Ritengo che quella dell’assessore all’Agricoltura della Lombardia, Gianni Fava, di supportare un processo di riforma della Pac, sia una buona idea. Con la Brexit bisogna infatti dire che, come ha detto Fava, la riforma della Pac si rende necessaria ed è un aspetto urgente. L’uscita dall’Unione europea della Gran Bretagna è un disastro, per loro e per gli Stati membri”.

A dirlo ad AgroNotizie è Franz Fischler, ex ministro dell’Agricoltura austriaco, commissario Ue all’Agricoltura dal 1995 al 2004 e promotore di una riforma della Pac improntata a sfide ancora attuali, come la competitività e la sostenibilità.
In un’intervista a tutto campo, che ha preso spunto dalle riflessioni dell’assessore lombardo all’Agricoltura, Gianni Fava, Fischler - oggi alla guida della società di consulenza omonima e componente del Forum for the future of agriculture – tocca i più svariati temi, dal ruolo delle Regioni, al Ttip, dalla riforma della Pac, all’immigrazione, fino al budget della prossima Pac.

Dottor Franz Fischler, quali conseguenze ci saranno con la Brexit, per l’Ue e per il Regno Unito?
Le conseguenze sono di diversa natura. Il Regno Unito è uno dei più grandi mercati nazionali per l’Unione europea ed è un importatore significativo di prodotti agricoli. L’uscita dall’Ue credo che porterà qualche sofferenza nell’export del Regno Unito, ma non solo. Chi si preoccupa è ad esempio l’Irlanda, che ha un canale aperto verso la Gran Bretagna per ingenti quantità di prodotti lattiero caseari e carni bovine. Ma sono in apprensione anche i Paesi che esportano vino, come la Germania o, ancora di più, i Paesi del Mediterraneo, perché la domanda che oggi legittimamente ci poniamo è la seguente: quali conseguenze ci saranno per il commercio?”.

Si dovranno trovare accordi commerciali.
Sì, naturalmente. Servono nuove regole e devono essere individuate. Si dovrà arrivare necessariamente ad un’intesa, ma credo che il Regno Unito non dovrà avere rapporti commerciali diversi da quelli in essere ad esempio fra l’Unione europea e la Norvegia o la Svizzera. Quindi, il Regno Unito dovrà, come fanno questi due Paesi, pagare un contributo. Mi aspetto che non sarà facile raggiungere l’intesa, sia per le questioni economiche che per l’altro elemento sul quale l’Unione europea non potrà derogare”.

Quale sarebbe?
Gli standard qualitativi e sanitari dei prodotti agroalimentari. L’Unione europea non dovrà tollerare alcuna differenza sugli standard in vigore al proprio interno”.

Sul fronte della Pac, che cosa potrebbe accadere?
Dobbiamo partire dal rapporto che, fino alla Brexit, aveva il Regno Unito con l’Ue. Non dimentichiamo che Londra ha avuto dei privilegi attraversi il cosiddetto rebate, che consentiva al Regno Unito di riavere una parte delle risorse devolute per la Politica agricola comunitaria. Però, ciononostante, bisogna riconoscere che il Regno Unito è sempre stato un contribuente netto. Che cosa fare, dunque? Le strade sono due, a mio parere: o si decide di distribuire fra gli Stati membri la quota che il Regno Unito versava all’Ue oppure si dovrà cambiare la Pac, che è il punto nodale dell’analisi dell’assessore Fava, che ritengo interessante”.

Pensa che si debba dunque pensare a una riforma della Pac?
Sicuramente bisognerà ridiscuterla e l’Olanda, che ha presieduto il consiglio dell’Ue nel primo semestre di quest’anno, ha già avviato una discussione sul futuro della Pac e il commissario europeo Phil Hogan ha già indetto una conferenza sul futuro dello Sviluppo rurale per i prossimi 5 e 6 settembre, a Cork. Sarà una tappa importante del dibattito. Se posso aggiungere, però, l’assessore Fava ha anche messo in evidenza altri aspetti che ritengo molto stimolanti”.

Prego.
Fava parla di un punto importante, che è l’incremento della volatilità dei mercati. Dobbiamo assolutamente sviluppare strumenti idonei a contrastare il fenomeno e se non lo faremo avremo divergenze significative di prezzi anche nella stessa Europa. Dobbiamo pensare ad attivare formule di assicurazione, ad esempio”.

Negli Stati Uniti il Farm Bill prevede formule assicurative. Pensa che possano essere adottate anche da noi?
Non credo sia una buona idea copiare lo schema adottato dagli Stati Uniti, per il semplice fatto che serve un modello europeo, che calzi perfettamente alla nostra realtà, molto diversa da quella americana. Dobbiamo, inoltre, sostenere le energie rinnovabili e lottare contro le conseguenze dei cambiamenti climatici.
Allo stesso tempo, le sfide che ci si presentano riguardano l’innovazione in agricoltura e l’ammodernamento delle imprese agricole, la definizione di standard qualitativi e delle denominazioni, ma anche come produrre e il tema degli Ogm.
Ci sarà moltissimo da discutere, non ultimo la questione legata a ridurre il gap fra gli agricoltori, l’industria di trasformazione e la distribuzione. Su questi temi, elencati anche dall’assessore Fava, bisognerà raggiungere delle intese e tradurle in azioni politiche, semplificando e mettendo insieme le aree omogenee. La Pac va migliorata partendo dalla semplificazione
”.

