Facile sarebbe ironizzare su Riso amaro, il film di Giuseppe De Santis girato nel 1949, quando la monda del riso dalle malerbe veniva ancora effettuata a mano.
Un'era in cui non esistevano Pac, Pan, Psr, Ispra, Bio e tutta quella pletora di comitati misto-ecologisti con i quali l'agricoltura deve fare i conti ora.

Sempre meno molecole per le risaie, sempre più forte la pressione dei risi esteri. E poi le nutrie, l'Italian sounding. Una tenaglia a più ganasce cui pare sempre più difficile resistere per il prodotto italiano.
Quindi AgroNotizie ha pensato di dare la parola proprio a lui, al riso.

Con tutto quel che succede, fra limitazioni dei mezzi tecnici e concorrenze estere, Lei mi sembra, per così dire, mantecato al punto giusto, o sbaglio?
"Ma direi anche un po' bollito. Faccio sempre più fatica a guardare al futuro, per lo meno dalle province di Novara, Vercelli e Pavia, cioè quelle in cui regno sovrano da secoli".

Mica solo in quelle tre…
"Certo, anche Ferrara, Oristano e anche qualche piccola valle addirittura in Calabria. Ma non è che lì abbia particolari superfici. Pensi che in Sardegna sto vivendo perfino il tormento di alcuni comitati di cittadini che pretenderebbero di sloggiarmi dalle risaie".

In che senso scusi?
"Come Lei saprà, l'Oristanese era zona paludosa, retaggio storico di cui rimane ormai solo la palude di S'Ena Arrubia. Per le medesime ragioni da quelle parti è possibile coltivare riso. Le risaie dell'Oristanese sono da considerarsi storiche a tutti gli effetti. Orbene, pensi che alcuni cittadini hanno mosso istanze per fare asciugare le risaie in quanto popolate da zanzare che potrebbero trasferire malattie".

Perché mai dei cittadini dovrebbero chiedere l'essiccazione delle risaie in campagna?
"Semplice, Oristano è così cresciuta che ormai le case si sono infiltrate fra i campi coltivati. E da qui i comitati 'secca-risaie'. Secondo loro sarebbe inaccettabile che sotto le case ci siano delle risaie".

E invece?
"E invece a me pare inammissibile che le città si continuino a espandere fino a far sì che siano le case a incombere sui campi coltivati. Lì non sono le risaie finite sotto le case, sono le case finite sopra le risaie. Ma si rende conto della prepotenza?"

Eccome. Mi creda, ogni giorno vi sono attacchi alle attività agricole. I soliti cittadini che comprano la casa in campagna, poi si accorgono che c'è un allevamento e quindi puzza e mosche. Oppure vigneti e frutteti, quindi trattamenti. Insomma, storia già vista.
"Sì sì, già vista, ma intanto io in Sardegna rischio di perdere ulteriore terreno. Ma al Nord sto pure peggio, viste le falcidie di prodotti per la mia difesa".

Una faretra che in effetti di frecce ne mostra sempre meno…
"Ma sa che non so più da che parte girarmi? Le resistenze si vanno moltiplicando e invece di darmi una mano mi levano molecole. Gli Als inibitori, che hanno furoreggiato a partire dalla fine degli Anni '80, ormai funzionano a scacchiera, registrandosi fenomeni di resistenza che non sembrano rallentare col tempo. Oxadiazon me lo hanno ridotto anno dopo anno come percentuale aziendale trattabile. Almeno potevo contare sulle autorizzazioni di emergenza di quinclorac, pretilachlor e propanil. Invece niente".

E triciclazolo dove lo mettiamo?
"Nell'album dei ricordi, lo mettiamo. Era il pilastro della difesa contro il brusone. E mi hanno levato pure lui. Ma se volete che in Italia non si coltivi più riso ditelo!"

Guardi, fosse per me quelle molecole le avrebbe ancora tutte, magari da usare con parsimonia, ma ce le avrebbe.
"E se le avessimo ancora tutte, ne stia certo, tante resistenze mica le vedremmo in risaia. Con la mania di correre dietro alle sole sostanze attive monosito ed eco-friendly, ora i nodi vengono al pettine. Molecole eccezionali mandate al macello".

In che senso mandate al macello, mi scusi?
"Ma lei ha mai visto la fanteria leggera andare all'attacco senza la copertura dell'artiglieria e dell'aviazione? Ecco, con le molecole moderne è successo più o meno così. Tanto selettive, efficaci, poco tossiche, non residuano. Una meraviglia. Peccato che basti una mutazione del 'menga' e su quella malerba non funzionano più. Usarle per così tanti anni inibendo gli usi dei vecchi senatori multi-sito i risultati sono questi".

