In Sardegna, si sa, la crisi sta colpendo anche più duramente che in altre Regioni. La chiusura di Alcoa, industria dalle esigenze  energetiche tali da metterla fuori mercato, fa ancora bruciare la pelle alle migliaia di famiglie che presto non sapranno come fare a tirare avanti.
Nel frattempo, a circa 100 chilometri a nord dell'Alcoa si scopre un giacimento da tre miliardi di metri cubi di metano, corrispondenti a un valore di mercato finale superiore al miliardo di euro. La società Saras, della famiglia Moratti, avanza un progetto di prospezione geologica esplorativa, ma viene bocciata sul nascere. L'area in cui Saras vorrebbe installare la trivella d'esplorazione è a meno di 400 metri dalla palude di S'Ena Arrubia, un'area protetta da severi vincoli di tipo urbanistico e paesaggistico. Dove non può essere costruito nemmeno un gabbiotto dove riporre attrezzi, era prevedibile che una trivella facesse rizzare i capelli ad ambientalisti e politici locali. Il servizio Sostenibilità ambientale e valutazione degli impatti (Savi) ha infatti comunicato a Saras "l'improcedibilità della procedura in esame, disponendone, al contempo l'archiviazione”. La procedura non può procedere. Punto, archiviato. A quanto pare, nemmeno la valutazione d’impatto ambientale redatta dalla società sarebbe valsa a qualcosa. Il problema era già a monte, quindi insuperabile.

Forse il recente Decreto "Sblocca Italia" porterà con sé alcune conseguenze, visto che prevede il via libera alle attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi in mare e sulla terraferma. Leggendo il Decreto si scopre infatti che la ricerca e l’estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi vanno considerate quali “attività di pubblica utilità, urgenti e indifferibili”. I procedimenti di valutazione ambientale verranno per giunta trasferiti dalle Regioni al Ministero dell’Ambiente, mentre a quello dello Sviluppo economico spetterà il compito di rilasciare le concessioni alle società che ne faranno richiesta.

Non resta quindi che aspettare e vedere se nei prossimi anni qualcuno verrà obbligato a rivederle certe valutazioni. E magari convenire che, si, il costo vale la candela.

Ma cosa c'entra il metano sotto la palude di S'Ena Arrubia con l'agricoltura, potrebbe chiedersi qualcuno? C'entra, per lo meno di sponda. Chi ha ricevuto in dono una buona memoria potrebbe infatti ricordare un'altra protesta simile, inscenata solo pochi mesi prima del caso "metano". Sempre nell'Oristanese, soltanto una quindicina di chilometri più a nord della palude di S'Ena Arrubia, un comitato di cittadini della località Sa Rodia aveva infatti combattuto strenuamente contro le storiche risaie locali. Secondo i preoccupati abitanti della zona, le risaie, in quanto zone umide, favorirebbero la proliferazione delle zanzare, portatrici di malattie gravi come la Febbre del Nilo. Questo virus non è una mammoletta: recentemente un anziano è morto a causa di questa malattie febbrile. E non è mica successo al Cairo, bensì a Pizzighettone, un paesotto molto carino affacciato sull'Adda, in Provincia di Cremona. Lì di zanzare ve ne sono a stormi interi, anche senza bisogno di coltivare riso.
Tornando però in Sardegna, giova magari ricordare come ampie porzioni dell'isola fossero coperte da paludi, bonificate e rese salubri e produttive durante il Ventennio fascista. Di quelle paludi resta ora solo una sorta di "reperto", ovvero proprio lo stagno di S'Ena Arrubia appena citato, per la cui tutela altri comitati di cittadini si sono parimenti schierati, mostrando la medesima determinazione rilevata nelle proteste anti-risaie.

Strano, perché le risaie dell'Oristanese sono anch'esse da considerarsi come un "reperto" storico. Agricolo magari, ma pur sempre reperto. Tradizione, storia e cultura passata sembra però che in tal caso siano valse a poco, il tutto in nome di presunti rischi viral-entomologici per la popolazione.
Peraltro, sarebbe esilarante scoprire che qualche contestatore delle risaie si è magari unito al successivo coro di proteste anti-Moratti e a favore della palude in questione. Perché se così fosse, risulterebbe per lo meno schizofrenico agli occhi del buon senso protestare oggi contro una zona umida di tipo agricolo, quindi produttiva, salvo poi protestare domani a favore di un'altra zona umida, questa volta di valore paesaggistico e faunistico, per giunta sita a pochi chilometri dalle tanto vituperate risaie di cui al punto precedente. Per questo stagno, infatti, pare che nessuno abbia pensato a zanzare o virus nord-africani, i quali sarebbero un pericolo gravissimo quando si parla di risaie, salvo poi divenire del tutto trascurabili quando si tratti di paludi.
Tale contrasto logico diviene ancor più sconcertante se ci si sofferma sul fatto che le risaie sono allagate solo per quattro mesi l'anno, mentre la palude resta tale per 365 giorni filati, permettendo quindi alle zanzare di compiere diversi cicli biologici in più. L'habitat di uno stagno è infatti ben più confacente alle esigenze delle zanzare rispetto a quello che si riscontra in una risaia. Ben lo sapevano i Ferraresi, gli Agropontini e gli stessi Oristanesi prima che venissero effettuate le grandi opere di bonifica del secolo corso. E si parlava di malaria, allora. Mica di raffreddore.

Sia come sia, una considerazione finale va pur fatta: bene fanno i Sardi (per lo meno alcuni) a salvaguardare lo stagno di S'Ena Arrubia. Visto come è messa economicamente l'isola - e viste le prospettive economiche sempre peggiori in termini occupazionali - forse quello stagno permetterà in futuro alla popolazione locale di sfamarsi pescando e cacciando proprio gli animali palustri.
Sempre che le autorità locali non considerino la loro valutazione di impatto ambientale non congrua rispetto alle esigenze di mettere qualcosa sotto ai denti...