Argomento complesso quello del benessere animale, troppe volte affrontato avendo una visione antropocentrica, ovvero confondendo il benessere dell'uomo con quello degli animali.
Si spiega così come sia possibile che dal 1974 l'Unione europea sia al lavoro per tentare di dare indicazioni univoche su questo tema, con risultati poco incoraggianti.

A volte penalizzando inutilmente gli allevatori, altre volte stabilendo norme di difficile applicazione, che hanno favorito una difformità di comportamenti sia all'interno dell'Unione, sia nei confronti dei Paesi terzi.
Con il deludente risultato di non aver completato l'obiettivo del benessere animale, mentre aumentava il gap competitivo sui mercati.


Pensando al Farm to Fork

Norme, regolamenti, direttive si sono affollate l'una sull'altra in quasi 50 anni di attenzione al tema del benessere animale, tanto da indurre la Commissione europea a procedere con una valutazione dei risultati raggiunti.
Il periodo preso in esame doveva estendersi fra il 2012 e il 2015, ma poi si è deciso di arrivare al 2018 e in questi giorni è stato diffuso il documento conclusivo di questa indagine.

Il perché di questa analisi, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è il benessere animale, ma il desiderio di soddisfare un'opinione pubblica sempre più attenta a questi temi.
La conferma la offre lo stesso documento quando spiega che l'indagine è finalizzata ad accondiscendere alla strategia ispiratrice del progetto europeo Farm to fork.
Un capitolo importante di questo progetto è quello della etichettatura dei prodotti di origine animale, incorporando informazioni sulla condizione di benessere con il quale quegli stessi prodotti sono stati ottenuti.
 

Poca scienza

Prima di parlare delle conclusioni alle quali è giunta l'indagine promossa dalla Commissione, è opportuno dare un'occhiata alle "fonti" che hanno portato al risultato finale.
La raccolta dei dati è avvenuta fra l'altro raccogliendo interviste on line alle quali sono stati chiamati a rispondere consumatori, organizzazioni animaliste, industrie del settore, organizzazioni dei produttori e rappresentanti degli Stati membri.

Nell'elenco dei gruppi coinvolti si nota la limitata presenza della ricerca scientifica, l'unica a mio parere in grado di dare risposte che non siano suggerite dall'emotività.
Più numerosa la rappresentanza delle organizzazioni non governative.
Lascia infine qualche perplessità il disinteresse al tema da parte delle organizzazioni dei consumatori. L'unica ad aver accettato l'invito non ha fornito risposte.


I punti critici, pesci e conigli

Le conclusioni, pur con questi e altri limiti, dicono che i fronti aperti sul capitolo del benessere animale riguardano in misura maggiore l'allevamento dei pesci insieme al nodo delle specie ancora prive di una normativa di riferimento (fra questi i conigli).

A queste si aggiungono le differenze che si riscontrano fra i Paesi nel trasporto degli animali e infine alcune pratiche cruente ancora in uso, come il taglio della coda nei suinetti.
Un problema che sarà difficile superare riguarda poi le disparità legislative che in tema di benessere animale si incontrano nei Paesi terzi, restii ad adottarne di analoghe a quelle europee.


Pensando alle etichette

Questa disparità di vedute sul benessere animale al di fuori dei confini dell'Unione, è peraltro una testimonianza della migliore situazione che si riscontra negli allevamenti europei e che le conclusioni dell'indagine confermano.
Resta tuttavia molto lavoro da fare anche nella prospettiva delle strategie insite nella prossima Pac, la politica agricola europea che ci accompagnerà sino al 2027.
Qui un capitolo potrebbe essere dedicato all'informazione ai consumatori sul benessere animale, anche tramite una etichettatura ad hoc.

E l'Italia questa volta potrebbe giocare d'anticipo, facendo da capofila. Il lavoro è già iniziato, come AgroNotizie ha potuto anticipare.
Non resta che procedere lungo questa via, avendo come riferimento il benessere degli animali, ma anche il valore economico di un settore che nella Ue vale 427 miliardi di euro e che dà lavoro ad oltre 22 milioni di persone.
Tutti costoro meritano un'attenzione non minore di quella che viene data agli animali che si allevano.