Ma Lei cosa avrebbe fatto di diverso?
"Semplice, avrei permesso alcune porzioni dell'azienda trattabili con qualche vecchio gladiatore. Magari brutto, forse un po' sporco, ma dannatamente efficace. Trattamenti a scacchiera, alternando molecole sia in pre-emergenza, sia in post. Le resistenze prima o poi sarebbero arrivate comunque, perché alla natura non ci si può opporre per sempre, ma almeno ciò sarebbe avvenuto in tempi più lunghi, dando modo di adattarsi progressivamente e prendere le più opportune contromisure".

In tal senso però la semina in asciutta ha dato una mano.
"Certo che sì. Porta con sé diversi vantaggi, anche perché permette di utilizzare appunto molecole che funzionano anche sulle malerbe ormai resistenti agli Als. Pendimethalin e clomazone, per fortuna, danno una mano consistente. Finché qualcuno non metterà mano anche a pendimethalin, ovviamente".

Per lo meno le varietà Clearfield hanno cambiato per anni il modo di affrontare la risicoltura, grazie alla loro resistenza all'imazamox.
"Un'idea eccellente, specialmente per fare fuori quella peste di mio cugino, il riso crodo. Per anni sono riuscito a crescere senza avercelo fra i piedi. Il problema è che non c'è solo lui e imazamox appartiene anch'esso agli Als. Cioè punto e a capo: se lasciato solo a combattere contro tutti, anche lui prima o poi lo infilzano. Di certo, siamo sconfinati nel ridicolo quando la prima preoccupazione fu quella di dimostrare che non erano varietà Ogm. Se le immagina le proteste per le risaie se le varietà Clearfield fossero state percepite Ogm? Da paura..."

E invece?
"Invece sono varietà ottenute tramite tecniche differenti da quelle di trasferimento di geni, cioè quello che fa classificare un ibrido fra gli Ogm, con tutte le conseguenze negative e forcaiole che sappiamo. Presente quelle tecniche con cui abbiamo ottenuto in passato anche frumenti moderni più produttivi e di taglia migliore? Ecco, siamo lì".

E sulle nuove tecniche di Genome editing mi sa dare qualche chicca?
"Se vuole, posso darLe qualche chicco…"

Spiritoso…
"Del resto mi chiamo riso, mica lagna. Ma per rispondere alla Sua domanda, sì, ci sono ricerche concrete anche in quella direzione. Ricerche che potrebbero cambiare molto le mie capacità produttive o magari, perché no, le mie resistenze ad altri erbicidi diversi da imazamox. In Cina, tanto per dire, un'equipe di ricercatori ha realizzato delle varietà sperimentali utilizzando la tecnica Crispr-Cas9. A quanto pare la produttività è aumentata del 30%".

E come ci sarebbero riusciti?
"Lavorando su 13 dei geni che codificano per i recettori dell'acido abscissico, cioè quella sostanza che in caso di stress, magari dovuto al gran caldo estivo, per proteggere la coltura chiude gli stomi e ne rallenta la crescita. Così però ne frena anche la resa. Disattivando alcuni di questi geni gli scienziati cinesi sono riusciti a ottenere varietà capaci di crescere e produrre senza farsi mettere il guinzaglio dall'acido abscissico. Ora bisognerà però vedere se funzionano a livello di campo, magari nei nostri areali".

Nell'attesa di sapere, che alternative ci sarebbero al momento? Forse il biologico?
"Commercialmente di sicuro. Ti pagano molto di più e mica produci meno".

Come sarebbe che non si produce meno? Anche se non si usano fertilizzanti chimici e agrofarmaci?
"Ah, no. Lei parla del bio vero. Quello che non usa nulla".

E certo che parlo del bio vero! Perché, c'è anche quello finto?
"Mah, caro Lei, quando vedo certi campi dove vengo raccolto intorno ai 70 quintali all'ettaro, sia in bio, sia in integrato… Ma io sono solo riso. Mica mi faccio problemi. Voi semmai dovreste preoccuparvi di non farvi prendere in giro".

Ma se un prodotto è certificato e non ci sono residui, dov'è la presa in giro?
"La presa in giro è che di residui su di me, quando mi impacchettate, non se ne trovano comunque. E poi, a Lei sembra normale che il certificatore sia pagato dal richiedente la certificazione?"

A me no, ma molti negano che ciò sia un conflitto di interessi.
"Sì, e mio nonno era il granturco. Le certificazioni sono di fatto una merce in vendita in cambio del rispetto, sostanziale o formale, di un disciplinare di produzione".

