Il sistema agrivoltaico può essere visto come una nuova forma di consociazione fra produzione di energia elettrica e produzione di biomassa, deve però essere chiaro che "la vegetazione non è un subordine". È il pensiero di Luca Crema, consigliere dell'Ordine Nazionale Agronomi e coordinatore del Dipartimento Economia, Estimo ed Ingegneria Rurale del Conaf.
Crema ha parlato durante uno degli eventi del "Salone dell'Agrivoltaico by Key" che si è tenuto all'ultima edizione di Macfrut di Rimini. In particolare proprio Conaf, l'Associazione Italiana Agrivoltaico Sostenibile ed Enea hanno organizzato un convegno dal titolo "L'agrivoltaico incontra l'ortofrutta". La necessità di trovare un equilibrio fra coltivazione del terreno e produzione di energia elettrica, grazie a un'attenta progettazione e alla collaborazione fra tecnici dei due settori (agricolo ed elettrico) ha percorso, per la verità, tutti gli eventi organizzati al Salone.
La consociazione è un sistema colturale conosciuto agli agricoltori. "Quando due specie sono in grado di sfruttare in maggior misura le risorse ambientali disponibili perché nel loro complesso riescono ad accedere a una maggior quantità di risorse, fanno un uso più efficiente di ciascuna risorsa, si dicono complementari. Si crea una consociazione vantaggiosa" (citato di Marco Acutis, Università degli Studi di Milano). Questo è un po' l'obiettivo cui dovrebbero puntare i sistemi agrivoltaici dove pannelli fotovoltaici per la produzione di energia elettrica e produzione agricola e zootecnica convivono. "La sostanza secca della pianta non è altro che un accumulo di energia, ben venga quindi la consociazione ma deve avvenire senza una prevalenza o un discapito della biomassa", ha specificato ancora Crema durante la conferenza.
Poi Luca Crema ha continuato, rivolto soprattutto ai colleghi agronomi che si occuperanno di collaborare alle progettazioni di impianti e al monitoraggio negli anni di esercizio degli stessi. "Non è sufficiente che la pianta sopravviva, la pianta deve generare un prodotto come quello a pieno campo, senza i pannelli, anzi si deve cercare di sfruttare miglioramenti del micro ambiente che si generano. Il sistema deve anche essere integrato con il mercato e con l'azienda. Non è il caso di inserire colture che hanno scarsa necessità di luce perché il pannello non è l'elemento prioritario nel mio sistema agrivoltaico".
Agrivoltaico, alcuni esempi
Durante il convegno sono stati portati casi concreti di impianti agrivoltaici. In particolare Antonio Lancellotta, amministratore delegato di Le Greenhouse ha raccontato la propria esperienza. Le Greenhouse, socio fondatore dell'Associazione Italiana Agrivoltaico Sostenibile (Aias), è un consorzio di aziende specializzate nella coltivazione in ambiente agrivoltaico. Hanno realizzato il primo impianto nel 2011 in Calabria, in collaborazione con EF Solare Italia. A questo sono seguiti impianti, in Umbria e in Sardegna. Ad oggi hanno attivi 40 ettari coltivati, in undici impianti serricoli fotovoltaici all'interno dei quali sono coltivati agrumi.
Con il tempo il modello di agrivoltaico da loro attuato si è evoluto verso pannelli sopraelevati, non in serra, quindi impianti in sistema aperto, al di sotto dei quali vengono coltivati sempre agrumi. La distanza fra le file è adatta al passaggio dei mezzi agricoli così come l'altezza dei pannelli. I pali sono infissi al suolo senza fondazioni e i progetti tengono conto anche dell'efficienza nella produzione di energia elettrica, in questi impianti di nuova generazione i pannelli sono a inseguimento solare. "Nel tempo - ha raccontato Antonio Lancellotta - abbiamo studiato protocolli di produzione e ora stiamo lavorando a nuovi progetti. In dieci anni di esperienza abbiamo notato una riduzione dell'apporto idrico, un beneficio per le piante, abbiamo visto, in particolare per i limoni, che vegetano meglio. Abbiamo poi notato un'alta qualità prodotti. In sostanza gli agrumi crescono in un ambiente protetto, e dunque c'è meno scarto. Gli addetti alla raccolta infatti raccolgono prevalentemente prima qualità".
Durante il convegno a Macfrut 2024 il professore Giuseppe Ferrara, del Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e degli Alimenti dell'Università degli Studi di Bari Aldo Moro, ha presentato i risultati di ricerche condotte su vite, che vanno avanti da diversi anni. Prima, in collaborazione con l'Università degli Studi di Verona, i ricercatori hanno lavorato su cultivar Corvina in Veneto e poi hanno continuato le ricerche in Puglia, in provincia di Laterza (Ta), con la collaborazione dell'Azienda Svolta. In Puglia hanno indagato diversi vitigni, prevalentemente autoctoni, e condotto una prova su Primitivo. I pannelli nel sistema agrivoltaico preso in considerazione sono fissi.
Leggi anche Agrivoltaico, nuove prospettive per la viticoltura pugliese
"La vite - ha spiegato il professore - è una specie plastica, quindi anche se durante il giorno delle porzioni di pianta restano ombreggiate, questa trasloca quello che viene convertito in una zona anche nel resto, nella zona della pianta in ombra". "In Veneto - ha raccontato il professore Ferrara - abbiamo visto una decisa riduzione di temperatura sotto i pannelli, una migliore efficienza produttiva e una migliore disponibilità idrica nel suolo. Sono aspetti positivi, significa poter gestire meglio l'irrigazione con un minor consumo di acqua. Analisi degli scambi gassosi, degli indici di stress, dell'evapotraspirazione hanno dimostrato differenze significative fra il vigneto in pieno sole e quello coperto da pannelli. Le differenze sono state marcate nelle giornate soprattutto fra le 11:00 e le 13:00. Il vigneto fotovoltaico recuperava rispetto alle prime ore del mattino nei confronti del vigneto in pieno sole. Abbiamo misurato riduzioni delle temperature massime dell'aria fra 1 e 2°C, riduzione della temperatura del suolo fra 1 e 3°C. Ci sono state differenze produttive, negli anni, e anche qualitative. Abbiamo notato una riduzione degli zuccheri e un aumento dell'acidità nelle uve cosiddette elettriche ma - ha specificato il professore - questo potrebbe non essere per forza un aspetto negativo".
