Spesso la tecnologia corre più veloce della normativa e il caso dell'applicazione dei droni in agricoltura è esemplificativo. Sebbene questi strumenti possano essere usati per irrorare le colture dall'alto, la normativa oggi ne vieta l'impiego, in quanto non è possibile applicare prodotti fitosanitari attraverso "mezzi aerei".
Eppure il loro impiego sarebbe conveniente, essendo in grado di entrare in campo anche con terreni non carreggiabili e con pendenze elevate, trattando in poco tempo ampie superfici. Se la normativa è rimasta ferma all'uso degli elicotteri, è prevedibile che presto (o tardi) il legislatore apra a questa opportunità, come accade in altri Paesi Ue. Per ora sono state pubblicate le linee guida per chi vuole fare sperimentazione.
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Mentre nei corridoi del Ministero della Salute si discute dell'argomento, le aziende stanno lavorando per definire i migliori parametri operativi per la distribuzione dei prodotti fitosanitari. Il drone è infatti solo un mezzo di trasporto, la qualità di un trattamento dipende dalla scelta di alcuni parametri, che si influenzano vicendevolmente.
Trattamenti col drone, i parametri da prendere in considerazione
Vediamo ora quali sono i parametri su cui il tecnico può giocare per offrire all'agricoltore un trattamento efficace e veloce, che riduca al minimo il problema della deriva e in generale della dispersione in ambiente della miscela fitoiatrica.
Altezza di volo
Più il drone vola in vicinanza della coltura, sia essa una vite o un campo di grano, più diminuisce il rischio che si sviluppi deriva. Al contempo, però, diminuisce la larghezza di lavoro e dunque devono aumentare i passaggi del drone. Secondo Julius Kühn-Institut, che in Germania ha stilato delle linee guida ad hoc, l'ideale sarebbe stare entro i 2 metri di altezza dalla chioma, ma, come vedremo, questo significa allungare di molto i tempi dei trattamenti e se si usano droni di grandi dimensioni questa opzione diventa impraticabile.
Velocità
Più si va veloce più presto si finisce il lavoro. Questo è vero per le irroratrici classiche, figuriamoci per il drone (che ha una scarsa autonomia di volo). Se si procede velocemente, tuttavia, cala la qualità della distribuzione e quindi l'efficacia dell'agrofarmaco.
Volumi
I droni oggi in commercio in Italia hanno un payload limitato (il T50, ammiraglia della DJI, porta 40 litri), questo significa che occorre usare dei prodotti impiegabili a bassissimi volumi e adatti all'applicazione aerea (ad oggi non ce ne sono in commercio). Se si opera a bassissimi volumi significa che occorre essere molto precisi nell'applicazione o che occorre fare rifornimento molto spesso.
Il DJI T50 ha una apertura di circa 3 metri e può trasportare 40 litri di miscela
(Fonte foto: Andrea Pagliai, Università degli Studi di Firenze)
Tipologia di ugelli
Per evitare la deriva è necessario utilizzare ugelli antideriva, che producono gocce di grosse dimensioni che non si disperdono nell'aria. Tuttavia occorre sempre considerare che, data una certa pressione, se non si vogliono avere difformità di applicazione la velocità del drone deve essere mantenuta costante.
A meno di non usare ugelli rotativi, come quelli del nuovo T50, che adottano un sistema che si basa su due pompe centrifughe a bassa pressione e un disco che ruotando accelera il liquido (come accade in uno spandiconcime centrifugo). Più il disco ruota veloce più le gocce saranno piccole e viceversa. Il T50 monta due o quattro ugelli, che possono arrivare a distribuire 16 o 24 litri al minuto.
Autonomia
Una caratteristica del drone è quella di avere un'autonomia limitata. Quelli usati per l'irrorazione, trasportando un carico pesante, hanno un'autonomia di volo di 7-10 minuti (dipende dal modello), prima che debbano tornare a terra per essere ricaricati. Logica vuole che, per ottimizzare i pit stop, irrorino la coltura con un volume pari alla capacità del serbatoio diviso l'autonomia di volo, in modo da procedere con il cambio batteria e il rifornimento della soluzione fitoiatrica insieme.