Quale può essere, in questo contesto agricolo, il ruolo delle Regioni?
Il ruolo delle Regioni è fondamentale. Ma deve essere chiaro che all’interno dell’Unione europea dobbiamo rispettare due principi”.

Quali?
Il primo è il riavvicinamento delle Regioni e il secondo riguarda le regole di concorrenza. Non si devono, cioè, violare i ruoli sulle competenze, in una direzione o nell’altra. Un principio che talvolta non sempre è stato rispettato dagli Stati membri. Sono i governi, naturalmente che discutono a livello comunitario, ma poi possono esserci dei livelli regionali di applicazione dello Sviluppo rurale. Naturalmente le Regioni possono interloquire con Bruxelles, ma senza escludere le competenze degli Stati membri. Se penso all’Italia, ad esempio, l’auspicio è che, una volta dialogato con Bruxelles, le Regioni si coordinino al meglio e facciano pressioni sul governo, affinché Roma, che ha la competenza per negoziare, faccia quanto è stato deciso”.

L’agricoltura, attraverso la Politica agricola comune, negli anni Ottanta beneficiava di circa l’80% del bilancio europeo, oggi siamo al di sotto del 39 per cento. Dove pensa che si arriverà?
Non è così importante quanto è grande la quota del bilancio, lo trovo un discorso filosofico. Piuttosto, è bene discutere di cosa si può finanziare. Se c’è un buon accordo a Bruxelles fra gli Stati membri sullo Sviluppo rurale è meglio che discutere di percentuali. Il rischio è presto spiegato: se non ci sono argomenti per spiegare per quale motivo servono i fondi per l’agricoltura, allora diventa tutto molto più complicato, perché vi sono anche altri capitoli di spesa nel bilancio della Pac. Bisogna fare in modo che i cittadini europei abbiano bene in mente qual è il ruolo dell’agricoltura”.

Che cosa accadrà con il Ttip, l’Accordo transatlantico di libero scambio?
In questo momento credo che non sia utile parlare di Ttip. Non ha molto senso, perché è chiaro che non si concluderà alcun accordo sotto la presidenza di Obama e nessuno ad oggi sa che cosa avverrà col prossimo presidente degli Stati Uniti d’America. Consiglio di tenere una posizione morbida e, allo stesso tempo, di definire in maniera chiara le linee sulla sicurezza alimentare: l’Ue non può abbandonare le proprie su questo tema”.

Ci sono anche altri due aspetti da considerare: le indicazioni geografiche e gli Ogm. Cosa dice a riguardo?
Sul primo aspetto non ritengo ragionevole incaponirsi per proteggere centinaia di prodotti, è meglio seguire la strada adottata nei negoziati fra Ue e Canada, stilando una lista di prodotti che devono necessariamente essere tutelati. Ad esempio, nel caso italiano, non possiamo non proteggere grandi prodotti come il Grana Padano, il Parmigiano Reggiano o il Prosciutto di Parma.
Quanto agli organismi geneticamente modificati, non possiamo fingere che l’Unione europea non importi il 90% della soia gm, destinata all’alimentazione degli animali. È un problema che dobbiamo porci. Al momento noi dobbiamo fare i conti con la decisione della Commissione Barroso, in base alla quale i singoli Stati membri sono liberi di decidere autonomamente se acconsentire o no alla semina di piante geneticamente modificate
”.

Pensa che delegare i singoli Paesi sia stata una scelta corretta?
Penso che sia più problematico. Quale ruolo dovrebbero svolgere gli Ogm? In quale direzione dovrebbero andare gli Stati? Oggi c’è un gruppo di Paesi favorevoli, altri contrari. Bisognerebbe individuare una strada”.

Che cosa pensa a riguardo?
Negli Stati Uniti e in Sud America praticano il minimum tillage e non usano l’aratro, se non usassero gli Ogm non raccoglierebbero alcunché. Là c’è un senso nell’utilizzarli. La situazione in Europa è diversa…”.

L’Europa è scossa da ondate migratorie che hanno provocato reazioni differenti fra gli Stati e hanno riacceso nazionalismi. Quale strategia pensa debba adottare Bruxelles? Con riferimento ai cosiddetti “migranti climatici”. Ritiene che lo sviluppo dell’agricoltura, magari in Africa o nei Paesi che maggiormente vivono tali flussi migratori, possa contribuire a frenare la fuga verso l’Europa?
Innanzitutto bisogna dire che i migranti cosiddetti climatici appartengono alla schiera dei migranti economici. Lo sviluppo dell’area subsahariana o della parte occidentale dell’Africa è compromesso dalla desertificazione e dalla scarsità di acqua, fattori per colpa dei quali non si produce abbastanza cibo. Attualmente ci sono ingenti problemi nel nord del Kenya, per effetto delle conseguenze climatiche verificatesi a inizio anno e provocate da El Niño”.

