Gianni Fava, assessore all’Agricoltura della Lombardia, regione che da sola produce il 44% del latte italiano: “Da un ministro lombardo mi sarei aspettato maggiore attenzione al comparto”. Replica del ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina: “Sul latte noi abbiamo presentato un piano d’azioni e andiamo avanti pronti anche a integrare il percorso con ulteriori scelte”. Questa la sintesi di un paio di giorni politicamente ad alta tensione fra Lombardia e Mipaaf.

Lo stallo sull’accordo del prezzo del latte e i prezzi della materia prima che minacciano la sopravvivenza stessa delle stalle hanno contribuito ad accendere gli animi.

Basti pensare che nel distretto del Parmigiano-Reggiano gli allevatori non hanno gradito affatto la decisione del consorzio di tutela di ridurre la produzione del 5% per fronteggiare la crisi. Una decisione, quella di tagliare il numero di forme, comunicata dal presidente Giuseppe Alai nell’audizione dei giorni scorsi in commissione Agricoltura al Senato e bocciata, secondo quanto affermato da Coldiretti, dal 70% dei produttori interpellati. Nel frattempo, però, le quotazioni indicano un timido segnale di ripresa. Ieri la piazza di Milano ha segnato 7,55 euro al chilogrammo per il Parmigiano-Reggiano 12 mesi (+0,67% sulla quotazione precedente), mentre 9,53 euro/kg per la stagionatura di 24 mesi, il +0,53% rispetto alla settimana precedente. Non è molto, ma rappresenta – è auspicabile – un’inversione di tendenza.

La situazione tuttavia è una polveriera anche a livello internazionale. Nelle ultime settimane – riporta il quotidiano neozelandese Bay of Plenty Times, del gruppo dell’Herald – quattro produttori di latte si sono tolti la vita, dopo che la multinazionale Fonterra ha tagliato le previsioni di pagamento del latte. Una coincidenza? Nessuna illazione, ma negli ultimi sei mesi i suicidi di agricoltori sono stati complessivamente 14, oltre a qualche tentativo sventato o andato a vuoto.
Per citare qualche numero, che riporta l’autore del testo, Fonterra sembra aver abbandonato le proprie previsioni di pagamento per l’esercizio, scendendo al livello più basso degli ultimi otto anni: 4,70 dollari per chilogrammo di latte, che significa poco più della metà di quegli 8,40 dollari pagati la scorsa stagione.

Secondo l’associazione neozelandese dei produttori di latte questo comporterà una perdita di reddito intorno ai 6,6 miliardi dollari. Inevitabile la situazione di panico, anche perché, tutto il mondo è paese e in Nuova Zelanda così come in Francia, Germania o Italia, gli agricoltori hanno investito buona parte dei loro profitti, per non dire tutto, per acquistare ulteriore terreno, ammodernare l’azienda, acquistare macchine e attrezzature, ampliare la stalla o fare tutto questo insieme.

In un panorama che genera panico fra i produttori, nel Regno Unito la catena di distribuzione Sainsbury ha preso le parti degli allevatori, facendo pubblicare su quattro quotidiani britannici il prezzo del latte pagato alla stalla, in una sorta di pubblicità comparativa fra i principali gruppi della Gdo. Una mossa che è piaciuta all’associazione nazionale degli agricoltori di Sua Maestà e che potrebbe rilanciare i consumi dei prodotti made in England.

La linea di riconoscere un premio aggiuntivo agli allevatori non è così isolata. In Italia, ad esempio, è la linea adottata dalla Granarolo, che nell’ultimo trimestre del 2014, con l’asticella dei prezzi in discesa, la grande cooperativa bolognese riconosceva un prezzo di 40 centesimi al litro, al quale si doveva aggiungere il bonus sulla qualità.

Friesland Campina, la più grande cooperativa di allevatori al mondo (ricordiamo qualche numero: 19.284 allevatori soci, un fatturato che nel 2013 ha toccato 11,4 miliardi di euro, quasi 22mila dipendenti, esportazioni in 100 Paesi), punta molto sulla sostenibilità delle produzioni e ha introdotto – riporta Clal News - un premio per il latte ottenute da vacche alimentate al pascolo nel contesto del programma “Foqus Planet”, iniziato nel 2012 per assicurare,  entro il 2020, qualità e sostenibilità alle produzioni.
Il premio sarà progressivamente aumentato e sarà uno dei parametri di riferimento posto nei regolamenti per il pagamento del latte. Lo scopo del programma è salvaguardare e stimolare in modo trasparente le produzioni dal punto di vista di qualità, salute animale, sicurezza alimentare, sostenibilità e responsabilità dei processi operativi. Nel 2015 verranno adottati sei indicatori con cui misurare  salute e benessere animale, biodiversità ed ambiente, clima ed energia. Ogni indicatore avrà un valore, in modo da poter attribuire un punteggio complessivo ai risultati dell’allevamento su cui poi calcolare un premio sul pagamento del latte. Il premio per il pascolamento per il 2015 è stato innalzato a 1 euro per 100 chili di latte. Le risorse saranno reperite dalle detrazioni applicate al prezzo del latte per gli allevatori che non adottano tale pratica. Per chi invece adottasse la formula del pascolo solo parzialmente, riceverà un premio di 0,46 euro per 100 chilogrammi di latte conferito.

L’Asia si conferma un mercato dinamico, pur avendo decelerato in questa fase le importazioni rispetto ai ritmi di crescita ai quali ci aveva abituato. Ma gli investimenti dei grandi gruppi proseguono. Clal News segnala infatti che dal prossimo marzo la danese Arla Foods attiverà a Kuala Lampur, in Malesia, la Business Unit Asia per le attività nel Sud Est asiatico, compresa Cina, Corea del Sud e Giappone. Il potenziale atteso in cinque anni è un fatturato di oltre un miliardo di euro.

La Cina, invece, investe in Africa. Secondo quanto riportato da Ecns (la versione inglese del China News Service), l’impresa cinese Viju Industries, con sede dal 2004 a Lagos, in Nigeria, ha rafforzato la produzione di latte alimentare, succhi e bevande a base di latte, redigendo idonei protocolli igienico sanitari per la preparazione degli alimenti. Le polveri sono acquistate in Olanda, Nuova Zelanda e in Malesia, mentre localmente sono reperiti zucchero.
Macchinari, impianti e tecnici sono rigorosamente cinesi. Oggi la produzione ha raggiunto 1,2 milioni di confezioni, equivalenti a 400 tonnellate al giorno.