Spesso si sente dire "dal campo alla tavola", ma cosa accade prima di arrivare al campo, affinché un determinato prodotto possa essere coltivato? Prima c'è il lavoro fondamentale della ricerca, che sviluppa e testa soluzioni innovative per gli agricoltori. In questo contesto, possiamo dire che il percorso parte proprio "dalla ricerca al campo" per poi proseguire verso la tavola.

 

Al momento la ricerca in agricoltura si sta impegnando nel trovare soluzioni alternative ai fitofarmaci di sintesi per ridurne in maniera efficiente l'uso.

 

È di questo che si è parlato il 26 novembre 2024 a Firenze, durante una giornata di studio promossa dal Progetto Agritech, dall'Accademia dei Georgofili e dall'Accademia Nazionale Italiana di Entomologia.

 

Durante l'incontro sono state presentate diverse linee di ricerca: la gestione agroecologica per tutelare biodiversità e servizi ecosistemici, lo sviluppo di soluzioni alternative agli agrofarmaci come la bioprotezione, l'uso di tecnologie innovative e biotecnologie per interventi di precisione, nello spazio e nel tempo.

 

Come ridurre l'uso degli agrofarmaci di sintesi? Le soluzioni pratiche

Non ci stancheremo mai di parlare di biodiversità

"Il sistema è tanto più stabile tanto più è diversificato!", ha affermato durante l'incontro Francesco Pennacchio, dell'Accademia Nazionale Italiana di Entomologia. Infatti, in una strategia di gestione agroecologica del campo agricolo, aumentare la biodiversità migliora i servizi ecosistemici e può mantenere o aumentare le produzioni.

 

Ad esempio, creare un sistema di siepi o strisce tampone come siti rifugio permette di preservare e/o potenziare l'azione svolta dai nemici naturali già presenti in campo così da poter ridurre l'uso degli agrofarmaci di sintesi. Fare rotazioni colturali o avere delle policolture in campo può ridurre i problemi legati ai patogeni e parassiti, diminuendo il rischio di epidemie, e può attirare insetti impollinatori.

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Per questo, ha affermato Lorenzo Marini dell'Università di Padova, "La biodiversità funzionale non è opzionale ma è fondamentale negli agroecosistemi. E quando consideriamo qualsiasi coltura, la resa dipende sia dagli input agronomici sia dai servizi ecosistemici, anche se spesso sono considerati degli elementi invisibili".

 

L'auspicio è che in futuro le istituzioni valutino il livello di diversità funzionale di un'azienda per certificare e valorizzare queste strategie conferendogli anche un valore economico.

 

I microrganismi benefici sono già presenti nel terreno

È negli anni '80 che è cominciata l'immissione in commercio dei fitofarmaci biologici. Come spiegato durante il convegno è un mercato che oggi supera quello dei prodotti convenzionali e anche i lavori scientifici che vengono pubblicati a riguardo sono la maggioranza.


Nell'ambito delle biosoluzioni rientrano anche i microrganismi benefici i cui meccanismi d'azione riguardano l'antagonismo, l'antibiosi, la competizione e la resistenza indotta.

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Spesso gli inoculi di microrganismi benefici che si trovano sul mercato possono non funzionare bene per diversi motivi: possono fare fatica a colonizzare la rizosfera e competere con i microrganismi già presenti; possono non sopportare le condizioni ambientali, diverse da quelle dove il microrganismo è stato isolato e moltiplicato.

 

Cosa sta facendo quindi la ricerca a riguardo? Sta studiando il modo in cui è regolata la comunità microbica già presente nel terreno.

 

Annalisa Polverani, dell'Università di Verona, spiega che innanzitutto c'è una componente genetica che regola l'interazione tra il microbioma della rizosfera e la pianta: "Ogni specie ha il suo microbioma specifico che è regolato in maniera genotipo dipendente. È una selezione che la pianta fa attraverso gli essudati radicali. O addirittura il microbioma può essere diverso anche a seconda delle varietà. Inoltre, quando una pianta si ammala, richiama a sè dei microrganismi utili attraverso specifici essudati, reclutando quindi una comunità microbica benefica specifica".

 

In questo senso la ricerca potrebbe lavorare sul miglioramento genetico per trovare delle piante con un determinato tipo di microbioma utile, oppure capire quali sono gli essudati che la pianta rilascia e che le permettono di richiamare una specifica comunità. L'idea potrebbe essere quella di costruire delle comunità microbiche ad hoc oppure scoprire se questi microrganismi sono coltivabili o meno, quali caratteristiche portano e come si possono favorire nel terreno.

 

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Dalla presentazione di Annalisa Polverani, dell'Università di Verona

(Fonte: AgroNotizie®)

 

A che punto siamo con la lotta biologica?

Facendo riferimento alla lotta biologica classica, cioè quella pratica che prevede l'introduzione di uno o più nemici naturali contro specifici fitofagi esotici dallo stesso luogo di origine, possiamo dire che al momento in Italia siamo in una fase di equilibrio tra rischi e benefici.

