Lo sappiamo bene, non possiamo più continuare a produrre e consumare cibo come abbiamo fatto fino ad oggi. Occorre pensare e realizzare un nuovo sistema produttivo a livello globale, che sia in grado di fornire cibo buono e sano per una popolazione mondiale in aumento, facendo i conti con i cambiamenti climatici e con la necessità di essere più sostenibili.
La sfida non è semplice e in molti stanno cercando il bandolo della matassa. L'Unione Europea ha adottato diverse strategie, come la From Farm to Fork. Il Governo degli Stati Uniti sostiene le iniziative private, come quelle nei settori del carbon farming e dell'agricoltura rigenerativa. Anche la Cina ha messo tra le priorità del suo piano di sviluppo quinquennale la food security.
Ogni Stato e multinazionale del food che si rispetti ha delle proprie linee guida e dei propri obiettivi di sostenibilità. "Ma nessuno ce la può fare da solo", spiega ad AgroNotizie Sharon Cittone, fondatrice di Edible Planet Ventures e ideatrice del Summit.
Partiamo dal principio, che cos'è Edible Planet Ventures?
"È una piattaforma olistica che unisce gli stakeholder da tutto il mondo, lungo tutta la foodchain, condividono esperienze, conoscenze e risorse per migliorare il settore agroalimentare. Come ho detto, i problemi sono di tale portata che nessuno può farcela da solo. Il Summit è l'evento che permette a questo ecosistema globale di guardarsi in faccia".
Parlaci un po' di The Edible Planet Summit...
"È un evento che porterà in Umbria oltre 150 stakeholder a livello internazionale che lavoreranno insieme per due giorni per definire strategie e linee guida concrete per traghettare l'attuale sistema alimentare verso un modello più sostenibile".
Hai parlato di approccio olistico, che cosa intendi?
"Serve un approccio che guardi da più punti di vista i problemi dell'attuale modello di produzione e consumo di cibo. Pensiamo al tema delle proteine: in futuro avremo maggiore bisogno di proteine e tutti si rendono conto che queste non possono essere tutte di origine animale. Da qui è nato l'interesse verso le proteine vegetali, che però da sole non possono essere la soluzione e già oggi mostrano tutti limiti intrinsechi e di filiera".
Da qui l'idea di mettere insieme stakeholder provenienti da più settori e aree geografiche?
"Ad oggi abbiamo oltre 150 partecipanti di altissimo livello che rappresentano il mondo dell'industria alimentare e dell'agricoltura, compresa quella dei Paesi in via di sviluppo. Ma anche Ong, istituzioni internazionali come la Fao, influencer e politici, investitori e ricercatori universitari. L'idea è di mettere insieme tutti quanti per definire delle linee concrete d'azione".
Ci puoi fare qualche nome di personalità che parteciperanno all'evento?
"Sul sito è presente una lista dei partecipanti che sono per lo più di livello internazionale e provenienti da più settori. Ma ci sarà anche una ottima rappresentanza del sistema Italia".
Quale sarà il metodo di lavoro che adotterete?
"Tutti i delegati si ritroveranno nel weekend del 17 e 18 settembre in cui verranno organizzati dei tavoli di lavoro suddivisi per tema, in cui ci sarà un confronto diretto e si proveranno a identificare soluzioni a problemi concreti. Poi ci sarà un confronto tra i tavoli, per evitare di avere una visione a compartimenti stagni. Infine ci sarà il lavoro di sintesi con la realizzazione della Edible Planet Chart".
Di che cosa si tratta?
"Sarà una Carta che conterrà obiettivi, strategie e azioni concrete per il settore e che verrà presentata a istituzioni, ma anche a realtà private che potranno adottarla come una roadmap verso il cambiamento".
Quali saranno i tavoli di lavoro?
"Saranno diversi, circa una ventina e affronteranno tutti gli aspetti critici della foodchain. Si va dal biotech all'agricoltura rigenerativa, dal food waste a nutrizione e salute, dagli oceani alla food sovranity".
Esistono già dei documenti simili redatti da enti di varia natura. Qual è la vostra differenza?
"La nostra Carta sarà frutto di un approccio olistico, che coinvolge tutti gli attori della filiera. In secondo luogo non sarà calata dall'alto: nessun modello top down, in cui a decidere sono solo governatori o amministratori delegati di grandi corporation, ma coinvolgerà anche la base, a partire da chi il cibo lo produce. Infine la nostra sarà una Carta non di principi, sui quali tutti siamo d'accordo, ma di linee guida concrete per mettere in campo già dal giorno successivo il cambiamento che tutti auspichiamo".
Insomma, l'Umbria diventerà la Davos del food...
"L'approccio sarà molto più concreto, volto a trovare linee guida e strategie adottabili da subito. E poi vogliamo coinvolgere anche la base, per questo ad esempio abbiamo diverse associazioni di agricoltori africani, come l'Afsa, l'Alliance for Food Sovereignty in Africa".
Come mai avete scelto l'Umbria come sede di questo Summit e non Milano o Londra?
"Perché l'Italia ha tanto da dire in tema di cibo, sia per quanto riguarda la nostra tradizione culinaria, ma anche per le aziende che lavorano nel territorio, sia a livello agricolo che d'industria. Abbiamo scelto l'Umbria perché è il cuore dell'Italia e perché con la regione stiamo portando avanti anche altri progetti".
Ci puoi dire qualcosa di più?
"È ancora presto per svelare i dettagli, ma stiamo lavorando proprio qui sul territorio per creare qualcosa di completamente nuovo che potrà fare la differenza a livello globale".