Nel folklore spagnolo, i catalani sono l'equivalente dei nostri genovesi. Scherzi a parte, è vero che l'amministrazione pubblica catalana si caratterizza per la parsimònia nell'erogazione dei soldi pubblici ma anche per l'efficienza della gestione. Finora il supporto alla crescita degli impianti di biogas in Spagna è stato caratterizzato da tanti proclami ma pochi sono i progetti portati a termine per colpa della burocrazia (letteralmente) borbonica.

Leggi anche Biogas: la Spagna batte l'Italia… in burocrazia, complottismo e scelte ideologiche

Il Governo della Catalogna, invece, propone un modello di sviluppo più affine al pragmatismo anglosassone che allo statalismo europeo: niente sovvenzioni statali e riduzione del carico burocratico a pochi semplici e chiari principi. Il ministro Miquel Sàmper Rodríguez in una recente intervista durante l'inaugurazione del primo impianto di biometano agricolo con iniezione in rete nella Catalogna ha dichiarato: "I progetti classificati come strategici riceveranno tutto il sostegno necessario, con una semplificazione amministrativa che ne garantirà la fattibilità e ne migliorerà l'impatto sull'economia del Paese".

 

Allo stesso modo, ha sottolineato, "questa azione integra gli obiettivi del Patto nazionale per l'industria, in cui lavoriamo per consolidare le zone rurali come poli economici dinamici e sostenibili, scommettendo sul biogas e sulle energie rinnovabili come assi del futuro".

 

Nella pratica, le autorizzazioni per la costruzione e la messa in funzionamento di un impianto di biogas nel territorio catalano avranno una corsia preferenziale, a condizione che il progetto rientri nei parametri che consentano di classificarlo come "strategico".

 

La dichiarazione di un progetto imprenditoriale come strategico implica dunque un'elaborazione urgente e prioritaria delle procedure ambientali, urbanistiche e di lavori, consentendo così di ridurre notevolmente il tempo necessario per la costruzione e l'avviamento. Tempo che, come molti operatori del mercato sanno, può incidere notevolmente sull'economicità dell'impianto.

 

Criteri per la classificazione di un progetto strategico nel territorio catalano

Affinché un progetto di impianto di biogas possa essere considerato un "progetto aziendale strategico", deve soddisfare i seguenti requisiti:

  • Ubicazione: deve essere situato in un comune designato dalla normativa come area vulnerabile alla contaminazione da nitrati di origine agricola e/o in Zone di Qualità dell'Aria (Zqa) dove vengono superati i livelli stabiliti di particelle e ammoniaca.
  • Gestione collettiva: devono essere progetti di impianti di biogas gestiti collettivamente che trattano il letame animale insieme ad altri substrati di rifiuti organici, con un minimo del 50% in peso di letame animale rispetto al materiale in ingresso.
  • Capacità di lavorazione: l'impianto deve avere una capacità giornaliera minima di 100 tonnellate di materiale in ingresso.
  • Trattamento del digestato: è essenziale incorporare tecnologie per trattare il digestato ottenuto nel processo di digestione anaerobica, al fine di ottenere sottoprodotti con proprietà fertilizzanti.

 

È interessante osservare come il soddisfacimento di queste quattro regole comporti la piena rispondenza del progetto al concetto di sostenibilità, solitamente rappresentato con il diagramma della Foto 1.

 

Rappresentazione grafica del concetto di sostenibilità

Foto 1: Rappresentazione grafica del concetto di sostenibilità

(Fonte foto: Mario A. Rosato - AgroNotizie®)

 

In altre parole: i progetti "strategici" producono simultaneamente tre ricadute positive su ambiente, società ed economia locale, perché:

