Riva del Garda, 19-21/marzo - Al convegno "Future Ipm in Europe" una parte molto corposa degli interventi è stata dedicata agli aspetti normativi. Nella fattispecie, sono state condivise varie tematiche relative ai cosiddetti Pan, o Nap nell'acronimo inglese comunemente utilizzato. In italiano: Piani di azione nazionale.
La situazione europea è alquanto eterogenea, sia per quanto riguarda i livelli di avanzamento (solo 18 appaiono completi), sia per la tipologia di documento finale prodotto. Basti pensare che l'Olanda, fedele al proprio pragmatismo luterano, ha redatto un documento di circa una dozzina di pagine. In Danimarca e Finlandia, altre nazioni tutt'altro che insensibili ai temi ambientali, la formazione sarà si obbligatoria, ma non prevederà ore di corsi, bensì solo un esame finale.
Al contrario quindi di altri Paesi, fra cui l'Italia, ove agli agricoltori saranno richieste svariate ore di corsi prima di sostenere l'esame finale. In alcuni casi la lunghezza della formazione è prevista fino a 72 ore.
 
Tiziano Galassi - Regione Emilia Romagna

Sia come sia, in Italia il Pan prevedrà la progressiva riduzione dei prodotti classificati T+, T e Xn, come pure sarà reso obbligatorio l'acquisto dei prodotti con patentino anche per gli Xi e gli Nc (dal 26 novembre 2015). Sono quindi in vista guai sempre più seri per i prodotti con frasi di rischio "pesanti", come R40, R48, R60, R61, R62, R63 ed R68.
Qualche problema, forse, lo avranno anche quegli agricoltori che si sono abituati a comprare "a scontrino" tutti quei prodotti Xi e Nc da adoperare nei campi anche oltre i limiti previsti dai disciplinari di difesa integrata o biologica. Perché a comprare prodotto per trattare quattro volte e poi segnarne solo tre, in fondo, non ci vuole un Genio del Male. Dovendo invece caricare ogni acquisto sul patentino, magari la vita dei soliti furbacchiotti diventerebbe un po' più difficile. Diventerebbe invece più facile per me, giornalista, che vedrei finalmente sparire la fatidica frase "acquistabile anche senza patentino". Un'argomentazione di marketing efficace, ma che riassume in sé anche il basso livello di inquadramento professionale in cui opera parte dell'agricoltura nostrana.
 
I macchinari e le attrezzature per l'irrorazione andranno incontro a una progressiva revisione, la quale dovrà poi essere rinnovata periodicamente presso centri specializzati. In Italia alcune Regioni sono già messe bene in tal senso, come esempio l'Emilia Romagna o la Val d'Agide, ma altre potranno avere difficoltà dovute alla rarefazione delle officine autorizzate sul loro territorio.
 
In via di definizione anche le misure per la protezione delle acque superficiali, tramite l'adozione di "buffer zone" (metri di distanza fra gli appezzamenti e i corpi idrici). Questo, unitamente alla diffusione di nuovi polverizzatori a ricircolo, potrebbe ridurre quasi a zero i livelli di contaminazione per deriva.
 
Una nota a parte la merita invece la qualifica di "Consulente" delle aziende agricole.
Con una posizione che appare più ideologica che razionale, si è stabilito che non potrà ricoprire il ruolo di consulente chi abbia, o che abbia avuto, legami con le società produttrici di agrofarmaci.
In altre parole, uno come lo scrivente, con una laurea in agraria, un dottorato in ecotossicologia e vent'anni di esperienza nel mondo della difesa delle colture, non potrà mai diventare consulente.
In un tale contesto, le mie consulenze private ad alcune multinazionali, svolte come libero professionista in tema di comunicazione, mi impedirebbero di fatto di trasmettere a valle le mie competenze agronomiche e ambientali. Quasi che collaborare con le multinazionali fosse un Peccato Originale che nessun Messia sarà mai in grado di bonificare.
Consulente lo potrà invece diventare un neolaurato che magari dopo tanto studiare non sa nemmeno bene come mettersi gli stivali in gomma per camminare in un frutteto dopo una pioggia. Dimostrazione che troppo spesso i pregiudizi impediscono di attingere le migliori competenze là dove esse già risiedono.
 
Mariangela Ciampitti - Regione Lombardia
Un tema che non è stato trattato adeguatamente, almeno ad avviso di chi scrive, è quello economico. Monitoraggio del territorio, consulenza e formazione costano. Con l'implementazione del Pan i costi non potranno che aumentare. A causa della stretta finanziaria, però, vi sono Regioni che non hanno potuto nemmeno autorizzare la missione a Riva del Garda a un (un solo) loro tecnico. Si parla di cellulari e auto di servizio che non ci sono più, cosa che deve far riflettere sulla qualità del lavoro che potranno svolgere i tecnici in futuro. Un tesoro umano di competenze che verrà castrato nella sua operatività perché i rubinetti economici sono stati chiusi? Purtroppo pare sia così.
Come faranno quindi le Regioni ad affrontare adeguatamente le sfide del futuro se vengono loro sottratte le risorse? Fare di più con meno è un approccio saggio e produttivo. Ma a tutto c'è un limite.
 
Circa infine i tempi d'implementazione, pare che l'Italia sia ancora indietro. A Riva del Garda è stata infatti presentata l'ennesima bozza. Le consultazioni con i cosiddetti "Stakeholder", cioè le persone che abbiano una qualche voce in capitolo nella definizione dei dettagli, ha prodotto quasi duemila commenti, la valutazione dei quali richiederà tempo e ulteriori confronti per trovare i giusti legami fra posizioni magari divergenti.
Forse, visto come stanno le cose, è bene non azzardare più date e scadenze, rassegnandoci all'idea che il sangue latino ha i suoi lati positivi, ma anche quelli negativi.
Resta comunque un fatto: il Pan presto o tardi arriverà e verrà implementato. È bene quindi che l'intero settore si prepari.
Per motivi di banale orgoglio nazionale, si spera però che una volta tanto l'Italia non si classifichi come fanalino di coda in Europa. Di richieste di deroghe ne abbiamo già abbastanza per la Direttiva Nitrati e di maglie nere il Belpaese non ne può davvero più.