Alberto Cavagnini, quaranta anni, allevatore bresciano, è il nuovo presidente di Opas, la op attiva nella suinicoltura, che ha saputo trovare gli spazi per affiancare alla produzione e commercializzazione di animali vivi anche la trasformazione, attraverso il macello cooperativo Italcarni di Carpi (Mo).

Cavagnini prende il posto di Lorenzo Fontanesi, che assumerà il ruolo di vicepresidente.
Nel consiglio di amministrazione sono stati eletti anche Stefano Azzini, Luca Mattioli, Enrico Bini, Gabriella Tenca, Dario Gobbi, Sergio Pedercini, Rudy Milani, Lorenzo Fontanesi.
AgroNotizie ha intervistato il neopresidente.

Quali saranno gli obiettivi del suo mandato?
“Opas è una realtà innovativa. L’obiettivo è quindi di portare avanti il progetto di integrazione verticale della filiera suinicola italiana: vera novità nel panorama agricolo di questi ultimi anni. Questo ha permesso a Opas di raggiungere i vertici del settore nazionale nell’attività che è diventata ormai agroindustriale.
E' un obiettivo e un compito molto arduo. Ma Opas ha sempre agito come una squadra di imprenditori, che puntano ad essere costantemente innovativi, al passo con i tempi ed inseriti da protagonisti nel contesto socio economico del nostro Paese. Fare poi il presidente di Opas dopo Luca Savoia e Lorenzo Fontanesi non è semplice per nessuno. Per me questo è un onore e una maggiore responsabilità”
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Una linea improntata dunque alla continuità, par di capire.
“Assolutamente sì. Gestendo innanzitutto la cooperativa da buon padre di famiglia, nell’interesse dei soci che ci hanno delegato ad amministrare Opas in un momento dell’economia molto complicato, con tassi di crescita pari a zero. Per portare avanti il lavoro che è stato iniziato con il progetto di integrazione verticale della nostra filiera occorre poi puntare su vari e diversi fattori”.

Ad esempio?
“Solo per citarne alcuni: qualità degli animali; servizi; certificazioni all’export. Ma in questo terzo millennio non possiamo pensare di agire solo su alcuni ambiti: la riflessione è molto più ampia. Il sistema va ripensato; il mondo della macellazione andrà incontro ad una inevitabile riorganizzazione.
Gli allevatori, poi, devono prendere coscienza che si dovranno preoccupare di valorizzare la carne direttamente, così come hanno fatto i produttori di latte con le cooperative del Grana Padano, perché è finita l’epoca che i suini una volta caricati non sono più un pensiero. Anche l’attuale modalità di fare i bollettini è obsoleto e per fortuna noi come Opas andremo presto su un prezzo di cooperativa. Serve poi un marchio per la carne valorizzando il suino Dop. Occorre rendere più efficienti i controlli per renderli un valore sul mercato, incentivando il consumo di carne suina. Ed ancora: ridurre il costo della burocrazia pubblica. Tanti aspetti che stiamo già vagliando, interpretando e cercando di cambiare.

Una cosa è e rimarrà sempre la nostra stella polare: Opas agirà sempre in prima persona; mai come oggi è la qualità delle persone, dal punto di vista umano e professionale, a fare la differenza. Opas è una realtà dove si lavora con determinazione tutti i giorni, cercando di portare avanti la cooperativa per tutelare il reddito della base sociale che potrà essere comunque chiamata ad altre scelte importanti che potrebbero essere viste come molto coraggiose per un sistema che reputiamo obsoleto, rispetto al resto d’Europa.
Andiamo sempre avanti. Con determinazione, perché Opas si è ritagliata un ruolo fondamentale ed importante per l’agricoltura nazionale e per il tessuto socio economico dove opera; con la conseguenza di avere la responsabilità di provare a far ripartire quella parte buona del Paese che non si vuole arrendere al declino”.


Quali soluzioni suggerisce Opas per superare la crisi della suinicoltura?
“Della crisi della suinicoltura si sta parlando da ormai almeno vent’anni. Eppure poco o nulla è stato fatto. Basta pensare che gli allevatori di suini non hanno mai beneficiato di aiuti diretti da parte della politica agricola comunitaria pur valorizzando suini nati, allevati e macellati in Italia, nell’ambito delle produzioni Dop Parma e San Daniele, che insieme a quelle del Grana Padano e del Parmigiano Reggiano sono tra le più importanti dell’agroalimentare italiano di qualità.

Le cause della crisi sono tante e molte fanno riferimento alla debolezza del nostro sistema nazionale, facendole diventare difficoltà strutturali. Basta pensare che molti marchi italiani sono di proprietà di multinazionali estere, che dell’origine italiana della materia prima hanno poco interesse. Inoltre, quando i problemi non risolti sono vecchi di trent'anni c’è poco da confidare che si risolvano da soli.

Tuttavia non bisogna stancarsi di denunciare l’impossibilità di esportare carne suina in Paesi strategici come la Cina; la necessità di una politica di salvaguardia delle scrofaie; una maggiore valorizzazione dell’affettamento; un alleggerimento dei costi della burocrazia pubblica; una puntuale informazione e promozione del consumo di carne suina italiana; misure snelle ed efficaci di ristrutturazione industriale tese all’efficientamento; un maggiore peso politico a Bruxelles e per incidere anche sui trattati Ttip; una valutazione creditizia meritoria e maggiore rispetto al lavoro delle cooperative che hanno scopo mutualistico.

