Iniziamo dal principio!!

Nel settembre 2010, il Decreto Ministeriale n. 212, definiva la birra non come bevanda, bensì come “prodotto agricolo” essendo la produzione della birra, ma anche della grappa, del pane e degli altri prodotti di panetteria freschi, considerate a tutti gli effetti attività connesse a quella agricola.
Detta statuizione ha comportato considerevoli conseguenze sul mercato di tale prodotto.
Infatti il menzionato Decreto prevedeva che i birrifici che producevano “in proprio” almeno il 51% dell’orzo impiegato nella produzione di birra potessero accedere a bandi comunitari per il finanziamento di progetti agricoli (tra cui, per l’appunto, anche la creazione di birrifici) ed avere la possibilità di adottare un regime fiscale agricolo, con tutte le agevolazioni del caso.
Questo comportò, com’era prevedibile, un aumento esponenziale dei cosiddetti birrifici agricoli o agribirrifici a partire dallo stesso anno di emanazione della normativa, dando ampio spazio a produttori più o meno motivati, più o meno improvvisati.

L’”affare”, incontrava l’interesse sia di aziende agricole già esistenti, che cominciavano a valutare la possibilità di produrre birra, sia di birrifici artigianali che, invece, iniziavano a produrre in proprio l’orzo; la prospettiva, peraltro, non era disdegnata nemmeno dalle grandi aziende già affermate, spesso trasformatesi in birrifici agricoli.
Poi arrivò il Governo Monti, che con la sua Legge di stabilità prevedeva, tra le altre cose, la cancellazione di una serie di agevolazioni per le aziende agricole; ci si riferisce, in particolar modo, alla tassazione forfettaria per le srl costituite da imprenditori agricoli per la trasformazione e la commercializzazione dei prodotti che, per le dinamiche sopra esposte, tocca pesantemente il settore dedito alla produzione di birra.
A ben vedere, però, la legge di stabilità non cancellerà in toto quanto stabilito dal decreto 212/2010; la birra infatti continuerà ad essere un prodotto agricolo e gli agribirrifici potranno ancora contare sui finanziamenti europei, ma perderanno le agevolazioni fiscali, ossia la tassazione agevolata, resa possibile dalla Finanziaria del 2007.

Altro aspetto interessante nell’ambito del settore birra è legato all’etichettatura.
Il problema questa volta si è posto con riferimento alla birra artigianale, della quale purtroppo non esiste una definizione specifica in termini di legge, nonostante a volte siano abissali le differenze sotto il profilo qualitativo tra la produzione industriale e quella artigianale.
Ebbene, anche in un’ottica di tutela del consumatore e di trasparenza, sarebbe evidentemente opportuno poter citare in etichetta l’aggettivo “artigianale” ma tale dicitura, nonostante venga utilizzata dalla quasi totalità dei produttori artigianali, non è ammessa in quanto non prevista dalla legge n. 1354 del 16 agosto 1962.
Detta normativa, assai risalente nel tempo, stabilisce i dettami della “Disciplina igienica della produzione e del commercio della birra” e non ammette l’uso di aggettivi integrativi alla denominazione commerciale del prodotto.
Pertanto la dicitura “birra artigianale” (nonostante sia ampiamente utilizzata) non è utilizzabile in quanto non prevista; secondo tale normativa, infatti, si possono utilizzare solo le diciture: "birra analcolica", "birra leggera" o "birra light", "birra speciale" e "birra doppio malto".

Questa previsione legislativa è stata seguita anche da una recente circolare ministeriale in cui si prevede che la presenza di una struttura organizzativa tipicamente artigianale e/o familiare è caratterizzata dal basso numero di addetti e soprattutto dall’incidenza dell’apporto umano e personale nella produzione. Questo aspetto concerne, ovviamente ed unicamente, le caratteristiche dell’azienda e, pertanto, non può in alcun modo essere utilizzato per presentare i prodotti come superiori nella qualità. L’azienda artigianale non può cioè trasformare la sua qualifica giuridica in un elemento di qualità dei prodotti finiti.
Ciò posto, rimane il problema che le definizioni sopra riportate, che sono le uniche cui il produttore ha l’obbligo di sottostare, non sono in grado di offrire al consumatore nessun tipo di tutela circa la qualità del prodotto, limitandosi a prevedere una tassazione crescente man mano che i gradi Plato, e quindi quelli alcolici, aumentano.

A questo punto, forse, sarebbe giunto il momento di riprendere in mano la normativa di riferimento, apportandovi finalmente quelle modifiche che possano consentire al consumatore di leggere in etichetta le effettive caratteristiche della birra che si appresta ad acquistare, senza per questo che i produttori debbano correre il rischio di essere pesantemente multati per il solo fatto di aver descritto ciò che producono.
 

A cura di Stefano Fiorentino e Cristina Gaia Giurdanella
Studio Legale Fiorentino

 
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Storicamente operante nel settore delle biotecnologie medicali, lo Studio nell’ultimo periodo ha iniziato un percorso regolatorio anche in ambito agri-food ed in particolare nel settore vitivinicolo, regolamentato da una normativa in continua evoluzione e di rilevante interesse giuridico per gli operatori del settore.
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