Sono scesi in campo i ricercatori di cinque università (Modena e Reggio Emilia, Milano, Torino, Perugia e Catania) per studiare la possibilità di utilizzare le pellicole delle nocciole nell'alimentazione degli animali.
È il sottoprodotto che deriva dalla tostatura di questi frutti utilizzati dall'industria dolciaria nelle tante preparazioni che hanno come protagonista il cioccolato.
Il progetto, battezzato Live-Haze, dal termine inglese della cuticola di nocciola, rientra fra i Prin, Progetti di Rilevante Interesse Nazionale, e gode del finanziamento del Ministero dell'Università e della Ricerca.
A fornire la "materia prima" da studiare figura Nestlé, uno dei big del settore, che insieme ad altri ha destinato al progetto le pellicole di nocciola uscite dallo stabilimento Perugina di San Sisto, nei pressi di Perugia.
Dopo oltre due anni di studi, ecco le prime risultanze sul loro valore nutrizionale.
Confermata l'elevata concentrazione di polisaccaridi, acidi grassi e sostanze antiossidanti come i polifenoli.
Non sono rifiuti
All'alimentazione degli animali sono state destinate 6 tonnellate di cuticole di nocciole.
Poca cosa però rispetto ai nove milioni di tonnellate di sottoprodotti derivanti da varie trasformazioni agroindustriali, valorizzati ogni anno con l'alimentazione animale.
In ogni caso un ulteriore contributo a quell'economia circolare che grazie agli allevamenti valorizza residui di lavorazioni che altrimenti peserebbero sull'ambiente.
Peccato però chiamarli sottoprodotti, termine che suggerisce si tratti di un "rifiuto".
Non stupisce pertanto che il sondaggio sui consumatori che ha accompagnato la ricerca abbia raccolto alcune perplessità sull'impiego di questi alimenti non consueti.
Non solo nocciole
Difficile peraltro spiegare ai "non addetti lavori" il valore delle sanse di oliva o delle trebbie di birreria o del pastazzo di agrumi.
Sono i prodotti che si ottengono dalla "spremitura" delle olive, dalla produzione di birra e di alcune bevande a base di frutta. E sono solo alcuni esempi fra le numerose seconde lavorazioni in campo agroalimentare.
Inadatti all'alimentazione delle persone, ma cibo ricco di nutrienti per molti animali, con presenza talvolta di sostanze bioattive di grande utilità.
Per non parlare dei bovini e dei ruminanti in genere. Grazie alla loro peculiare fisiologia possono trasformare in proteine nobili cibi poverissimi, indigeribili per altre specie, uomo compreso. Erba e paglia, ad esempio.
Intensivi, anzi protetti
L'impiego di questi alimenti di seconda lavorazione vanta una lunga storia che ha accompagnato da sempre persone e animali.
Se un tempo era quel pochissimo che restava dal desco familiare, oggi è una montagna di alimenti che sarebbe delittuoso sprecare e che avrebbe un impatto devastante sull'ambiente.
Per realizzare questo ciclo virtuoso, cancellando gli sprechi, sono però necessari quegli allevamenti cosiddetti intensivi, che meglio sarebbe definire "protetti", dove tutto è controllato e misurato, senza lasciare nulla al caso.
Difficile spiegarlo ai più, a quegli stessi che alla parola sottoprodotti arricciano il naso.