In agricoltura ci sono sostanze utilizzabili in quanto regolarmente registrate per gli usi fitosanitari. E altre no.

A volte, la mancanza di utilizzabilità dipende da una mera mancanza di registrazione ministeriale nazionale. Ci sono infatti prodotti utilizzati in altri Paesi, ma non in Italia. Volendo, potrebbero benissimo essere applicati anche qui: basterebbe solo che una società si prendesse la briga di sottoporre un formulato al processo di registrazione e via. Certo, servono sia i soldi, sia la convenienza commerciale. Perché se dopo aver registrato un nuovo formulato poi di mercato non ce n’è, magari per scarsità di ettari o per avversione alla molecola da parte dei disciplinari di produzione, tanto vale investire altrove e lasciar perdere l’Italia.

Altre volte, invece, certe molecole proprio non si possono usare, né si può sperare che vengano autorizzate in futuro. Alcune non si possono usare più semplicemente perché abolite dopo anni di utilizzo. Cioè prima le usavamo e poi, dopo attento vaglio, le abbiamo abbandonate.

L’esaclorocicloesano, per esempio, dettò legge come insetticida a cavallo degli Anni '50 e '60, salvo poi perdere “grip” fino alla sua cancellazione dagli usi. Stessa cosa per l’atrazina, bandita nel 1992 in Italia, e altre centinaia di sostanze attive eliminate dal processo di revisione europea. Molte di queste, però, sono state abbandonate più che altro perché non conveniva spendere per difenderle, avendo ormai marginalità e mercati irrisori. E le aziende, piaccia o meno ai puristi anti-mercato, devono fare bilancio. Oppure chiudono.

Infine, vi sono molecole che potrebbero essere tecnicamente utilizzate, ma che mai nessuno si sognerebbe di proporre per usi agricoli. Fra queste molecole giacciono gli antibiotici, sostanze già abbastanza abusate per uso umano e che periodicamente vengono reclamate a fronte di emergenze di tipo batterico. Una su tutte, Xylella fastidiosa degli ulivi.

Già in passato AgroNotizie aveva risposto a lettere accorate di persone che chiedevano come mai nessuno pensasse di utilizzare gli antibiotici per salvare gli ulivi. E se ne stupivano, quasi non riuscendo a capacitarsi di come una soluzione così immediata e certa potesse essere "snobbata" da tecnica e normativa.

Se gli antibiotici non si possono usare in campo agricolo un motivo c’è e affonda le proprie origini sia nel tema tecnico, sia in quello normativo, sia in quello ambientale e sanitario in senso generale. Tecnicamente, si potrebbero sì adoperare, ma la loro applicazione non è praticabile secondo le modalità in uso per gli agrofarmaci. Impensabile infatti irrorare delle piante con una soluzione antibiotica, immettendo nell’ambiente sostanze così particolari e facendoli entrare in contatto con ogni altra forma di vita ad essi sensibile, con tutti i problemi di resistenze crociate che potrebbero nascere.

Le iniezioni al tronco? Sì, anche queste sarebbero tecnicamente possibili, ma anch’esse ampiamente sconsigliabili per i medesimi motivi di cui sopra, anche se la dispersione ambientale sarebbe minore. Nel caso della Xylella, per esempio, se si sviluppasse un ceppo resistente agli antibiotici, esso potrebbe essere diffuso dalla medesima sputacchina che oggi aiuta il batterio a propagarsi. Quindi, in quattro e quattr’otto ci si troverebbe punto e a capo, con in più il problema di avere in giro per l’ambiente un batterio portatore di geni della resistenza agli antibiotici. Cioè un disastro, perché Xylella ha un'elevata capacità di scambiare porzioni di Dna con altri batteri, quindi anche di trasmettere i geni della resistenza agli antibiotici ad altre specie, amplificandola in modo esponenziale. 

Per tali ragioni, sebbene di per sé la loro somministrazione sarebbe tecnicamente praticabile, essa appare fortemente sconsigliabile proprio dal punto di vista dei danni che porterebbe con sé. Danni che infatti la normativa attuale tiene in alta considerazione, mantenendo ferma la proibizione all’uso degli antibiotici in agricoltura.

Non è quindi perché la politica dorme o perché ci sono strane lobby che si oppongono, come talvolta viene pensato, bensì perché l’uso degli antibiotici in agricoltura sarebbe una follia ambientale prima e sanitaria poi.

Ciò che più lascia perplessi, infine, è che vi siano persone che vorrebbero “salvare” gli ulivi secolari con gli antibiotici, ma contemporaneamente si oppongono alle applicazioni di insetticidi contro il vettore del batterio. Cioè l’unica via per contrastarne l’espansione riducendo i contagi e quindi le vittime. Unica via non solo tecnicamente esistente, ma anche legalmente applicabile.

Sarebbe quindi forse ora che si prendesse atto sia della proibizione all’uso degli antibiotici - proibizione che non può e non deve essere messa in discussione solo per disperazione - sia delle opportunità tecniche disponibili e utilizzabili. Quelle che funzionano, ovviamente. Non certo sedicenti cure e “protocolli” miracolosi che altro non fanno che illudere la gente che vi sia una terza via.

Non c’è. Ce ne si faccia tutti una ragione, una volta per tutte.