Ma l’elenco è lungo, partiamo dal ridare redditività alle aziende agricole prima che il mercato selezioni in maniera indiscriminata e ci si ritrovi nel giro di dieci anni ad importare carne e suini vivi dall’estero, perché le nostre scrofaie si sono arrese ad un mancato ricambio generazionale reso impossibile dai debiti”
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La Francia ha ottenuto il via libera dalla Commissione europea per l’etichettatura delle carni suine. Qual è il suo commento, anche nei confronti dell’Italia che non ha ancora ottenuto un risultato del genere?
“Purtroppo sembra che l'erba del vicino sia sempre più verde, nel senso che Opas da sempre auspica che venga valorizzato in etichetta il suino Dop nato, allevato e macellato in Italia. Questo perché riteniamo che la produzione italiana abbia dei plus per il consumatore, che è sempre più attento alle etichette e a come si allevano gli animali.

L’etichetta è importante, ma da sola non può bastare. In questo senso abbiamo sviluppato filiere commerciali, impostando gli allevamenti al fine di rispondere alle richieste della distribuzione di avere suini che abbiano caratteristiche corrispondenti alle aspettative di rispetto del benessere animale, al biologico e all’ogm free. E' chiaro che queste produzioni implicano un aumento dei costi di produzione, ma stiamo assistendo ad una stratificazione verso l’alto del consumo della carne e noi allevatori non possiamo non tenerne conto.

Se poi la politica o le istituzioni ci accompagnassero in questo percorso virtuoso, con ricadute positive sui consumatori, saremmo i primi a essere entusiasti. Tuttavia, siamo altrettanto convinti che da imprenditori ci dobbiamo arrangiare, cercando alleanze con quella trasformazione e la distribuzione che hanno capito che l’allevatore di suini italiano è una risorsa e non un problema per soddisfare una domanda di un consumo di carne sempre più esigente.
Come Opas siamo in grado di programmare la produzione segmentando l’offerta tra suini pesanti e leggeri, tra animali in filiera e suini per produzioni di nicchia”
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Non sarebbe meglio che fossero le Regioni dove maggiormente insiste la produzione di suini a confrontarsi direttamente con Bruxelles?
“La risposta più opportuna ha, a mio parere, due ambiti. Il primo, di carattere generale, è che le linee di una politica del settore - lungimirante e concreta - non ci sono. Sicuramente ci sono persone e realtà, come l’assessore all’Agricoltura della Regione Lombardia, Gianni Fava, che hanno iniziato un percorso strategico positivo. E ritengo che altre Regioni come Emilia Romagna, Veneto e Piemonte saranno sicuramente presenti.

In questa logica, e veniamo quindi al secondo ambito della risposta, sarebbe opportuno che il ministero seguisse e portasse le indicazioni che arrivano dai territori dove gli imprenditori sono impegnati. Di fatto stiamo parlando di una macro Regione che, se potesse essere rappresentata direttamente sui tavoli di Bruxelles, tutti ne avremmo un giovamento perché si potrebbero creare le condizioni per avere un maggiore peso politico e trovare alleanze con altre Regioni europee che condividono le stesse problematiche di mercato, ambientali e di applicazione dei piani di sviluppo rurale.

L’obiettivo dell’integrazione verticale di filiera è sì di garantire un reddito agli imprenditori ma anche di dare lavoro a molte persone che sono coinvolte, direttamente, nella filiera verticale. Il problema è quindi di rappresentare una realtà agricola che è protagonista del proprio settore nonché della vita economica, sociale ed occupazionale del Paese e, nello specifico, di un vasto territorio”
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Opas gestisce il macello Italcarni di Carpi e lo ha proiettato al primo posto a livello nazionale fra le realtà cooperative. Quali sono le sfide del futuro?
“Se Opas è riuscita a diventare una realtà cooperativa importante dell’agroalimentare italiano è perché ha sfruttato una situazione di criticità trasformandola in un'opportunità. La forza di Opas è il gruppo e l’esaltazione di stare insieme e fare squadra. E' finita l’epoca del singolo. Sicuramente se Opas non avesse portato avanti la propria progettualità di verticalizzare la filiera, tra mille detrattori, oggi i listini dei suini vivi avrebbero prezzi europei al di sotto dell’euro al chilo. Questo non andrebbe mai dimenticato, ma si sa che il nostro è un Paese strano e si sottovaluta la capacità di un’impresa privata di creare benefici diffusi.

Purtroppo le sfide del futuro sono tante e difficili, perché il contesto del mercato è globale e noi lo affrontiamo con le stesse problematiche di quaranta anni fa. Basta pensare che, pur essendo nel terzo millennio e che mandiamo gente nello spazio, non riusciamo ad esportare carne suina in Cina per problemi veterinari
Stiamo parlando di sfide, mi auguro che non sia un libro dei sogni, come lo è stato per le generazioni di bravi allevatori e ottimi macellatori che ci hanno preceduto e che ci hanno passato il testimone, che con orgoglio dobbiamo portare avanti per il bene di tutto il settore dell'allevamento italiano, anche di quello che non crede ancora nella cooperazione e pensa di potercela fare da solo”
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