  • La collocazione dell'impianto deve essere tale da migliorare l'ambiente in zone attualmente compromesse (da quasi un secolo) dall'elevata densità di allevamenti (maggiormente di suini e pollame, i più diffusi nella Catalogna).
  • Favorire i progetti proposti da cooperative di agricoltori e allevatori può sembrare a prima vista un requisito derivante da scelte ideologiche di sinistra, ma in realtà è puro pragmatismo. Come in Italia, le aziende agricole catalane sono di taglia medio-piccola. Ci sono più probabilità di successo nell'aggregazione di più operatori piccoli che in un progetto portato avanti da una singola grossa azienda: se uno dei soggetti venisse a mancare per qualsiasi motivo, l'impianto continuerebbe a ricevere biomasse dagli altri ed a produrre. Osservare inoltre che, in linea di massima, la clausola di "gestione collettiva" implica anche la possibilità che piccoli comuni possano formare consorzi con allevatori e aziende agroalimentari, ciascuno apportando rifiuti e sottoprodotti ad un unico impianto.
  • Definire una taglia minima dell'impianto in base alla quantità di biomasse digerite giornalmente anziché alla potenza, abbinata al recupero efficiente dei nutrienti, è un principio di sana "economia di scala". In virtù del secondo punto, però, viene limitata la tendenza al gigantismo e alla speculazione (in genere insostenibile, principalmente per l'impatto ambientale dei grandi impianti) perché è improbabile che una cooperativa di piccoli produttori riesca a raccogliere quantità di biomasse tali da portare alla costruzione di una cattedrale nel deserto. Osservare che in Italia, sin dagli albori del biogas ai tempi dell'ultimo Governo Berlusconi, la normativa definisce una taglia massima per gli impianti di biogas pari a 3 MW termici, senza considerare il volume di alimentazione giornaliero e men che meno la disponibilità di biomasse. Ciò ha portato alla costruzione, puramente speculativa, di grossi impianti anche da parte di singole aziende agricole che non hanno sufficiente biomassa per alimentarli. Poi ci hanno pensato il Fisco e il Gse a mettere paletti per l'erogazione delle tariffe incentivanti, ma il concetto di poter costruire un impianto di qualsiasi dimensione purché non superi 3 MW di potenza termica è rimasto.

 

La Catalogna possiede una grande quantità e diversità di materiali e rifiuti organici, risultato della sua attività economica e sociale. La strategia catalana sul biogas, con un obiettivo quantitativo di 2 TWh (termici) all'anno entro il 2030, promuove la gestione e la valorizzazione di queste risorse secondo i principi della bioeconomia circolare. Con il nuovo meccanismo di semplificazione burocratica, il Governo catalano prevede la messa in servizio di dodici nuovi impianti di digestione anaerobica all'anno. E tutto ciò senza spendere un euro di soldi pubblici, perché il biometano verrà pagato a prezzo di mercato.

 

Una delle principali sfide è la gestione sostenibile del digestato, cercando di minimizzarne l'impatto ambientale e sociale e trasformandolo in un'opportunità per creare nuove catene del valore, soprattutto nel campo dei biofertilizzanti e delle bioraffinerie. In questo contesto, il Governo sta sviluppando la strategia catalana per il digestato e il Piano d'azione 2024-2030. Ci riuscirà, o rimarrà tutto lettera morta come il fantomatico "digestato equiparato" del Governo Draghi?

Leggi anche Logorrea legislativa 2.0

Almeno in teoria, la riduzione delle procedure amministrative per la realizzazione di impianti di biogas rappresenta un impegno decisivo del Governo catalano per una trasformazione energetica sostenibile del proprio territori. Questa misura non solo rafforza la competitività del settore zootecnico e l'economia circolare, ma promuove anche lo sviluppo di infrastrutture rinnovabili, dà energia alle aree rurali e contribuisce a un'industria più pulita e innovativa che genera occupazione qualificata. Senza mettere mano alle tasche dei cittadini, senza favorire speculazioni. Certamente è un modello di sviluppo da prendere in considerazione, che con qualche sfumatura funziona da anni in Svezia e in Danimarca.

Leggi anche Il "modello Ringkøbing-Skjern" per l'utilizzo del biometano

Funzionerà nella pratica nella Catalogna? Verrà mai proposta una strategia simile in Italia o rimarremo "borbonici" come la Spagna?