Joe Biden ha le idee chiare: il settore agricolo statunitense deve essere il primo al mondo a raggiungere la neutralità climatica. Oggi infatti l'agricoltura a stelle e strisce contribuisce per un 10% alle emissioni di gas serra dell'intera economia americana. Ma da Washington chiedono che si arrivi a zero.

In altre parole tutte le attività effettuate nelle aziende agricole o devono avere un impatto ambientale nullo oppure devono essere compensate con attività che eliminano dall'atmosfera gas climalteranti. Usi il trattore per seminare? Le emissioni derivanti dalla combustione del gasolio devono essere compensate in qualche modo, magari adottando la minima lavorazione oppure destinando una parte del terreno aziendale al rimboschimento.

La Climate Mitigation Bill, passata al Senato lo scorso 25 giugno, supporterà gli agricoltori verso questa transizione attraverso diversi strumenti.


Conservation reserve program

Uno strumento interessante è un fondo finanziato dall'Usda (il ministero dell'Agricoltura Usa) che affitta terreni dagli agricoltori affinché non siano lavorati. Si tratta di solito di aree marginali, soprattutto in prossimità di corsi d'acqua o di aree naturali che gli agricoltori invece di coltivare affittano allo Stato. Quest'ultimo però o non le sfrutta o chiede all'agricoltore, dietro compenso, di seminare specie con valore ecosistemico, come ad esempio le essenze mellifere.

Il Conservation reserve program, varato nel 1985, oggi copre circa 21 milioni di acri, circa 8,5 milioni di ettari. Una enormità se si pensa al territorio italiano, ma rappresentano solo una frazione della Sau statunitense. Ebbene l'amministrazione Biden ha stanziato dei fondi aggiuntivi per arrivare fino a 10 milioni di ettari.

Le terre così non sfruttate fungono da riserva per specie selvatiche che incrementano la biodiversità, ma rappresentano anche una barriera contro la deriva e la contaminazione delle acque causata dai prodotti fitosanitari. Inoltre le piante che crescono libere sequestrano carbonio, sottraendolo dall'atmosfera.

Ed è proprio su questo punto che si è acceso il dibattito. Perché se è vero che i suoli agricoli possono fungere da substrato all'interno del quale immagazzinare l'anidride carbonica prodotta dalle attività umane, è anche vero che nel momento in cui il terreno viene lavorato tale CO2 ritorna nell'aria. E i contratti di affitto tra Usda e farmer durano solo dieci anni. Si tratta quindi, secondo i detrattori, di soldi buttati via.


Il carbon market

L'atro grande strumento che l'amministrazione Biden vuole utilizzare per raggiungere la carbon neutrality del settore primario è la costruzione di un mercato dei crediti di carbonio.
In altre parole gli agricoltori riceveranno dei crediti di carbonio se adotteranno pratiche atte a sequestrare CO2 nel suolo, ad esempio evitando di arare o usando delle cover crop. Oppure gestendo in maniera accorta i reflui zootecnici o anche usando attrezzature elettriche alimentate da pannelli solari.

Questi crediti potranno poi essere venduti dagli agricoltori a quelle aziende, come ad esempio le compagnie aeree, che intendono mitigare la propria impronta ambientale.

Rimangono però ancora molti nodi da sciogliere. Primo, lasciare suoli incolti o adottare tecniche quali l'agricoltura conservativa ridurrà la produzione di cibo negli Usa, costringendo il Paese a maggiori importazioni e quindi spingendo agricoltori in altre aree del globo a sfruttare maggiormente la terra, annullando i benefici del progetto.

Secondo, non c'è condivisione su quale sia il metodo più corretto per misurare il carbonio sequestrato e per quanto tempo questo debba rimanere nel terreno. Terzo, non si sa se il mercato sarà capace di assorbire un numero crescente di crediti di carbonio e quale sarà la quotazione dei carbon credits. Se il loro prezzo dovesse essere basso gli agricoltori non sarebbero incentivati ad adottare pratiche virtuose e ad affrontare spese per nuove attrezzature e cali di produzione.