 

Cosa significa? In passato, l'introduzione di organismi esotici utili veniva gestita con maggiore leggerezza, tanto che, a seguito di alcuni fallimenti, si decise di vietare la lotta biologica classica. Oggi, invece, questa pratica è affrontata con modalità di gestione più attente e consapevoli.

 

Lucia Zappalà, dell'Università di Catania, dice: "C'è stato un cambio di paradigma, il numero delle introduzione non è elevato mentre sono aumentate le valutazioni post rilascio e i modelli di valutazione rischi/benefici. In questi modelli non c'è solo una valutazione dei benefici di tipo economico o di efficacia del trattamento ma anche di benefici legati alla protezione della biodiversità locale e nativa nella quale le introduzioni di esotici vengono messe in relazioni a specie vegetali indigeni che possono essere danneggiati dalle specie introdotte. C'è una valutazione molto più a 360 gradi dell'effetto positivo o negativo delle introduzioni".

 

Questo può essere visto come un buon punto di partenza per l'eventuale futura gestione di nuovi insetti esotici come Bactrocera dorsalis, Diaphorina citri, Spodoptera frugiperda.

 

Progressi anche con le biotecnologie

Miglioramento genetico e biotecnologie vegetali: incroci classici da un lato (quindi, nuove varietà) e innovative tecniche di genetica per ottenere le stesse varietà, ma migliori.

 

Con biotecnologie si fa riferimento alle tecniche di cisgenesi, transgenesi, intragenesi e poi le nuove tecniche di genome editing e di silenziamento genico.

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Riccardo Velasco, del Crea, durante l'incontro ha detto: "Con queste tecniche si possono selezionare e mappare dei geni di resistenza e di qualità. Per esempio per la vite ci sono circa una cinquantina di geni di resistenza i cui loci sono stati isolati per il controllo della peronospora e dell'oidio. Ben altra cosa è per le tecnologie avanzate dove dobbiamo conoscere la sequenza precisa. È proprio grazie alla disponibilità del lavoro fatto nella metà del 900 sul micropropagamento genetico della vite oggi abbiamo dalle 6 alle 8 generazioni di vitigni resistenti che possono essere clonati".

 

Essere più precisi aiuta a ridurre l'uso degli agrofarmaci di sintesi

L'agricoltura di precisione serve ad intervenire dove, come e quando è più necessario, evitando sprechi ed errori. Alla base ci sono tecniche di monitoraggio delle avversità che permettono di avere un quadro delle epidemie, modelli previsionali che consentano di valutare il rischio a cui la coltura è esposta e tecnologie per ottimizzare l'applicazione.

 

Le mappe per il monitoraggio, per esempio, spiega Fabrizio S. Gioelli, dell'Università di Torino, "possono aiutare con il diserbo tramite il riconoscimento dell'infestante. In più, con macchine in grado di attivare il singolo ugello si può fare una distribuzione spot".

 

I dati sulla vegetazione possono essere raccolti tramite remote sensing (con camere multispettrali e camere iperspettrali) o in tempo reale (con infrarossi, sensori a ultrarossi, lidar e stereocamere). Le macchine poi possono essere regolate di conseguenza variando il numero di ugelli attivi, controllando la direzione e il volume d'aria in funzione della dimensione e della densità del bersaglio.
 
"Mettendo insieme tutti questi elementi, ecco il prototipo di smart sprayer Agritech fatta per effettuare distribuzione a rateo variabile con atomizzatore a torretta e sistema di regolazione dell'aria. Abbiamo valutato la deriva aerea e la deriva sovra chioma e abbiamo ridotto del 73% il volume effettivamente distribuito".

 

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Dalla presentazione di Fabrizio S. Gioelli, dell'Università di Torino

(Fonte: AgroNotizie®)

 

"Le nuove tecnologie - continua Gioielli - sono da considerarsi un fattore chiave nell'ottica del raggiungimento degli obiettivi futuri di riduzione dei prodotti fitosanitari. L'elettronica e gli attuatori installati sulle macchine sono ormai affidabili e consentono di raggiungere livelli di precisione del tutto adeguati allo scopo. Al momento però non è ancora chiaro l'impatto delle macchine irroratrici e dei loro componenti sull'utilizzo di prodotti alternativi. Ad esempio, l'impatto che hanno sulla vitalità degli agenti di biocontrollo.

 

Il corretto funzionamento delle macchine a rateo variabile e l'effettiva capacità di ridurre quantità di agrofarmaci impiegata e perdite nell'ambiente andrebbero comunque certificate".

 

Cosa si può fare con i sistemi di supporto alle decisioni e i modelli matematici?

I Dss servono a fornire informazioni e supporto decisionale all'agricoltore. Sono nati negli anni '80 ma inizialmente non hanno avuto molto successo per una serie di limitazioni sia a livello tecnologico che socioeconomico. Vittorio Rossi, dell'Università di Piacenza, spiega: "Se dal punto di vista delle limitazioni tecnologiche abbiamo fatto enormi passi in avanti non abbiamo fatto per l'altro e cioè l'attitudine soprattutto degli utilizzatori finali nell'accettare e utilizzare queste tecnologie".

