La zootecnia inquina meno di quanto l'opinione pubblica sia convinta e abbia sentito dire in questi anni. Molto semplicemente, i risultati ottenuti sono il frutto di una metodologia di calcolo che non tiene conto di un fattore non secondario e cioè che il metano è un gas che ha un'emivita compresa fra 8,6 e dodici anni e non di secoli, come invece l'anidride carbonica. Lo hanno dimostrato fra il 2016 e il 2019 i ricercatori britannici Myles Allen e Michelle Cain, e le nuove metriche, che tengono conto del rapido decadimento del metano, sono state avvalorate nel 2023 dalla Fao.

 

Un'altra fake news è stata smontata, insieme a quella che vedrebbe il consumo di 15mila litri di acqua piovana per produrre 1 chilogrammo di carne. Ammesso anche che i 15mila litri siano il quantitativo corretto per l'intero ciclo produttivo necessario per far crescere le piante i cui frutti verranno poi trasformati in mangime per arrivare a produrre effettivamente il chilogrammo di carne, quella frangia dell'opinione pubblica che sventola tali numeri dimentica di dire che il 96% della suddetta acqua fa parte del ciclo della pioggia. Non si tratterebbe, dunque, di risorse idriche rubate ad altre destinazioni.

 

Buone notizie che prendiamo in prestito dalla relazione di Luca Buttazzoni, associato del Crea (del quale è stato direttore della Sezione Zootecnia e Acquacoltura), strenuo difensore degli allevatori, ai quali comunque raccomanda la giusta attenzione alla sostenibilità.

 

Le buone notizie, soprattutto in questa fase con l'Italia spaccata in due e la Sicilia e il Sud alle prese con una siccità drammatica, ci aiutano a non deprimerci.

 

Partiamo dalla bioeconomia, che - seppure in rallentamento - gode di ottima salute. Gli ultimi dati del rapporto "La bioeconomia in Europa", realizzato dal Research Department di Intesa Sanpaolo in collaborazione con il Cluster Spring e Assobiotec Federchimica, ci dicono che nel 2023 l'insieme delle attività connesse alla bioeconomia, in Italia, ha generato un valore della produzione pari a 437,5 miliardi di euro, 9,3 miliardi in più rispetto al 2022, occupando circa 2 milioni di persone.

 

Non si tratta solamente di agricoltura, in quanto nel computo sono compresi silvicoltura, pesca, così come industria del legno, della carta, della chimica, della gomma-plastica, l'alimentare, l'abbigliamento, i mobili e la farmaceutica. Nella bioeconomia sono inoltre inclusi anche bioenergia, biocarburanti, ciclo idrico e in una logica di chiusura del cerchio e di economia circolare sono stati inseriti anche i rifiuti.

 

La filiera agroalimentare, in particolare, pesa oltre il 76% in Spagna e Francia, il 63% circa in Italia ed il 61% in Germania, secondo il rapporto. Le imprese italiane dell'alimentare, mediamente più piccole rispetto ai competitor europei, hanno una quota molto elevata di innovazioni di prodotto, pari al 20%, contro una media dell'Unione Europea del 12%. Quanto alle innovazioni di processo, l'Italia (36%) stacca i principali competitor di oltre 15 punti percentuali.

 

E sempre in terreno agroalimentare, l'Italia è al settimo posto per brevetti a livello mondiale, con una quota e un grado di specializzazione in forte crescita negli ultimi anni.

 

Ancora buone notizie. Bonifiche Ferraresi ed Eni hanno varato il "Progetto Italia" e stanno sviluppando una filiera agroindustriale per uso energetico, utilizzando anche terreni cosiddetti marginali. Ne dà notizia Il Sole 24 Ore, sottolineando che i biocarburanti Hvo (olio vegetale idrotrattato), potrebbero rappresentare una valida soluzione anche per i mezzi utilizzati in agricoltura.

 

A fornire la materia prima per la produzione di biocarburanti potrebbe essere la Brassica carinata, detta anche "senape abissina", sperimentata a Jolanda di Savoia (Fe) su 90 ettari come coltura di copertura. Potrebbe essere la chiave di volta per attivare una filiera destinata alla produzione di biocarburanti, magari sfruttando terreni marginali o come cover crop sui terreni agricoli, senza sovrapporsi alle colture food e feed.

 

E sempre sul fronte delle bioenergie, in Francia stanno sperimentando l'uso di trattori alimentati a biometano, supportati da finanziamenti regionali e nazionali. L'obiettivo, ovviamente, è quello di ridurre l'impatto ambientale e le emissioni. Si vedrà se sarà una delle strade percorribili e con quali costi.

 

Chiudiamo con un messaggio di speranza per i social. Una ricerca sperimentale (e su scala ridotta), condotta dall'Università di Aston nel Regno Unito, ha evidenziato che l'impatto visivo di prodotti agroalimentari sani su Instagram avrebbe l'effetto positivo sui consumi di alimenti come quelli ortofrutticoli, contribuendo così a promuovere una dieta alimentare sana. Visto l'impatto dei social network sulla vita di moltissime persone, in particolare dei giovani, potrebbe essere una strategia - non certo l'unica - per spingere le nuove generazioni a mangiare più frutta e verdura di stagione. Si tratta di prime indicazioni, ma tentar non nuoce.