Ma fra sostanziale e formale c'è una differenza enorme…
"Appunto. Se no, secondo Lei, le rese potrebbero mai essere uguali? In certi campi sono palesi gli effetti della chimica, come lo erano quelli su certi ciclisti che andavano a 25 all'ora in salita e che hanno vinto sette Tour de France prima di essere sbugiardati e privati delle vittorie. Intanto però il ciclismo ha preso una batosta di immagine micidiale. Ecco, con il biologico spesso pare di essere nella stessa situazione: rese impossibili senza chimica, che diventano possibili misteriosamente. Non tornano i conti, anche perché chi fa, appunto, biologico vero si vede."

E in cosa si distinguerebbe dai bio-finti?
"Guardi che ce ne sono di risicoltori bio seri eh? Li vedi a colpo d'occhio. Lasciano metà azienda a sovescio, per fare riposare il terreno e mandare a vuoto gran parte delle malerbe da risaia. Coltivano solo l'altra metà, senza fertilizzanti né agrofarmaci. E infatti producono per loro stessa ammissione il 60% delle loro potenzialità. Il che significa che la loro azienda produce il 30% di quello che potrebbe. Va bene che in certi casi quando sono bio vengo pagato anche il triplo, ma la quantità finale crolla in modo micidiale. Per l'agricoltore è un affare, perché incassa più o meno la stessa Plv, ma risparmia svariate decine di migliaia di euro in diserbanti, lavorazioni e concimi".

Se tutti facessero così, però, sarebbe come avere un terzo delle superfici a riso in Italia. Il resto? Cambogia? Thailandia?
"Esatto. È il tipico esempio di furbizia individuale che diventa stupidità collettiva. Il prodotto bio andrebbe nelle tavole di una minoranza di borghesi benestanti, come spesso accade, mentre la maggioranza del popolo mangerebbe riso straniero a basso costo".

E ciò è un male?
"No, mica sono cattivi i miei cugini dell'Estremo Oriente, solo che diventa un male per il vostro Paese, che diverrebbe molto più dipendente dall'estero per gli approvvigionamenti. La cosa buffa è che a tuonare contro le importazioni dall'estero, rivendicando il made in Italy, sono più o meno gli stessi che osteggiano la chimica e promuovono il biologico. Si rende conto che teste ci sono in giro?"

Non me ne parli. Ogni giorno che passa mi chiedo cosa debba succedere all'Italia per farla rinsavire, ma mica vedo sbocchi. Forse se il prodotto da agricoltura integrata venisse pagato il giusto, anche gli agricoltori potrebbero evitarsi certi sotterfugi.
"Sicuramente molti, non tutti. Se pensa al giro di agrofarmaci rubati o taroccati che imperversa nelle risaie… Spesso furti su commissione, per colmare una domanda che per ovvie ragioni non può essere espressa in chiaro".

Quali ovvie ragioni?
"Ma scusi, se Lei ha il suo bel patentino, aderisce a disciplinari di lotta integrata e può comprare prodotti alla luce del sole, che bisogno ha di comprare merce che scotta col rischio di finire in galera? No, mi creda, se uno corre tali rischi è proprio perché in una rivendita a chiedere quegli stessi prodotti non può andarci a meno di indossare un passamontagna. E il consumatore tutte queste cose mica le sa".

Ovvio che no. Sembra quasi che non le sappia nemmeno il settore.
"Appunto: sembra...".

Una domanda al volo sui teli pacciamanti: Lei cosa ne pensa?
"Penso che il bilancio vada fatto considerando qualche variabile in più rispetto alla sola diminuzione di erbicidi. Di certo i teli mi facilitano la vita, facendomi germinare meglio senza poi subire la competizioni delle infestanti. Quindi a me vanno benissimo. Ho qualche dubbio invece sulla loro completa biodegradabilità: in quanto tempo? E poi, è davvero completa? Perché se c'è un problema di estrema attualità è quello legato alle microplastiche nell'ambiente. O questi teli siamo sicuri che spariscono letteralmente nel volgere di breve tempo, oppure bisogna rifare qualche conto. Magari anche economico, perché alla fine il risicoltore deve far cassa alla fine dell'anno. Inoltre, mi fa un po' sorridere che vada coltivato del mais per poi lavorarlo a livello industriale per produrre un telo utile a me, in risaia. Mi sembra un po' un cortocircuito, non trova? Inoltre, nel 2017 si è tenuto il XIX Convegno Italiano di Ornitologia, proprio in Piemonte e a pagina 85 degli Atti vi è un interessante contributo di Sergio Fasano, veterinario, incentrato proprio sui teli pacciamanti e sul loro impatto sull'avifauna nell'area di Livorno Ferraris, nel vercellese. Ma perché sorride?"