Agrivoltaico, le ricerche condotte su vite
Per quanto riguarda le prove condotte in Puglia, "abbiamo misurato soprattutto la radiazione solare. Il sistema agrivoltaico richiede la presenza di stazioni meteoclimatiche con sensori di vario tipo, anche per avere dati effettivi, monitorare le condizioni", ha detto ancora Giuseppe Ferrara. "In ambienti meridionali in zone con elevata radiazione, i risultati dell'agrivoltaico sono molto positivi, protegge dagli sbalzi termici, aiuta nella conservazione dell'acqua e poi ci sono anche da considerare aspetti dal punto di vista ambientale. C'è un miglioramento della flora, c'è più umidità quindi più vegetazione spontanea. Analizzando la conduttanza stomatica, bisogna dire che le zone più ombreggiate ne risentono, nella progettazione bisogna tenerne conto, fare attenzione agli ombreggiamenti. Le piante però risultano meno stressate, dati alla mano, le piante sotto agrivoltaico sono più ricche di clorofilla".
Sono state effettuate anche prove di vinificazione. "Per quanto il colore delle uve fotovoltaiche sia inferiore rispetto a quelle prodotte fuori dall'impianto, abbiamo un'acidità maggiore. Certo, anche la produzione chiaramente è minore. Le vinificazioni comunque hanno prodotto vini di qualità, si possono ottenere vini meno alcolici, con colori più brillanti, da destinare a nuovi target di consumatori. Il Primitivo ottenuto sotto agrivoltaico era diverso da quello classico, ma molto bevibile e gradevole. Sui bianchi abbiamo ottenuto una maggiore freschezza e una maggiore sapidità".
Luigi Ledda, professore di Agronomia e Coltivazioni Erbacee all'Università Politecnica delle Marche e consigliere Conaf, ha sottolineato gli errori commessi in passato nella progettazione di serre agrivoltaiche, "la svolta - ha detto Ledda - è arrivata quando abbiamo messo a punto come gruppo di ricerca un algoritmo attraverso il quale siamo riusciti a quantificare, ad avere il dato della radiazione cumulata, considerando la configurazione spaziale della serra. Ciò ha consentito il salto di qualità dal punto di vista delle nostre capacità predittive rispetto a un ambiente perturbato quale quello di un sistema agrivoltaico".
Agrivoltaico: la coltura al centro
I passi in avanti dell'agrivoltaico. Ma serve ancora molta ricerca
Le conoscenze sono dunque andate avanti, così come le soluzioni tecnologiche per quanto riguarda la parte fotovoltaica (pannelli fissi, pannelli a inseguimento monoassiale e biassiale), anche se l'agrivoltaico richiede ancora molta ricerca. Ledda ha individuato alcuni punti fermi. "Bisogna uscire dalle generalizzazioni - ha detto il professore Ledda - va fatto uno sforzo per combinare la radiazione disponibile rispetto alle esigenze delle diverse colture. La progettazione deve essere mirata. È opportuno poi scegliere specie consolidate, quindi non modificare il sistema colturale, osservare avvicendamenti e rotazioni e tenere conto della meccanizzazione. Abbiamo visto che il risparmio idrico è possibile, vanno adottati sistemi di irrigazione di precisione e, tenendo conto anche del paesaggio, abbinate fasce alberate attorno all'impianto, anche in funzione frangivento".
Tornando al concetto iniziale di consociazione, Luigi Ledda ha spiegato che c'è un modo per dimostrare la sostenibilità del sistema agrivoltaico ed è un parametro denominato Ler, Land Equivalent Ratio o Rapporto di Suolo Equivalente, che si usa anche per valutare le consociazioni fra colture. Il Ler misura la maggiore produzione ottenuta grazie a due sistemi coltivati rispetto alle produzioni ottenibili individualmente in proporzione al terreno occupato.
C'è un formula per calcolarlo, basti sapere che se il Ler è superiore a 1, il sistema è sostenibile. Nell'esperienza fin qui il Ler degli impianti agrivoltaici supera 1, si attesta solitamente fra 1,2 e 1,7. Con una slide d'esempio Ledda ha spiegato il ragionamento: se seminiamo grano su 1 ettaro e occupiamo 1 secondo ettaro con pannelli a terra, abbiamo il 100% d'efficienza d'uso del suolo, ma se seminiamo grano sull'80% di 1 ettaro di terreno e contemporaneamente occupiamo la stessa superficie di 1 ettaro con i pannelli solari sopraelevati, l'efficienza d'uso del suolo passa al 160%. Il terreno occupato si dimezza (1 ettaro e non 2 ettari) e sulla stessa superficie si ottengono due prodotti: grano ed energia elettrica.
Certo Ledda ha voluto mettere in evidenza, per la parte agronomica, che è importante la quantità ma anche la qualità del prodotto agricolo ottenuto. "Se è vero infatti che in molte situazioni non ho penalizzazione quantitativa, se non si raggiungono standard minimi di qualità possiamo dire che la produzione agricola è pari a zero".
Leggi anche Agrivoltaico, anticipazioni sui dettagli tecnici di accesso ai fondi Pnrr