Trent'anni fa abitavo in un piccolo paese del Trentino. Il mio vicino di casa, ex partigiano, mi diceva sempre: "Mario, se dovesse venire di nuovo una guerra, le prime cose da procurarsi sono il sale e la legna. Il sale perché serve a conservare i cibi e a rendere mangiabili anche le erbe del campo. La legna perché senza fuoco non puoi cucinare né scaldarti d'inverno. Ricordati sempre che, in tempi di guerra, è più facile crepare di fame o di malattia che per le bombe del nemico".

 

Tradotto in termini tecnici, i danni più devastanti non li causano i missili bensì la fame e la povertà energetica, indotte da un insieme di azioni geopolitiche ed economiche oltre che militari. Questa è l'essenza della guerra ibrida (si veda la definizione di Lucio Caracciolo) che stanno pianificando i potenti della Terra - non solo i presidenti Donald Trump e Vladimir Putin - ai danni dell'Europa.

 

I comparti agroalimentare ed agroenergetico dell'Unione Europea dovrebbero essere i pilastri fondamentali del piano ReArm Europe, l'iniziativa da 800 miliardi promossa dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen per rafforzare l'industria della difesa e le capacità militari dell'Europa.

 

Una tale mobilitazione di capitali segna un importante cambiamento nella politica di sicurezza europea. Come di dominio pubblico, l'annuncio del piano seguì la sospensione degli aiuti militari degli Stati Uniti all'Ucraina dopo un teso incontro tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelens'kyj ed un incontro a porte chiuse sull'Ucraina alla Lancaster House di Londra, dove i leader europei hanno affrontato l'urgente necessità di aumentare l'autonomia della difesa.

 

Tuttavia, gli opinionisti dei talk show serali ed i politici non hanno mai menzionato un fatto fondamentale: sicurezza energetica e alimentare sono inseparabili dalla sicurezza militare. Il settore agricolo dell'Ue diventa dunque un pilastro fondamentale se si vuole portare a termine qualsiasi strategia di riarmo. Una difesa forte richiede un popolo adeguatamente nutrito e sistemi energetici affidabili, indipendenti e resilienti, soprattutto perché l'Europa cerca di proteggersi dalle pressioni esterne, dalle minacce informatiche e dall'instabilità geopolitica. Se davvero l'Europa vuole entrare in un'era di riarmo, dovrà pianificare accuratamente l'integrazione dei sistemi energetico e alimentare con quello militare.

 

L'autosufficienza alimentare ed energetica diventa dunque un imperativo strategico. Dobbiamo abbandonare il sistema della monocoltura e tornare a produrre derrate alimentari in modo più diversificato, recuperando quei comparti produttivi in sofferenza per le importazioni.

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Allo stesso modo in cui l'Europa mira a ridurre la dipendenza dai fornitori militari esterni, deve anche assicurarsi fonti energetiche indipendenti e diversificate. Non solo energie rinnovabili e nucleare ma anche sistemi di generazione e accumulo distribuiti sul territorio per garantire il funzionamento ad isola in caso di sabotaggi o cyberattacchi all'infrastruttura energetica. Da ricordare che il 50% del consumo energetico dell'Ue è rappresentato dal comparto riscaldamento e raffrescamento civile. Mai come ora il consiglio del vecchio ex partigiano è stato così attuale: bisognerà fare scorte di legna o pellet perché le prime cose che verranno colpite saranno le infrastrutture energetiche civili.

 

Dobbiamo prendere atto che le fonti fossili si trovano perlopiù in mani ostili, o potenzialmente tali. I materiali necessari per la fabbricazione di pannelli fotovoltaici, batterie ad alta densità e motori elettrici ad alte prestazioni sono ormai monopolio della Cina. Per non parlare del banale acciaio, fondamentale per tutte le industrie ma che ormai è oligopolio asiatico, con la Cina che controlla quasi tre quarti della produzione mondiale. Al di là delle farneticazioni dei politici ecologisti, le leggi della fisica rendono impossibile costruire carri armati, navi e velivoli elettrici o alimentati ad idrogeno perché la densità energetica che richiedono tali mezzi supera di gran lunga quella che offrono le attuali batterie e l'idrogeno.

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Di conseguenza, le forze armate dovranno fare largo ricorso ai biocarburanti, unica opzione esistente a breve termine, perché il folle divieto di produzione di veicoli con motore endotermico, voluto da Ursula von der Leyen e dagli ecofanatici che la supportano, ha di fatto fermato l'interesse dell'industria e la finanza nello sviluppo degli e-fuel - inclusi, ma con poco entusiasmo - nella Red III.

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La sicurezza informatica è fondamentale per la stabilità di un Paese in un contesto di guerra ibrida. Abbiamo già avuto un assaggio a novembre del 2024 quando degli hacker hanno attaccato i server dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (Inps). Dagli attacchi al software ci si difende con contromisure informatiche, ma cosa succederebbe in caso di sabotaggio alla rete elettrica che alimenta i server vitali per la nostra economia e società?

 

Pensiamo non solo all'Inps ma anche a banche, assicurazioni, servizi di telecomunicazioni e altro ancora. Sembra che nessuno degli strapagati analisti dei "think tank" europei ci abbia mai pensato, ma aumentare la ridondanza dei dati - l'essenza della blockchain - collocando i server specchio nelle vicinanze degli impianti di biogas sarebbe una mossa facile e di basso costo per garantirne il funzionamento continuo anche in caso di sabotaggio o attacco militare all'infrastruttura elettrica. Il biogas è l'unica fra tutte le energie rinnovabili in grado di offrire la stessa continuità delle fonti fossili. Inoltre, il calore residuo del cogeneratore è utilizzabile per azionare un sistema frigorifero a ciclo di assorbimento, ideale per i server farm che richiedono ingenti potenze di raffrescamento per evitare il surriscaldamento dei microprocessori.