 

Attraverso il monitoraggio (del suolo, delle piante, delle malattie, del meteo, quindi dell'ambiente nel suo complesso) si possono ottenere un enorme mole di dati che vengono immagazzinati in un server. Tutte le informazioni vengono poi analizzate, reinterpretate e attraverso un'interfaccia possono essere restituite sotto forma di strategia all'agricoltore.

 

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Dalla presentazione di Vittorio Rossi dell'Università di Piacenza

(Fonte: AgroNotizie®)

 

 

Per elaborare i dati si possono usare i modelli matematici. "Sono una rappresentazione semplificata della realtà e cioè delle relazioni tra patogeno, pianta, ospite e ambiente e possono determinare lo sviluppo dell'epidemia nel tempo e/o nello spazio. - continua Rossi - A partire dalla seconda metà del secolo scorso sono stati sviluppati molti modelli con l'obiettivo di migliorare il controllo delle malattie".

 

Ci sono due tipi di modelli principali:

  • modelli di dati o modelli empirici, interpretano il fenomeno sulla base di osservazioni di campo (empiriche) e cercano di prevederlo sulla base delle esperienze del passato. Sono i meno adatti per i sistemi di supporto alle decisioni;
  • modelli di processo o meccanicistici, interpretano il fenomeno sulla base di come funziona il sistema (processi) e cercano di prevederlo sulla base delle condizioni del momento e quelle future e sono i più adatti per i sistemi di supporto alle decisioni.

L'approccio deve essere di tipo multimodelling: "I modelli prevedono i periodi d'infezione e aiutano a programmare gli interventi di difesa. Vi sono però altre questioni da affrontare: la pianta è suscettibile alle infezioni? La pianta è già protetta da un trattamento precedente? Quale fungicida dovrei usare e a quale dose? L'ambiente è adatto per l'applicazione? Per questo al Dss si abbinano altri modelli, per esempio sulla dinamica dei fungicidi, sulla crescita della pianta o sugli agenti di biocontrollo", conclude Rossi.

 

Riflessioni e conclusioni

Nel pomeriggio si è poi tenuta una tavola rotonda con molti attori del mondo agricolo e istituzionale e sono usciti fuori diversi concetti da portarsi a casa.

 

Nonostante la sensibilità all'ambiente stia crescendo, non tutti gli agricoltori sono aggiornati sulle soluzioni alternative per ridurre l'uso degli agrofarmaci e c'è bisogno di più collaborazione per portare nel campo le soluzioni che la ricerca sviluppa. Uno dei punti principali sottolineato da tanti, infatti, è stato quello della trasferibilità dei risultati di notizie e informazioni agli agricoltori. Chi è nel campo al momento è recettivo all’idea di ridurre l'uso dei prodotti ma non sa da dove partire e se le alternative siano davvero efficaci, inoltre ha paura di restare senza strumenti per gestire le colture.

 

Enrico Fravili, di Copagri ha detto: "Abbiamo la necessità di togliere tutto quello che facciamo in università e nei luogo di ricerca e trasportarlo sul campo e per fare questo serve la figura del divulgatore. Anche l'Ue attraverso l'Akis ha dato un segnale per poter portare la divulgazione nelle aziende agricole. Questo permette anche di ricevere un feedback di ritorno verso il mondo della ricerca dalle aziende agricole. Un passaggio tra chi fa l'innovazione e chi queste innovazioni le usa".

 

"A questo aspetto si aggiunge anche l'educazione del consumatore - afferma Nada Forbici di Coldiretti - perché è lui che crea il mercato chiedendo il prodotto, e noi dobbiamo educare il consumatore a leggere l'etichetta e a scegliere prodotti italiani più salubri. È infatti necessario il passaggio dalla ricerca alla messa in campo, per sfruttare al meglio i risultati delle innovazioni ed aumentare la resilienza e la competitività economica delle filiere agroalimentari, giungendo infine all'opinione pubblica dei consumatori".

 

Si è parlato anche di investimenti, non solo di denaro ma anche di tempo e impegno nei confronti di pratiche più sostenibili. Paolo Carnemolla di Federbio è intervenuto: "È da tantissimi anni che si parla di agricoltura integrata, e nel 2024 è il caso di darci una mossa. Infatti, dal 2014 l'agricoltura integrata è pratica obbligatoria in Unione Europea e da 33 anni l'unica forma di agricoltura sostenibile normata in Europa è l'agricoltura biologica. C'è bisogno che quell'investimento fatto nel secolo scorso sull'agricoltura integrata sia trasferito a lle pratiche di agricoltura biologica".

 

A conclusione della giornata di studio, Francesco Pennacchio dell'Accademia Nazionale Italiana di Entomologia ha fatto una proposta: "Vorrei scrivere un documento sulle problematiche relative a questo argomento, sulle possibili soluzione e sul ruolo che ogni componente può avere. Un documento che poi verrebbe messo a disposizione anche degli organi decisionali che in qualche modo hanno un quadro frammentato o composto da punti di vista ideologici. Tutto l'ecosistema della difesa fitosanitaria deve convergere in uno schema logico condiviso in cui ognuno ha un ruolo. Deve portare all’attenzione dei punti essenziali su cui intervenire".