L'ultimo caso di influenza aviaria nel Regno Unito risale al 26 marzo, con la presenza del virus in un allevamento avicolo nei pressi di Blaydon, cittadina a metà strada fra Manchester ed Edimburgo.

È solo l'ultimo di una serie di focolai che da inizio anno hanno interessato molte zone di questo Paese.

Segno della forte diffusione dell'influenza aviaria in tutta Europa, dove sta creando un crescente allarme per le conseguenze negli allevamenti avicoli e non solo.


Dai polli alle pecore

La capacità di questo virus di adattarsi ad altre specie animali rappresenta un serio pericolo.

Quanto è accaduto negli Usa, dove l'influenza aviaria ha colpito anche i bovini, ne è una dimostrazione.

Un fatto analogo si è verificato ora nel Regno Unito, in una pecora allevata nello Yorkshire, infettata da un ceppo virale ad alta patogenicità (H5N1).

 

La conferma è arrivata dal Dipartimento per l'Agricoltura e la Salute degli animali (Ukhsa), che ha riscontrato la presenza del virus anche in alcuni allevamenti avicoli della stessa area.

Un episodio che trova spiegazione nell'elevato numero di focolai di influenza aviaria attivi nel Regno Unito e nella diffusione degli allevamenti ovini nelle aree colpite.


Basso rischio per le persone

Il virus è stato riscontrato in una sola pecora, escludendo il passaggio del virus fra questi animali.

Nessun caso poi fra le persone, contrariamente  agli episodi registrati negli Usa, dove è avvenuto il contagio fra i bovini e da questi ultimi all'uomo.

Qui la sintomatologia nelle persone contagiate è stata blanda, ma è il segnale di un possibile "spill over" (salto di specie) che impone grande impegno nel contrastare la diffusione dell'influenza aviaria.

 

Il rischio per le persone resta comunque basso e riguarda prevalentemente gli addetti ai lavori. Nessun pericolo dal consumo di prodotti avicoli, come carne e uova cotte, come pure di latte pastorizzato.


Sotto controllo

Le autorità sanitarie del Regno Unito hanno assicurato l'adozione di tutte le misure necessarie al contenimento del virus, seguendo regole simili a quelle adottate dai Paesi dell'Unione Europea.

Non c'è motivo di dubitarne, sebbene il pensiero corra agli episodi di encefalopatia spongiforme bovina (vacca pazza) che hanno preso origine dal Regno Unito e che hanno messo sotto scacco (inutilmente…) la zootecnia mondiale.


La situazione in Italia

Quanto avviene nel Regno Unito è di sprone a tenere alta la guardia anche in Italia, dove purtroppo l'influenza aviaria continua a essere presente.

L'Istituto Zooprofilattico delle Venezie, Centro di Referenza Nazionale per l'Influenza Aviaria, segnala che dall'inizio del 2025 sono stati isolati 21 focolai in allevamenti avicoli.

Il più recente risale al primo febbraio, in un allevamento di broiler in provincia di Torino.

Già dal 24 marzo sono state chiuse tutte le zone di sorveglianza e al momento non ci sono pertanto focolai attivi.


Biosicurezza

Non per questo si può allentare la guardia, ed è opportuno che negli allevamenti avicoli siano sempre adottate tutte le necessarie misure di biosicurezza.

È alta la probabilità che questo virus possa tornare a colpire, vista la sua trasmissibilità e la capacità di diffondersi a grande distanza grazie agli uccelli selvatici.

 

Nel controllo della malattia gli allevamenti italiani possono però contare sulla efficienza dei nostri servizi veterinari, fra i pochi in Europa a dipendere dal Dicastero della Salute.

Una scelta che si pone idealmente nel solco della filosofia One Health, dove salute dell'uomo e degli animali sono accomunate.