Agricoltura strategica
Mentre cresce l'export di prodotti agroalimentari, tanto che nel 2021 si è raggiunto il nuovo record di 52 miliardi di euro, l'Italia continua ad essere deficitaria nell'approvvigionamento di materie prime agricole.
Lo scrive Lorenzo Frassoldati sulle pagine di QN del 6 giugno, ricordando che il deficit si è aggravato negli ultimi anni, passando dai 7,8 miliardi del 2019 agli 8,4 miliardi dell'anno scorso.
Il conflitto e il rialzo dei prezzi delle materie prime a livello internazionale sta ponendo il tema dell'autosufficienza come un fattore strategico per il paese.
Critico a questo proposito il parere del presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti.
In passato l'Europa doveva affrontare il problema dei surplus produttivi, oggi, complice politiche poco lungimiranti, ci troviamo in una situazione opposta.
Per giunta molte filiere sono a rischio; si pensi in particolare al settore della zootecnia che risente in modo pesante della situazione internazionale.
Difficile la situazione di un settore strategico come quello dei cereali.
La produzione è in costante calo, tanto che per il mais si registra una contrazione del 33% negli ultimi vent'anni.
L'Europa, conclude l'articolo, deve tornare con rapidità a produrre cereali, semi oleosi, colture proteiche per frenare la corsa al rialzo dei prezzi.
Indispensabile a questo proposito una deroga agli obblighi della riforma Pac per la messa a riposo dei terreni.
Posti di lavoro
È una pesante critica al decreto flussi quello che Benedetta Vitetta affida alle pagine di Libero in edicola il 7 giugno, lamentando la difficoltà di trovare manodopera per il lavoro agricolo.
Da una parte i lavoratori con visto di ingresso, ma che non possono sottoscrivere il contratto di soggiorno per lavorare.
Dall'altro gli sportelli unici che non rilasciano il visto e il nulla osta a chi vuole entrare come stagionale.
Dei 42mila posti di lavoro previsti dal decreto flussi del 2021 per lavorare in agricoltura, ad oggi ci sono solo un migliaio di persone.
Per molte aziende agricole, da Nord a Sud, si paventa la possibilità di non poter raccogliere prodotti ormai maturi.
Nasce da qui la proposta che agli stagionali venga rilasciata in tempi rapidi un'autorizzazione cartacea per poter raccogliere frutta e ortaggi e di accelerare il visto per entrare al più presto in Italia.
I ritardi che si sono cumulati rischiano di far perdere raccolti preziosi in un momento in cui i mercati internazionali sono per di più in preda a speculazioni e accaparramenti.
Sono necessari, si legge in conclusione, interventi rapidi per superare gli ostacoli e consentire la raccolta dei frutti di un anno di lavoro.
Il grano e le speranze
Numerosi i quotidiani, e fra questi il Quotidiano del Sud, che l'8 giugno anticipano la possibilità di una svolta per le esportazioni di cereali dai porti dell'Ucraina.
Lo sblocco del porto di Odessa, scrive Anna Maria Capparelli, riaccende le speranze nei paesi che dipendono dai cereali ucraini e che sono in uno stato di grave insicurezza alimentare.
Nel frattempo l'Italia si sta preparando ad aumentare la produzione di cereali utilizzando i 200mila ettari sui quali l'Unione europea ha sospeso i vincoli che ne impedivano la coltivazione.
Ma bisognerà fare i conti con il voto che Parlamento europeo esprimerà il prossimo 22 giugno a proposito della strategia Farm to Fork, che propone di tagliare di oltre il 40% l'uso della chimica.
L'europarlamentare Paolo De Castro si dice pronto a dare battaglia a un provvedimento che porterà a un consistente calo, dal 15 al 17%, della produzione agricola europea, provocando un ulteriore rialzo dei prezzi delle derrate agricole.
Prima di imporre obblighi, aggiunge De Castro, bisogna predisporre soluzioni, come ad esempio le tecniche genetiche di nuova generazione (Tea), che rafforzano la resistenza delle piante consentendo al contempo maggiore sostenibilità e maggiore produzione.
Ci sarà meno grano
Il giorno seguente, il 9 giugno, è ancora il Quotidiano del Sud che gela le speranze della vigilia, annunciando il mancato accordo per liberare il grano fermo nei porti dell'Ucraina.
Segnali poco incoraggianti arrivano poi dalle stime sui prossimi raccolti a livello mondiale.