Che cosa si può fare?
A breve termine bisogna agire attraverso i programmi per l’alimentazione della Fao, ma in una fase più a lungo termine è imprescindibile aiutare lo sviluppo dell’agricoltura locale, attraverso la cooperazione, i finanziamenti, la ricerca, l’innovazione, le sementi. Oggi in Burkina Faso la resa per ettaro di grano è di 1 tonnellata per ettaro, quando in Italia si arriva anche a 8 tonnellate. Dobbiamo evitare che arrivi un numero elevato di rifugiati. Un conto è la situazione in Siria, dove c’è la guerra e dove l’unica alternativa è fuggire, un altro sono i migranti climatici”.

La Turchia periodicamente chiede di poter fare parte dell’Unione europea. Qual è il suo giudizio in merito?
Ad oggi i negoziati sono bloccati, ma la mia personale opinione è che il governo e soprattutto il presidente turco Erdogan non siano molto interessati a entrare nell’Ue, mentre sembra che la Turchia voglia giocare un ruolo più importante rispetto a quello di Stato membro. Piuttosto, penso che il governo di Ankara sia maggiormente interessato ad avere rapporti commerciali con l’Unione europea. Ma se mi chiede quando si raggiungerà un accordo nessuno lo sa!”.

Il premio Nobel per l’Economia, Joseph Stiglitz, ha detto che “l’Europa è fallita e che per salvarsi dovrebbe abbandonare l’euro”. Condivide?
L’Europa non può abbandonare la moneta unica. Non siamo più nella situazione di scegliere se abbandonare la moneta unica o no, dobbiamo andare avanti con l’euro e non dobbiamo nemmeno ascoltare solo quello che dicono gli Stati Uniti. Io sono favorevole a proseguire in linea con gli accordi di Maastricht, dove si parlava non solo di frontiere, ma anche di Unione economica europea. Il nostro errore è stato quello di introdurre l’euro, senza aver prima completato per intero l’accordo di Maastricht e arrivare a un’unione anche economica, con una regolamentazione condivisa sulle finanze pubbliche, sulle banche e altro”.

Quali soluzioni suggerisce per rilanciare l’agricoltura?
Molto spesso generalizziamo su un’agricoltura in crisi, che però ha alcuni settori che non soffrono. Penso ad esempio al vino e alla frutta. Certo, i comparto lattiero caseario e suinicolo soffrono. Dobbiamo affermare un nuovo modello di agricoltura e migliorare la cooperazione all’interno della filiera. Innanzitutto dobbiamo vendere meglio i prodotti”.

Sulla crisi del settore lattiero caseario c’è anche chi ha proposto di reintrodurre le quote o un sistema analogo…
Le quote latte appartengono al passato, sono state abolite e non devono riemergere”.

Si è parlato anche di aprire agli aiuti per la suinicoltura e l’avicoltura. Condivide?
C’è un problema di fondo. La Pac prevede finanziamenti per aree e si deve decidere, perché non si può finanziare tutto. La decisione di sostenere tutto l’allevamento non sarebbe conforme alle regole del Wto”.

Come giudica l’Unione europea sul tema dell’embargo russo? Sta agendo correttamente oppure sta proseguendo su una linea di principio che penalizza soltanto l’economia?
Quanto sta facendo l’Ue è corretto. Dispiace, tuttavia, che a farne maggiormente le spese sul piano economico siano gli agricoltori. È giusto tuttavia chiedersi come collaborare con la Russia in futuro. Per troppo tempo l’Unione europea ha trascurato la Russia”.

I giovani hanno difficoltà di inserirsi in agricoltura, nonostante l’attenzione della Pac. Come si potrebbe aiutarli?
Bisogna capire quali priorità ha il Programma di sviluppo rurale e della Politica agricola comune, ma queste scelte appartengono ai singoli Stati, i quali decidono autonomamente. Io sono convinto che un’azione importante riguardi l’aspetto formativo dei giovani agricoltori e negli anni le conoscenze e le competenze sono cresciute”.

Pensa che sia giusto assegnare per un capitolo come i giovani agricoltori le competenze agli Stati membri?
Sì. Perché il panorama varia da Stato a Stato. L’Italia ha regole differenti dalla Svezia, ad esempio, dove se sei un giovane agricoltore che subentra nel mercato deve acquistare la terra dai genitori. In Austria, ancora, il costo del terreno è molto basso, diversamente dal vostro Paese”.

Nel 2002 propose il documento "Verso un’agricoltura sostenibile" e per primo introdusse l’attenzione alla condizionalità. Che cosa dice, a distanza di anni?
Con quel documento ci chiedevamo che cosa fare per l’agricoltura. Abbiamo introdotto misure e nuove direttive per controllare che le misure, ad esempio sul benessere animale, fossero rispettate. Ma la verità è che in alcuni Stati membri tali regole non furono applicate. Si venne a creare una situazione di concorrenza sleale, con alcuni agricoltori che vivevano in Paesi in cui le misure erano controllate e altri che operavano in Paesi in cui non vi erano controlli”.