Nel campo delle agrotecniche, altre operazioni colturali rivestono notevole importanza per migliorare la competitività. In Italia, negli ultimi anni le produzioni sono cresciute poco, il problema dell'alternanza di produzione rimane sul tappeto malgrado i dati ufficiali (in verità poco credibili) ne nascondano la reale entità. La qualità del prodotto è complessivamente migliorata, anche se permangono significative quantità di olio da rettificare, ma rimane ancora un obiettivo strategico nell'olivicoltura italiana, dove in parte già si conseguono valori aggiunti derivanti dal territorio, dalla cultura e da altre azioni di valorizzazione che possono nel loro insieme essere incrementati. Il punto maggiormente dolente rimane quello dei costi di produzione, ancora elevati per effetto del largo impiego di manodopera, per il costo e la scarsa reperibilità della stessa, per i costi di trasformazione del prodotto e per la insufficiente organizzazione del sistema commerciale.
Per questi motivi l'attenzione del progetto Comsiol si è molto incentrata verso la meccanizzazione delle tecniche colturali, in particolar modo sulla raccolta che rappresenta la voce più incisiva sul costo di produzione (oltre il 50% del valore del prodotto) e quindi costituisce il punto di maggiore criticità economica della filiera. Dalle ricerche inerenti la potatura giungono interessanti indicazioni circa la possibilità di ricorrere alla meccanizzazione (con notevole incremento della produttività del lavoro con conseguente riduzione dei costi), i turni entro cui effettuare gli interventi e la intensità (per una produttività più costante sono preferibili tagli di media entità ogni biennio) e circa le forme d'allevamento più idonee, per le quali in Italia centrale su cultivar autoctone appaiono più performanti quelle a vaso policonico.
I dati delle ricerche effettuate nel progetto Comsiol dal gruppo di ricerca del Dipartimento economico-estimativo dell'Università di Perugia, confermano che la meccanizzazione delle agrotecniche, in particolare la raccolta, rappresenta la condicio sine qua non per il conseguimento della competitività in olivicoltura, che non può più comprendere la raccolta manuale. Tale ricerche indicano la forte riduzione dei costi realizzabile con la raccolta meccanica e, in particolare, indicano che il vibratore di tronco, portato o semovente, abbinato ad un intercettatore meccanico, sugli impianti attualmente esistenti rappresenta la modalità più economica per eseguirla: in Italia centro-settentrionale, con produzione media di 20 kg/pianta, i costi di raccolta diminuiscono da 2.579 €/Ha (corrispondenti a 2,82 €/litro d'olio) a 584 €/Ha (0,71 €/l), con un risparmio di ben 1.995 €/Ha (2,39 €/l); in Italia meridionale si passa da 4.222 €/Ha (2,69 €/l) addirittura a 427 €/Ha (0,30 €/l), con risparmio di ben 3.795 €/Ha (2,39 €/l). In riferimento a come si modifica l'incidenza sul costo dell'olio, da specifica indagine emerge che il costo di produzione dell'olio può scendere nell'Italia centrale da 7,6 a 5,5€/l ed in Italia meridionale da 6,4 a 4,0€/l, in funzione della meccanizzazione della raccolta.
Gli stessi studi indicano i fattori che ostacolano la diffusione della meccanizzazione della raccolta, che andrebbero rimossi con adeguati interventi di politica agraria, e che sono rappresentati dalla razionalizzazione degli oliveti (giacitura, sesti d'impianto, conformazione delle piante), dalla scarsa propensione all'indebitamento di una parte degli olivicoltori (anziani), dalla scarsa diffusione del contoterzismo, dalle ridotte dimensioni aziendali e da una perdurante diffidenza circa i risvolti qualitativi della raccolta meccanica sull'olio prodotto.