Citando analisi della Coldiretti, la produzione mondiale di cereali è in calo, e si attesterà sui valori minimi degli ultimi quattro anni in conseguenza di condizioni climatiche avverse.
I cali più importanti potrebbero riguardare il mais destinato all'alimentazione degli animali, poi il grano e il riso, mentre al contrario aumenta la produzione di orzo e sorgo.
Le previsioni di S&P Global Ratings parlano di un drammatico aumento del numero di persone in condizioni di insicurezza alimentare.
Il direttore della Fao, Qu Dongyu, ricorda che nel 2021 già 193 milioni di persone in 53 Paesi si trovano in questa situazione di insicurezza per il cibo.
Il conflitto in corso in Ucraina rischia di aumentare questo numero, generando una crisi alimentare mondiale dagli effetti devastanti.
E peste fu
E' liquidata in molti casi in poche righe o relegata alle pagine locali, come nel caso di Repubblica del 10 giugno, la notizia del passaggio della peste suina africana dai cinghiali a un allevamento di Roma, situato nella “zona rossa”.
I casi sarebbero sono solo due e coinvolgono a un piccolo allevamento (nelle strutture professionali le norme di biosicurezza hanno sino ad ora consentito di tenere il virus fuori dalla porta).
Ma l'episodio assume comunque una forte gravità per le conseguenze sui commerci, anche internazionali, dei prodotti a base di carne suina.
La conferma, si legge nell'articolo, è arrivata dall'assessore regionale alla Sanità, Alessio D'Amato e come da prassi tutti gli animali presenti nell'allevamento sono stati abbattuti.
L'episodio è un forte campanello di allarme per il settore suinicolo che mette a rischio 21 Dop e 12 Igp realizzate con la carne suina.
Nel solo Lazio sono in pericolo 50mila suini, cosa che impone un ripensamento dei programmi di contenimento della popolazione di cinghiali.
Bio sì, però…
Sulle pagine de Il Sole 24 Ore dell'11 giugno Giorgio dell'Orefice mette in discussione gli obiettivi del Green Deal, il progetto europeo che si ripropone fra l'altro di raggiungere entro il 2030 il 25% delle superfici bio in Europa.
Un progetto da ripensare se si tiene conto di quanto accaduto prima con la pandemia e ora con il conflitto fra Russia e Ucraina.
Citando l'esempio proposto recentemente da Attilio Scienza, dell'Università di Milano, l'articolo ricorda che nell'aprile del 2021 il presidente dello Sri Lanka Gotabaya Rajapaksa ha imposto al proprio Paese il divieto di importare fertilizzanti e prodotti chimici promuovendo il passaggio a un'agricoltura completamente autarchica e biologica.
Il risultato, a un anno di distanza, è che lo Sri Lanka è alle prese con una delle peggiori carestie della propria storia.
Se l'agricoltura biologica dovrà assumere un ruolo chiave nelle produzioni agricole europee, prosegue l'articolo, non potrà restare ancorata alle tradizioni, ma dovrà aprirsi all'innovazione tecnologica.
Vitelloni a rischio
L'aumento dei costi di produzione, non compensato da un analogo aumento dei prezzi di mercato sta mettendo in forse molte attività zootecniche e fra queste rischia il tracollo uno dei pochi allevamenti di bovini dai carne che può vantare un marchio di origine Igp: il Vitellone bianco dell'Appennino centrale.
A lanciare l'allarme è Gabriele Bonfiglioli dalle pagine di QN del 12 giugno, dove ricorda le criticità che stanno pesando su questa particolare produzione, che si estende da Bologna ad Avellino, passando per Marche, Toscana, Abruzzo, Lazio e Molise.
Tre le razze allevate, come ricorda il presidente del Consorzio di tutela, Stefano Mengoli, la chianina, la romagnola e la marchigiana.
Il numero di animali certificati è salito nel 2021, arrivando a sfiorare quota 18mila capi.
Il rialzo dei costi di energia e di alimentazione sono però raddoppiati, mentre il prezzo della carne è rimasto praticamente stabile e ora si produce in perdita.
Il rischio è quello di veder sparire molte aziende zootecniche, accentuando l'abbandono di territori fragili come possono esserlo gli Appennini.
Le soluzioni ci sono, conclude l'articolo, e passano da Bruxelles che dovrebbe modificare le sue politiche in tema di agricoltura e abbandonare l'idea di trasformare molte aree da agricole a naturalistiche.
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