È entrato nel vivo in queste settimane Pivolio, Processi innovativi per la valorizzazione dell’olio extravergine di oliva, il progetto finanziato dal ministero dell’Università e della ricerca nell’ambito del Programma operativo nazionale ricerca e competitività 2007-2013, utile a certificare la qualità dell’olio extravergine d’oliva con la creazione di una vera e propria carta d’identità in grado di contrastare frodi e contraffazioni. La complessa macchina organizzativa, guidata dal consorzio Oliveti Terra di Bari, in sinergia con Università degli Studi di Bari, Università del Salento, Cnr, Istituto di fisiologia clinica, di Lecce, Cra-Oli di Rende (Cosenza), Consorzio Carso e Apuliabiotech, coinvolge in questa prima fase circa trenta operatori, distribuiti equamente tra le province di Bari, Bat e Foggia.

Gli addetti hanno selezionato, con l’ausilio di circa 400 imprenditori agricoli, le piante di cultivar (Ogliarola e Coratina per il territorio a Nord di Bari, Cima di Mola a Sud del capoluogo e Peranzana nella Capitanata) nelle aree individuate dislocate sul territorio e successivamente, suddivisi in gruppi di lavoro specifici, hanno prelevato campioni di terreno e foglie. Adesso si è passati alla raccolta delle olive dei singoli alberi, a cui segue contestualmente la molitura con micromolitore e una frangitura a freddo.

La fase successiva sarà rappresentata dalle analisi chimico-fisiche-organolettiche eseguite anche in tempo reale grazie all'utilizzo del Nir per la spettroscopia. “Il progetto procede spedito e siamo già a buon punto per questo primo anno di lavoro – spiega il presidente di Oliveti Terra di Bari, Gennaro Sicolo -. Creeremo un database che possa servire ai produttori per sostenere scientificamente il loro prodotto e ai consumatori per essere informati sulla provenienza e sulle proprietà dell’olio che stanno assumendo”. “La battaglia per la qualità dell’olio extravergine d’oliva pugliese passa soprattutto dalla ricerca e da iniziative come queste in cui sono coinvolti tutti gli attori della filiera produttiva del simbolo della Dieta mediterranea”, conclude Sicolo.