e potassio, anche il fosforo va quindi somministrato alle colture in funzione delle esigenze fisiologiche e delle aspettative produttive. Purtroppo, si stima che il 30% circa dei terreni al mondo sia poco dotato di fosforo, mentre alcune aree a forte vocazione zootecnica ne presenterebbero fin troppo.
Ci sono però un paio di problemi: le sue riserve mondiali non sono infinite e nel terreno, se dato a "spaglio" rischia di finire indisponibile per le colture, come accade per esempio in caso si verificasse la cosiddetta "retrogradazione del fosforo", un fenomeno che si osserva nei terreni acidi. In questo caso i residui dell'acido fosforico sono adsorbiti dai colloidi del terreno e precipitano sotto forma di fosfati di ferro e alluminio.
Il fosforo, comunque, tende di per sé a diffondere ben poco nel terreno, mostrando un'attitudine a muoversi dallo scarso al nullo. Non a caso, futili si rivelarono le accuse alla fertilizzazione fosfatica di causare il fenomeno dell'eutrofizzazione dell'Adriatico, alla cui base vi è una buona disponibilità di fosforo nelle acque a favore delle alghe. Alla fine venne fuori che i veri responsabili erano soprattutto i detersivi, quelli con i vecchi tensioattivi fosfatici. Nel frattempo però, come al solito, furono gli agricoltori a essere posti sotto la gogna mediatica come inquinatori perfino del mare.
Diverso invece l'approccio ambientale in caso di allevamenti, i cui apporti di fosforo e azoto alle acque vanno sempre accuratamente valutati e il più possibile scongiurati.
Consapevoli di tali due problemi, ultimamente la tecnica ha permesso di modificare l'approccio alla fertilizzazione fosfatica, realizzando da un lato formulati più moderni ed elaborando tecniche di somministrazione localizzata alla semina, foriera di maggiori benefici per unità di fosforo erogata.
Ciò va incontro anche all'esigenza di contrastare il progressivo depauperamento dei giacimenti fosfatici, di cui si paventa l'esaurimento nel volgere di pochi decenni se non cambierà il tasso di sfruttamento. Del resto, la quasi totalità di forniture deriva dalle miniere di soli cinque paesi, ovvero Cina, Giordania, Marocco, Sud Africa e Stati Uniti. Non mancano nemmeno gli studi al fine di individuare e riprodurre una specifica flora batterica capace di rendere disponibili quote di fosforo attualmente immobilizzato nei suoli.
In sostanza, la lotta per preservare tale prezioso elemento è davvero ardua e multidisciplinare. A partire dall'ottimizzazione in campo dei suoi usi.
Forse Hennig Brand sarebbe oggi sorpreso di sapere a cosa ha condotto la sua scoperta pluricentenaria. E chissà, magari troverebbe anche lui qualche soluzione al fine di preservarla.
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Fonte: Agronotizie