Perché una persona che si chiama Fasano di cognome e fa l'ornitologo è un po' come il mio professore di zoologia all'università che si chiamava Calamari. Quindi mi è già simpatico.
"Nomen omen, in effetti. Ma lazzi a parte, le osservazioni di Fasano sull'avifauna sarebbero da tenere a mente prima di stendere quei teli o di dare contributi per il loro acquisto in nome di una eco-sostenibilità che forse non è così limpida come si crede. Nelle risaie non pacciamate si sono infatti rinvenute molte più specie e molti più individui che in quelle pacciamate. Nelle prime sono state infatti 170 le osservazioni relative a 17 specie, di cui sei dominanti. Nelle pacciamate solo 29, su sole sette specie, di cui tre dominanti. L'indice di diversità calcolato è cioè stato pari a 2,00 per le non pacciamate e 1,27 per le pacciamate. L'airone cinerino, simbolo delle risaie, ha mostrato 7,76 contro 2,39, mentre per la garzetta sarebbero stati addirittura 11,63 individui nelle non pacciamate e solo 0,36 nelle pacciamate. Il rapporto è infine di 15 a 1,46 per l'airone guardabuoi. In pratica, un decimo. Pare cioè che le risaie tradizionali siano ampiamente preferite dall'avifauna, finendo con l'ospitare comunità più numerose in senso assoluto e più diversificate quanto a specie. Dicevamo della biodiversità del biologico? E magari andrebbero pure rivisti gli usuali armageddon che gravano sugli erbicidi. Perché le risaie non pacciamate le avran ben diserbate, no? Ma sugli uccelli pare che ciò non abbia influito affatto, con buona pace dei detrattori dell'agrochimica”.

E ora si attende qualcuno che studi magari l'andamento delle popolazioni di rane nelle risaie convenzionali. Perché l'aumento delle popolazioni aviarie temo possa indurre un aumento della loro predazione. Uno squilibrio, quello dell'avifauna, che potrebbe quindi provocarne a sua volta degli altri.
"Ogni volta che l'uomo mette mano alla natura questa si modifica. E non sempre queste modifiche sono coerenti con le aspettative e con le intenzioni iniziali dell'uomo stesso. Mi sa che alla fine, gira che ti rigira, tornerete alle mondine: unico mezzo tecnico a bassissimo impatto ambientale. Magari non per loro, povere donne, ma sicuramente ben più ecosostenibili nel lungo periodo rispetto a ogni altra soluzione agronomica".

Mondine e avifauna a parte, sul discorso etichettatura cosa ne pensa?
"Personalmente, io vengo coltivato in mezzo mondo. Sa a me cosa interessa se sul pacchetto ci scrivono da dove vengo? Semmai può interessare a chi mi compra se sono italiano oppure no. Fino al 31 marzo 2020 valgono i decreti ministeriali che hanno introdotto l'obbligo di indicazione dell'origine. Sono stati concepiti per più prodotti, ovviamente. Oltre a me ci sono dentro anche latte, pasta, e pomodoro. Poi si vedrà. In tal modo il cittadino che vuole mangiare italiano sa che riso comprare. Poi però si cade sempre sul prezzo, perché se al fianco del riso italiano c'è quello cambogiano che costa un terzo in meno, secondo Lei la maggior parte dei consumatori cosa compra?"

Il riso cambogiano. Perché la gente mica ha portafogli infiniti.
"Appunto. Sempre lì si va a finire, sul prezzo e sulla predisposizione alla spesa dei consumatori. L'etichettatura aiuterà un po', ma non risolverà la questione del differenziale di prezzo. Perché sa che sono davvero strani questi cittadini? Prima strillano contro i pesticidi, poi contro le importazioni, ma quando vedono un riso italiano di qualità, solo più costoso, mi ci gioco le glume che lo lasciano lì e prendono lo straniero."

E temo che le glume le perderebbe, perché alle rimostranze popolari per un cibo italiano, spesso non corrispondono scelte coerenti al momento della spesa.
"Triste, ma è così. Ma ora La devo lasciare. Ho gli argini della camera devastati dalle nutrie. Sembrano miliardi da tante sono. Fanno danni micidiali e c'è ancora qualche disconnesso dalla realtà che ne perora la protezione manco fossero una specie in via di estinzione. Se voi cittadini non fate pace con voi stessi e la vostra testa, mi sa che di riso italiano di qui a dieci anni ne mangerete poco..."

Impossibile dargli torto. La moglie ubriaca e la botte piena non si possono avere. O si produce, tanto, permettendo di contenere i costi tramite l'uso di tecnologie sempre più raffinate, oppure la rincorsa alle alternative pseudo-naturali e l'odio per la chimica apriranno squarci dove adesso ci sono solo crepe. Con buona pace del riso e dei risicoltori.

E cittadino sarà Lei, intesi?