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Le prospettive di sviluppo della raccolta meccanica rimangono ancora notevoli, a condizione di razionalizzare alcuni vincoli esistenti sulla filiera, anche in un'ottica di adeguamento delle piante alla macchina e non solo della macchina alla pianta, come finora fatto. A questo scopo è evidente che addirittura gli stessi modelli strutturali produttivi devono essere programmati e realizzati, oltre che ai fini della destinazione commerciale del prodotto, in funzione del tipo di raccolta meccanica che si vuole attuare. Da questo concetto sostanzialmente discende il confronto attualmente esistente in Italia tra i fautori del sistema intensivo per così dire 'tradizionale' (300-400 piante/Ha) e quelli del superintensivo di origine spagnola (1600-2000 piante/Ha), in quanto i due tipi di impianto prevedono differenti tipi di raccolta (con agevolatori e scuotitori nel primo caso, con macchina scavallatrice nel secondo). La possibilità di raccogliere con un sistema meccanico o con l'altro, infatti, dipende da molti fattori, in primo luogo dai genotipi, non tanto per i loro standard produttivi ma per la tipicizzazione che si vuole conferire all'olio e per la capacità di mantenere ridotto il loro vigore vegetativo. Questi ultimi due punti rappresentano i vincoli principali all'espansione del sistema superintensivo in Italia, oltre naturalmente a molti altri come quelli della orografia spesso disagiata che ostacola l'impiego della macchina scavallatrice, quelli derivanti dall'eccessiva frammentazione fondiaria delle aziende olivicole, che obbligano i produttori a ricorrere a forzate forme associazionistiche ed a quelli ambientali conseguenti ad una spinta intensivizzazione della coltura con forti input esterni (concimazioni chimiche, diserbi, trattamenti antiparassitari) creando anche una obiettività difficoltà di realizzare la coltivazione in biologico. (si veda anche l'articolo 'Gestione dell'oliveto: evolvono i sistemi', ndr)
Nel sistema di coltivazione intensiva normalmente utilizzata in Italia (300-400 piante/Ha) i sistemi di raccolta meccanica a cui si fa maggiore riferimento sono quelli relativi all'impiego di scuotitori e/o agevolatrici. Una macchina agevolatrice, portata dall'operatore ed applicata direttamente alla chioma con aste più o meno lunghe, azionata da motore termico o collegata a compressore d'aria, può raddoppiare la quantità di olive raccoglibili per addetto, quindi può considerarsi interessante per la sua utilizzazione in piccole aziende con manodopera familiare oppure ad integrare, in un sistema misto, l'impiego dello scuotitore. La macchina di riferimento in questo sistema di coltivazione rimane il vibratore, in particolare il vibratore di tronco, ancor meglio se dotato di intercettatori meccanici (per esempio ad ombrello rovescio), capace di realizzare un'elevata efficienza nel distacco dei frutti e nelle capacità operative. Queste macchine hanno subito un'evoluzione che ha ottimizzato la combinazione fra frequenza e oscillazione, attraverso potenze di 50-80 KW, ma riducendo notevolmente la massa della testa vibrante. Ciò ha favorito anche la manovrabilità degli scuotitori che, con rese di raccolta del 70-90%, hanno enormemente incrementato la produttività del lavoro riuscendo a raggiungere, in funzione della quantità di frutti pendenti, il livello di 200-400 Kg/h/operaio. L'evoluzione costruttiva di queste macchine ha permesso, inoltre, il loro impiego anche su superfici non proprio livellate, rendendole operative in oliveti con discrete pendenze che rappresentano situazioni molto frequenti nel paesaggio nazionale.
Il livello di efficienza economica di questo sistema intensivo, definito 'tradizionale' in quanto già ampliamente utilizzato in Italia, può complessivamente considerarsi sovrapponibile a quello ottenibile nel superintensivo, considerando che gli standard produttivi a pieno regime sono tra loro similari (80-100 q/Ha) e che il vantaggio una probabile maggiore riduzione dei costi di raccolta conseguibile con la macchina scavallatrice sarebbe compensato (se non superato) dal maggior valore aggiunto dell'identità dell'olio (fortemente caratterizzato e tipicizzato dai pregevoli genotipi disponibili in Italia, magari anche tutelato dall'implementazione di efficaci metodi di tracciabilità e rintracciabilità), dal minor investimento necessario per l'allestimento dell'impianto, dalla maggiore durata del ciclo produttivo (intorno ai 50 anni rispetto ad un tetto massimo di 15 nel superintensivo, seppur con anticipata entrata in produzione) e da una minore pressione di input agrochimici esterni, con conseguenti benefici ecologici, oltre alla concreta possibilità di attuare la coltivazione biologica.
Tabella 1. Confronto sintetico tra i due sistemi di coltivazione.