 

Evitare le concentrazioni di merci ed energia favorisce non solo la logistica ma anche la resilienza del sistema. Nel caso dell'avverarsi di un conflitto globale, l'attuale volume di importazione di derrate alimentari e combustibili esporrebbe le navi europee agli attacchi nemici. Durante la Seconda Guerra Mondiale gli U-Boot del Terzo Reich riuscirono a bloccare una grande percentuale delle risorse che gli Usa inviavano all'Inghilterra. I sistemi moderni sono infinitamente più efficaci, per cui possiamo ragionevolmente ipotizzare che nel giro di poche settimane le banchine dei porti europei sarebbero vuote. La diversificazione della produzione agroalimentare su tutto il territorio e l'utilizzo di fonti di energia rinnovabili, rese distribuibili tramite lo stoccaggio di energia, sono gli unici modi con cui si può assicurare la fornitura di cibo ed energia sia alla popolazione civile che alle truppe, migliorando la flessibilità operativa di queste ultime.

 

Il piano ReArm Europe non riguarda solo armi e bilanci militari, ma anche la garanzia del futuro dell'Europa. Solo allineando l'indipendenza alimentare ed energetica con la strategia di difesa, l'Ue potrà rafforzare la sua infrastruttura, ridurre le dipendenze esterne e salvaguardare la sua sicurezza in un ordine globale sempre più instabile.

 

Concludiamo l'analisi con un esercizio di calcolo probabilistico basato sulla Teoria dell'Utilità Attesa. Nel nostro modello, estremamente semplificato, andremo a stimare il costo atteso di armarci o non armarci.

 

Le opzioni sono:

  • L'Ue spende 800 miliardi nel riarmo, ma non si verifica un conflitto armato.
  • L'Ue spende 800 miliardi e si verifica comunque un conflitto armato.
  • L'Ue non spende 800 miliardi e non si verifica un conflitto armato
  • L'Ue non spende 800 miliardi e si verifica un conflitto armato.

 

Supponiamo che la probabilità di arrivare ad una guerra con la Russia sia piuttosto bassa perché si tratta di una scommessa pericolosa perfino per il Paese più militarizzato del mondo. Assumeremo un 10% di probabilità di guerra con la Russia, che significa un 90% di probabilità che tale evento non si verifichi mai. Assumiamo anche che, in caso di armarci fino ai denti con le ultime tecnologie belliche, saremo in grado di combattere la Russia per dieci anni. Quindi il costo della guerra con la Russia sarà dieci volte la spesa prevista dal piano ReArm Europe, ovvero 8mila miliardi. Il "costo atteso" è il costo statisticamente ponderato nel caso si decidesse effettivamente di portare avanti il piano di riarmo.

 

Il valore del costo atteso di riarmo è: CA riarmo = 800 x 90% + 8.000 x 10% = 1.520 miliardi.

 

Se invece si decidesse di non portare avanti il piano ReArm Europe e risparmiare gli 800 miliardi, la probabilità di una guerra dipende da due fattori aleatori, ciascuno con la sua probabilità:

  • Il presidente Donald Trump abbandona la Nato perché gli europei non vogliono spendere in armi. Visto il comportamento completamente aleatorio del presidente, possiamo considerarlo una variabile probabilistica pura, cioè le sue decisioni sembrano prese in base al lancio di una moneta. Quindi assegneremo un 50% di probabilità a questo evento.
  • Il presidente Vladimir Putin, vedendo l'Europa indebolita, sarebbe più tentato di attaccare. Supponiamo che tale tentazione abbia una probabilità del 25%.

 

La probabilità di una guerra diventa dunque 50% x 25% = 12,5%. La probabilità che la guerra non si verifichi è invece 100% - 12,5% = 87,5%.

 

Possiamo ragionevolmente ipotizzare che una guerra contro la Russia senza appoggio della Nato e senza esserci riarmati adeguatamente durerà poco. Oltre ai soldi spesi nella resistenza fallita, perderemo le nostre libertà civili ed il nostro benessere economico. È difficile monetizzare i beni immateriali ai quali tutti teniamo. Nel nostro gioco statistico assumeremo che il costo di perdere una guerra contro la Russia sia pari a 100mila euro per cittadino. Poiché siamo 443.300.000, il costo totale diventa 44.330 miliardi. Il costo atteso di non riarmarci è dunque: CA non riarmo = 0 x 87,5% + 44.330 x 12,5% = 5.541,21 miliardi.

 

Il costo atteso del riarmo è decisamente minore del costo atteso del non riarmo, pur considerando probabilità di guerra abbastanza basse, 10% e 12,5% per ciascuna delle alternative. Dovendo scommettere fra spendere in armi o no di fronte ad una probabilità molto bassa che si verifichi una guerra con la Russia, la posta in gioco sembra comunque troppo alta per correre il rischio di non armarci. Forse a Bruxelles hanno fatto qualche conto di questo tipo e la decisione del piano ReArm EU è nata così. Ci si augura che abbiano condotto le analisi con ipotesi ponderali più accurate e magari che abbiano analizzato più scenari, tenuto conto di quanto ci costa l'euroburocrazia.

 

Non è chiaro però quale sarà la strategia di integrazione dei comparti agroalimentare ed agroenergetico in questo contesto, ammesso e non concesso che qualcuno ci abbia pensato.

 

Per ora, l'unica cosa che possiamo fare è seguire il consiglio del vecchio reduce di guerra e procurarci buone scorte di legna e sale.