Quali saranno le possibili traiettorie della geografia economica dell'agricoltura francese entro il 2040?

 

Domanda complessa, ma alla quale hanno provato a rispondere gli analisti del Cep, il Centro Studi e Prospettive del Ministero dell'Agricoltura. Immaginando di disegnare un futuro sulla base di quanto sta avvenendo in parte già ora e potrebbe nei prossimi anni diventare più concreto.

 

Il tema - benché proiettato al 2035-2040, su un orizzonte dunque non immediato - potrebbe interessare in parte anche l'Italia, che con la Francia agricola condivide alcuni aspetti, a partire dalla presenza di grandi Dop e Igp (le Indicazioni Geografiche italiane, 751 quelle francesi), oltre all'elevato valore aggiunto delle produzioni, alla qualità delle produzioni agroalimentari e a cucine nazionali e regionali conosciute e amate in tutto il mondo.

Allo stesso tempo sono marcate alcune differenze, a partire dalle dimensioni medie aziendali, in Italia decisamente più frammentate, così come la vocazione alle grandi produzioni cerealicole, con la Francia fra i player più importanti a livello internazionale nel commercio di frumento, e alla tendenza all'export di animali vivi, settore in cui i cugini transalpini sono leader in Europa.

 

Il Centro Studi e Prospettive del Ministero dell'Agricoltura parte da un punto fermo, rilanciato nei giorni scorsi sulla stampa specializzata: negli ultimi venti anni, "la tendenza alla specializzazione-espansione dei seminativi e alla concentrazione dell'allevamento in alcune regioni francesi è andata diminuendo. Allo stesso tempo, i fattori di produzione si dimostrano più fragili di prima". I rincari dei carburanti, dei fertilizzanti, le problematiche legate alla manodopera, i costi dell'energia, per quanto la Francia possa contare sulla forza del nucleare, hanno avuto un impatto anche sull'agricoltura transalpina.

 

Saper leggere i dati per interpretare il più possibile il futuro, suscettibile come è noto di muoversi secondo dinamiche ed eventi imperscrutabili ed imprevedibili, apre comunque ad una serie di riflessioni per le quali è bene prepararsi anzitempo scenari e risposte. Partendo, magari, dalle possibili evoluzioni legate alle tendenze emerse negli ultimi anni.

 

Quella che gli studiosi del Cep chiamano la "cerealizzazione", cioè l'estensione delle superfici cerealicole e la specializzazione delle aziende in seminativi - fenomeno che dopo la Seconda Guerra Mondiale e ancor più dagli Anni Sessanta è stato sostenuto dalla Rivoluzione verde e dall'intensificazione degli scambi commerciali (grazie alla diminuzione dei costi di trasporto) - sembra aver raggiunto i propri limiti, di fronte all'accresciuta concorrenza internazionale.

 

Cosa fare, dunque? Potrebbero emergere soluzioni alternative, così da assicurare un futuro all'agricoltura? Secondo il Cep, assolutamente sì. Innanzitutto, uno sviluppo di altri modelli economici in grado di esporre la specializzazione vegetale a minori rischi (produttivi, agronomici, climatici, di mercato, eccetera), favorendo magari la diffusione di colture proteiche come pisello, favino, lupino o altre e, parallelamente, colture oleaginose come colza, girasole, soia.

 

Una seconda ipotesi potrebbe invece riguardare una più forte specializzazione in chiave tecnica, agronomica ed economica dell'agricoltura. Un nuovo approccio scientifico in grado di permettere agli agricoltori di adattarsi ai cambiamenti climatici, ai prezzi delle materie prime, alla volatilità dei mercati, alla domanda di prodotti agroalimentari strettamente connessa alla crescita demografica e ad una sempre maggiore richiesta di carne e proteine nobili in molte parti del mondo.

 

Allo stesso tempo, lo studio prende in esame alcuni fattori di rischio che complicano la crescita dell'agricoltura: il progressivo degradarsi dei terreni, i cambiamenti climatici, la progressiva urbanizzazione. Aspetti che potrebbero spingere alcuni operatori del settore ad investire a livello internazionale in terreni non degradati. Critico anche l'aspetto della manodopera, con una forte dipendenza della manodopera straniera, così come la sempre più frequente esternalizzazione del lavoro. Elementi che, in prospettiva, potrebbero rendere più fragile il sistema nazionale di produzione alimentare, secondo gli studiosi francesi.

 

Rischia di ingarbugliarsi anche il nodo dei commerci internazionali, in quanto, qualora l'offerta dovesse riorganizzarsi a livello mondiale - con l'affermarsi delle potenze esportatrici agricole come il Sudamerica per cereali, semi oleosi e prodotti per la zootecnia, l'Oceania per i prodotti lattiero caseari, Russia ed Europa Orientale per i cereali - costerebbe alla Francia una perdita di competitività.

 

Secondo l'analisi, entro il 2035 potrebbero emergere due parabole. La crescita di nuove grandi potenze dell'export agroalimentare, aspetto che minaccerebbe i prodotti agricoli francesi, e uno scenario ancora più allarmante, con l'affermarsi di guerre commerciali e il proliferare di barriere doganali non tariffarie.

 

Essenziale, pertanto, sostenere le produzioni francesi ed europee e garantire spazi commerciali e giusta remunerazione per tutti gli attori della filiera, accompagnando l'obiettivo di un diritto all'alimentazione per tutti.

 

Sarebbe forse opportuno che anche l'Italia, attraverso i propri centri di ricerca in agricoltura, elaborasse traiettorie di medio lungo termine, così da non trovarsi completamente impreparata rispetto a scenari futuri.