Come per le macchine irroratrici, risulta evidente che al variare di un parametro anche gli altri devono essere modificati per mantenere una distribuzione omogenea. Se ad esempio ci si alza di quota, anche la portata dovrà aumentare, perché aumenta la superficie trattata. Ma se si aumenta la pressione, senza cambiare ugelli, di norma diminuiscono le dimensioni delle gocce e quindi aumenta il rischio deriva. Insomma, bisogna definire bene quali sono i parametri tecnici da rispettare per avere delle irrorazioni corrette. Facciamo ora qualche riflessione pratica.
Il DJI T10 ha un payload limitato, ma ha una elevata autonomia di volo
(Fonte foto: DJI)
Omogeneità di distribuzione: l'effetto "ala di gabbiano"
Per capire come si comportano i droni nella fase di distribuzione abbiamo parlato con Andrea Pagliai, ricercatore presso l'Università degli Studi di Firenze, che nell'ambito del progetto DRONE4AGRI, finanziato dalla Regione Toscana, ha eseguito delle prove nel 2023 con un T10 (8 litri di carico), non più in commercio, e nel 2024 con un T50 (40 litri di carico), forniti dalla ditta Aermatica3D.
Come ci racconta Pagliai, con un'altezza di volo di 2,5 metri e una velocità di 7 chilometri orari, la banda trattata dal T10 non arriva a 4 metri. Significa che per coprire un campo di 1 ettaro ci si impiegano circa 20 minuti (ipotizzando una velocità costante) e quindi tre pit stop, se si considera un volume di 30 litri ad ettaro.
Il problema è che, a questa velocità e altezza, la qualità della distribuzione non è ottimale. Sotto i rotori si formano infatti due aree a maggiore densità di goccioline, con uno spazio vuoto al centro che ricorda la sagoma di un gabbiano. Questo effetto viene mitigato se si aumenta la quota.
Come raccontato da Andrea Pagliai, quando ci si alza il cono di aria al di sotto dei rotori ha più spazio per espandersi e quando tocca il suolo i due coni si sovrappongono parzialmente, distribuendo meglio il prodotto. Tuttavia, più ci si alza più aumenta la deriva.
Il DJI T30 durante l'irrorazione di una coltura arborea
8Fonte foto: DJI)
Un'altra opzione è quella di aumentare la velocità di avanzamento. A 20 chilometri orari effettivamente sparisce l'effetto "gabbiano", il problema è che non si raggiunge la quantità minima di prodotto sulla vegetazione per garantire l'efficacia del trattamento.
Dato che il drone può variare la sua altezza di lavoro a piacimento, una strategia plausibile sarebbe quella di eseguire il trattamento dei bordi campo ad altezza contenuta (2 metri), per poi alzarsi di quota al centro del campo, dove il rischio di esoderiva è minore.
Bisogna poi fare una ulteriore precisazione. Primo, stiamo parlando in generale di colture a sviluppo orizzontale. Secondo, la quantità minima di prodotto che si deve depositare sulla coltura per esplicare il suo effetto dipende dalla tipologia di trattamento. Un conto è usare un fungicida di contatto e un conto un diserbante sistemico.
Irrorazione del vigneto: bene ma non benissimo
Se l'irrorazione di una coltura piatta è gestibile, le cose si complicano quando si opera in una coltura a sviluppo verticale, come un vigneto eroico, in cui il drone sarebbe molto utile. Tradizionalmente questi impianti vengono trattati a mano, non potendo entrare con il trattore, con delle pompe spalleggiate o con lance a mano in pressione. I problemi sono però diversi: cattiva omogeneità di distribuzione, rischi per l'operatore di entrare in contatto coi prodotti fitosanitari e, in generale, difficoltà di trattamento.
Il drone ABZ L30, con serbatoio da 30 litri, in azione in un vigneto
(Fonte foto: Scaligera Drone Solutions)
Il drone, dal canto suo, potrebbe facilitare il lavoro e per questo sono state valutate diverse tipologie di irrorazione, misurando l'omogeneità di deposito sulla chioma ed eventuali depositi al suolo. Le prove eseguite dall'Università degli Studi di Firenze, con la vite in fase di maturazione e in pieno sviluppo vegetativo (BBCH 85-89), hanno permesso di identificare una buona performance con il drone che si muove a 2 metri sopra il filare, con una velocità di 1 metro al secondo, seguendo la disposizione delle piante, e volumi intorno ai 100 litri per ettaro.
