Al momento i casi di peste suina africana registrati fra Piemonte e Liguria nelle ultime settimane sono relegati ai soli cinghiali.
Nessun allevamento di suini è coinvolto, grazie ai severi piani di prevenzione prontamente attuati nei territori coinvolti dal virus.
Ma il pericolo è tutt'altro che scomparso e occorre continuare a mantenere alta la guardia per evitare che il virus possa diffondersi negli allevamenti, causando danni irreparabili a tutta la suinicoltura.

Come già anticipato da AgroNotizie, l'eventuale comparsa del virus in un allevamento di suini comporterebbe pesanti ripercussioni per tutta la filiera, coinvolgendo anche il nostro export.

Già oggi alcuni paesi hanno chiuso le frontiere ai nostri prodotti suinicoli.
Se la situazione sanitaria si dovesse aggravare, l'elenco dei paesi che bloccano le nostre esportazioni si potrebbe allargare a dismisura.


La situazione

Sino a oggi il virus della peste suina africana è stato individuato in 36 cinghiali (l'ultimo caso segnalato in Liguria il 14 febbraio) in un'area che comprende 114 comuni.
In Piemonte i comuni interessati sono 78, tutti in provincia di Alessandria e 36 sono in Liguria nelle province di Genova e Savona.
Ulteriori 72 comuni sono coinvolti nell'area di sorveglianza, che si estende per 10 chilometri intorno alle zone infette.
Rilevante il lavoro di controllo e monitoraggio che vede coinvolte strutture nazionali e locali, dal Ministero della Salute agli Zooprofilattici, con in prima linea quello del Piemonte, dal quale proviene il commissario straordinario Angelo Ferrari, incaricato di coordinare le azioni per prevenire e contenere la diffusione della malattia.
Si potrà contare anche sull'aiuto dell'European Veterinary Emergency Team (Euvet), messo a disposizione dalla Commissione Europea per fornire assistenza nel perfezionamento delle misure di controllo e di eradicazione idonee a fronteggiare il virus.


I soldi per i rimborsi

Nel frattempo il Consiglio dei Ministri ha approvato un Decreto Legge dove si specificano gli interventi da attuare per contenere la diffusione della peste suina africana.
Fra le indicazioni figura anche l'obbligo per chi rinviene esemplari di cinghiali feriti o deceduti di segnalarli immediatamente al servizio della azienda sanitaria locale competente per territorio.

Per il piano "anti-peste" è prevista una dotazione economica di 50 milioni di euro, proveniente dal Decreto Legge "Sostegni". 
Serviranno sia per rimborsare gli allevatori dai danni subiti, sia per attuare le misure di contenimento del virus.
Una delle ipotesi allo studio è quella di recintare l'area interessata, operazione non priva di difficoltà.
A questa si affianca la proposta di sostenere l'adozione di misure di biosicurezza più severe negli allevamenti.
Qualunque sia la scelta finale, l'obiettivo da non dimenticare è quello di evitare a ogni costo l'ingresso del virus negli allevamenti di suini.


I divieti

A questo proposito è bene ricordare che sono vietati nelle zone interessate gli allevamenti bradi e semibradi.
Vietati anche quelli all'aperto qualora non sia possibile garantire l'impossibilità di contatto dei suini con eventuali selvatici.
La caccia è interdetta per evitare che i cinghiali siano indotti a fuggire e spostarsi, rischiando così di veicolare il virus nelle aree circostanti a quelle già interessate.
Per lo stesso motivo sono vietate le attività ricreative, dal trekking alla mountain bike. 


Punti critici

Il provvedimento approvato dal Consiglio dei Ministri, su proposta dei ministri per le Politiche Agricole, Stefano Patuanelli, e della Salute, Roberto Speranza, prevede l'attuazione di piani regionali per la verifica della consistenza dei cinghiali e per gli interventi necessari al contenimento della peste suina.
Il Decreto precisa che non ci saranno ricadute sulla finanza pubblica, aspetto che ha sollevato alcune perplessità.
Questa clausola presuppone che il Commissario Ferrari non possa disporre alcuna azione che comporti una spesa, limitandone così la capacità di intervento.
Ma certo potrà contare sulla collaborazione degli allevatori di suini, i primi ad essere preoccupati per questa patologia.