Il valore dell'export agroalimentare italiano ha toccato recentemente nuovi record, sfondando quota 52 miliardi di euro.
Non stupisce allora il forte interesse dedicato alla "diplomazia alimentare", che trova conferma nel Tavolo nazionale sulle filiere alimentari, attivo presso il ministero degli Esteri.
Se il vino resta il prodotto "principe" dell'export, non sono da meno le esportazioni che hanno come protagonisti la carne, il latte e le uova, sia come tali sia come "ingredienti" dei prodotti trasformati, vanto del migliore made in Italy.
La loro crescente importanza ha suggerito di arricchire e completare il "Tavolo" sulle filiere alimentari con la nascita di un Gruppo di lavoro sulla zootecnia sostenibile, coordinato da Lorenzo Morelli, ordinario di Microbiologia all'Università Cattolica e direttore del dipartimento di Scienze e tecnologie alimentari per una filiera agro-alimentare sostenibile.
Il cibo e la politica internazionale
Se Expo 2015 ha dato all'Italia visibilità internazionale sui temi dell'agroalimentare, la Dichiarazione di Matera, approvata nel 2021 dai ministeri degli Esteri e dello Sviluppo nell'ambio del G20 a presidenza italiana, ha ripreso e rilanciato questa esperienza: la politica in materia agroalimentare può essere strumento di politica internazionale.
"Il tema della sicurezza alimentare è sempre stato una priorità per il nostro paese, che
esprime una delle culture alimentari più importanti e influenti del pianeta – afferma l'ambasciatore Stefano Gatti, Inviato speciale per la sicurezza alimentare del nostro ministero degli Esteri.
Tale priorità, manifestatasi nel tempo, si è confermata nell'anno 2021 nel corso del quale l'Italia è stata di nuovo attore centrale del dibattito internazionale in materia e ha saputo dare una spinta innovativa nell'ambito della Presidenza G20.
La dichiarazione di Matera – prosegue Gatti – approvata dai ministeri degli Esteri e dello Sviluppo del G20, ha dato ulteriore valenza politica alla nostra azione e ai principi a cui questa si ispira, sancendo l'importanza di una diplomazia alimentare di cui l'Italia intende continuare ad essere un attore chiave a livello internazionale".
Stefano Gatti, Inviato speciale per la sicurezza alimentare presso il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale
Il ruolo della zootecnia
Come spiegano dalla Farnesina, l'approccio italiano alle questioni agroalimentari si basa sulla costruzione di una narrativa propositiva, fatta di esempi concreti e di buone pratiche del settore, raccolte dai principali portatori di interesse con l'obiettivo di evidenziare la relazione positiva fra cibo e territorio, così come la collaborazione tra pubblico e privato per la costruzione di nuovi modelli alimentari e di consumo sostenibili.
Questo è stato possibile attraverso l'allargamento dell'ambito di concertazione a tutti i comparti del paese impegnati sull'agroalimentare con la creazione di un Tavolo nazionale sulle filiere alimentari.
Lorenzo Morelli, ordinario di Microbiologia all'Università Cattolica
"Sono particolarmente lieto di assumere il coordinamento del Gruppo di lavoro sulla Zootecnia sostenibile nell'ambito del Tavolo nazionale sulle filiere alimentari del ministero degli Esteri – ci riferisce Lorenzo Morelli.
All'Università Cattolica di Cremona, già da tempo, e a maggior ragione oggi nella splendida cornice del nuovo campus di Santa Monica, stiamo affrontando il tema ampio e centrale della sostenibilità nelle produzioni zootecniche.
Abbiamo realizzato ricerche e webinar in proposito che hanno coinvolto molte realtà lattiero-casearie nazionali e internazionali.
Partendo da una questione centrale e fondamentale: la sostenibilità è una questione complessa e multifattoriale.
E se ormai è abbastanza consolidata l'idea che, in materia di sostenibilità, accanto al fattore ambientale è necessario considerare i fattori economici e sociali, è sempre più importante affermare che, quando si parla di cibo, va anche messa al centro la questione nutrizionale.
Per avere una corretta life cycle assessment – spiega Morelli – il calcolo della cosiddetta carbon footprint non va riferito a chilogrammo di cibo prodotto, ma a quantità di nutrienti offerti da quel cibo; e con questo approccio, risulta subito evidente quanto l'impatto ambientale dovuto ai nutrienti forniti da latte e carne si riduca notevolmente".
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Fonte: Università Cattolica - Campus Cremona