A dispetto di quanto si possa pensare, la fascia a grappolo non è quella meno trattata. Il prodotto si deposita maggiormente nella parte alta della chioma, poi nella parte bassa e infine in quella al centro. Questo perché la turbolenza causata dall'aria spinta verso l'alto che incontra il terreno causa una risalita delle goccioline che si depositano nella fascia a grappolo.
Aspetto negativo sono però i depositi al suolo nell'interfila, che arrivano anche ad un +300% rispetto ai trattamenti a mano. Se si deve considerare l'omogeneità del trattamento e la dispersione nell'ambiente, i metodi di applicazione dei prodotti fitosanitari restano le moderne irroratrici, che sono molto precise nel trattamento e, se ben tarate e usate, non producono eccessiva deriva. Ma, ovviamente, non possono lavorare con forti pendenze o con terreni bagnati.
Sui vigneti eroici i trattamenti fatti a mano risultano efficaci, anche se non sempre omogenei e potenzialmente pericolosi per l'operatore. I trattamenti col drone, invece, offrono un'omogeneità di distribuzione paragonabile a quella relativa alle applicazioni a mano, ma presentano residui al suolo elevati. Ma attenzione, perché sono molto più veloci da eseguire e sono più sicuri per l'operatore. Si tratta dunque di valutare i pro e i contro, individuando la soluzione migliore caso per caso.
Non dimentichiamoci dei limiti tecnici del drone
Un aspetto da non sottovalutare riguarda la fattibilità tecnica dei trattamenti, che dipende dai vincoli ingegneristici di ogni singolo drone. Il T50, ad esempio, ha una larghezza di 3 metri con braccia ed eliche aperti. Questo significa che quando si inclina per cambiare direzione, se si vola troppo bassi c'è il rischio che collida con il terreno. Inoltre bisogna considerare che il drone a pieno carico pesa quasi 100 chili e il volume di aria spostato per decollare è elevato e dunque anche l'effetto deriva è amplificato rispetto ad un drone di dimensioni ridotte.
Sotto il drone è presente un radar che permette al velivolo di mantenere una distanza da terra costante
(Fonte foto: DJI)
Un altro limite è la capacità di rilevare il terreno in autonomia. Il T50 ha infatti un radar che permette di mantenere costante la quota e funziona benissimo sulle colture piatte. Funziona invece male nel caso di colture che si sviluppano su pendii particolarmente ripidi, come la nostra viticoltura eroica, con pendenze anche del 70-80%. In questi casi il drone che si muove perpendicolarmente alle curve di livello percepisce un ostacolo davanti e dunque si ferma per alzarsi di quota, con una distribuzione non omogenea del prodotto.
Come spiegato da Andrea Pagliai, è stato necessario ricostruire digitalmente il vigneto toscano su cui sono state fatte le prove proprio perché il sistema di guida del drone non era in grado di mantenere costante l'altitudine con pendenze così elevate.
Droni sì, ma non in tutti i contesti
Concludendo, possiamo affermare che le prove fino ad ora svolte vedono il drone come una possibile soluzione per l'irrorazione delle colture in contesti specifici, come ad esempio la risaia, dove è difficile entrare col trattore, oppure negli impianti in forte pendenza, come nel caso della viticoltura eroica. Il drone infatti ha una capacità di carico limitata, come anche l'autonomia e dunque sulle colture estensive classiche le normali irroratrici risultano più efficienti.
Oltre al monitoraggio e all'irrorazione, i droni possono essere usati per molti altri scopi, come ad esempio il rilascio di insetti utili per il controllo della piralide del mais
(Fonte foto: Tommaso Cinquemani - AgroNotizie®)
Resta il nodo di comprendere come utilizzare al meglio questi strumenti per avere una irrorazione corretta della coltura e sostenibile dal punto di vista economico e ambientale. Le esperienze dell'Università degli Studi di Firenze, come quelle dell'Università degli Studi di Torino o della Fondazione Fojanini in Valtellina, ma anche del Julius Kühn-Institut in Germania (solo per citarne alcuni), serviranno proprio a identificare i migliori parametri di lavoro dei velivoli senza pilota.
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