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Intensivo |
Superintensivo |
Cultivar impiegabili |
Tutte |
Solo a bassa vigoria: per il momento cv Arbequina, Arbosana, Koroneiki e forse FS17 e Urano |
Produttività a pieno regime |
80-100 q.li / Ha (entrata in produzione al 6°-8° anno) |
80-100 q.li / Ha (entrata in produzione al 3°-4° anno) |
Qualità del prodotto (olio) |
Tipicizzato e multivariegato in relazione ai genotipi. Compatibile alle DOP, all'eccellenza, al biologico |
Buona ma standardizzata alle poche cultivar utilizzabili. Incompatibile alle DOP e al biologico |
Efficienza di raccolta |
Fino al 90 % su cultivar con frutto oltre i 3 g |
Oltre il 95 % anche su cultivar a piccolo frutto |
Riduzione dei costi di raccolta |
Elevata (con vibratore di tronco e intercettatore meccanizzato) |
Elevatissima (con scavallatrice a scuotimento laterale) |
Tipo di raccolta meccanizzata impiegabile |
Con agevolatori, pettini, bacchiatori, vibratori e grossi scuotitori con e senza intercettatori meccanizzati (limitato impiego di manodopera) |
Scavallatrice (limitatissimo impiego di manodopera) |
Tipo di coltivazione |
Convenzionale, integrata, biologica |
Convenzionale a forti input chimici (concimazione, diserbo, trattamenti) |
Impatto ambientale |
In relazione al tipo di coltivazione, comunque a buona sostenibilità |
Massimo |
Esigenze fitoiatriche |
Normali, in relazione all'ambiente di coltivazione |
Elevate, specialmente per la lotta ai patogeni, più virulenti nei microclimi umidi tipici degli impianti ad alta intensività |
Arco di tempo produttivo |
Circa 50 anni |
12-15 anni (?) |
Orografia dell'azienda |
Pianura e pendenze compatibili con l'uso degli scuotitori |
Pianura |
Costo di nuovo impianto |
Medio |
Elevato |
La scelta fra i due modelli
La scelta definitiva fra i due scenari ipotizzati, intensivo o superintensivo, sarà determinata in futuro dai risultati delle sperimentazioni in atto se sapranno dirimere il dubbio sull'adattabilità delle cultivar italiane, per volumi e forme di allevamento, alla massima intensivizzazione possibile.
Tuttavia, la definizione di un modello produttivo da adottare è sempre conseguente ad una volontà di rinnovamento delle strutture, che appare non ulteriormente procrastinabile in Italia, almeno per le larghe fasce di olivicoltura tradizionale ancora esistenti, specialmente nelle aree meridionali. Tale rinnovamento appare indispensabile per il conseguimento di una decente competitività della coltura, quindi occorrerebbe implementare un 'piano' in grado di ristrutturare i vecchi oliveti e, nella maggior parte dei casi, procedere alla loro estirpazione con reimpianto ex novo, passando da oculate scelte varietali e razionalizzazione degli impianti secondo il modello produttivo prescelto, con la più spinta meccanizzazione possibile delle operazioni colturali, nelle aree più vocate del nostro paese.
Su uno strumento di programmazione strutturale dell'olivicoltura italiana, modulato in base alle esigenze delle diverse tipologie territoriali e climatiche delle aree di intervento, potrebbero utilmente valutarsi le ricadute possibili dei risultati delle ricerche testè esposte, potendo fornire un supporto tecnico-scientifico ed un orientamento culturale in grado di favorire la realizzazione di un preciso piano di interventi capace di generare lo sviluppo futuro di questo importante comparto agricolo. Gli utilizzatori di queste ricadute sono naturalmente individuabili nei singoli olivicoltori, nelle cooperative e in tutte le altre forme associative, ma in primo luogo si pensa alle possibilità di utilizzarle in una visione di programmazione a più ampio respiro.
Appare fin troppo ovvio che un rinnovamento così profondo e mirato alla implementazione del nuovo modello produttivo (intensivo o superintensivo che sia) presuppone, oltre che un radicale cambiamento culturale della mentalità dei 'vecchi' olivicoltori che li faccia traghettare da una condizione di 'coltivatori' a quella di 'imprenditori', un piano di investimenti finanziari, congrui per il rinnovamento degli impianti e per sopportare un inevitabile periodo di improduttività, che allo stato attuale delle cose risultano essere non sopportabili dalla stragrande maggioranza degli operatori olivicoli italiani. In quest'ottica, un'irripetibile opportunità è data dalle azioni previste dai piani di sviluppo rurale.
Si ringrazia il Dr. Nino Iannotta del Cra, Centro di Ricerca per l'Olivicoltura e l'Industria Olearia, Rende (CS) per la disponibilità e la collaborazione
Per la bibliografia si veda il sito Cra-Oli.it
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Fonte: CRA - Centro di ricerca per l'olivicoltura e l'industria olearia