La pressione psicologica sugli agricoltori è in aumento a livello globale, alimentata da incertezze economiche, isolamento sociale e rappresentazioni mediatiche spesso ostili. Ma quali sono le radici di questo malessere e come possiamo affrontarlo? Alessandra Ruberto, psicologa e responsabile del Gruppo di Lavoro Ambiente, Territorio, Turismo e Sport del Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Psicologi, offre una prospettiva su un tema che merita maggiore attenzione.
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A livello internazionale, studi condotti negli Stati Uniti, in Australia e in Irlanda hanno documentato alti tassi di depressione, ansia e suicidi tra gli agricoltori. Nel Regno Unito, l'88% degli agricoltori sotto i quaranta anni considera la cattiva salute mentale la sfida più grande da affrontare. Negli Stati Uniti, gli agricoltori muoiono per suicidio con un tasso quasi doppio rispetto alla popolazione generale, e nel Midwest alcune ricerche hanno rilevato che due terzi dei produttori ha riportato disturbi d'ansia e oltre la metà ha riferito di depressione.
Anche in Italia, nonostante il fenomeno sia meno drammatico, si registra una preoccupante tendenza verso l'alienazione e il disagio psicologico. I dati parlano di 559 suicidi tra lavoratori agricoli dal 2012 al 2017, un numero che riflette solo in parte la gravità della situazione.
Il contesto sociale ed economico contribuisce a peggiorare questa crisi: gli agricoltori affrontano costi crescenti, calo dei margini di guadagno e politiche stringenti, nonché una narrazione mediatica che spesso li rappresenta come inquinatori, anziché guardiani della terra. Senza contare poi i cambiamenti climatici, che aumentano il livello di incertezza.
Perché, nonostante la vicinanza alla natura, gli agricoltori soffrono di disagio mentale in misura maggiore rispetto ad altre categorie?
"È vero, vivere immersi nella natura dovrebbe, in teoria, giovare alla salute mentale. Numerosi studi dimostrano che passare del tempo in spazi verdi e blu riduce il rischio di depressione e aumenta il senso di comunità. Tuttavia, nel caso degli agricoltori, non è l'ambiente naturale a generare disagio, ma il contesto sociale e lavorativo. Gli agricoltori spesso vivono in isolamento, con poche interazioni sociali, e questo li espone maggiormente a sentimenti di solitudine. A ciò si aggiunge un forte senso di quello che potremmo definire 'orgoglio contadino', che spesso impedisce loro di chiedere aiuto".
Come influiscono le condizioni economiche e sociali sulla salute mentale degli agricoltori?
"Il lavoro agricolo è percepito come meno prestigioso rispetto ad altre professioni, una percezione che si traduce in una continua svalutazione economica del loro impegno. Gli agricoltori lavorano duramente per produrre cibo, ma i margini di guadagno sono sempre più risicati. Questa situazione, unita alla mancanza di sostegno sociale e alla pressione del mercato, crea un senso di ingiustizia e frustrazione. Inoltre le richieste del mercato, come la disponibilità di prodotti fuori stagione, generano conflitti etici e stress".
Qual è la differenza tra isolamento e solitudine?
"La differenza tra isolamento e solitudine è sottile ma significativa. La solitudine è una condizione soggettiva: una persona può sentirsi sola anche in mezzo agli altri, perché questa sensazione dipende dal percepire una mancanza di connessione significativa con chi le sta intorno. L'isolamento, invece, è una condizione oggettiva, legata a una reale assenza di contatti o possibilità di comunicazione con gli altri. Gli agricoltori spesso vivono entrambe le condizioni.
Da un lato, il loro lavoro li colloca fisicamente in ambienti lontani dai centri abitati, portandoli a una forma di isolamento geografico. Dall'altro, possono sentirsi soli perché non si sentono compresi o supportati dal contesto sociale o lavorativo in cui operano. Questa combinazione rende il loro disagio ancora più profondo e difficile da affrontare".
C'è una differenza generazionale nel modo in cui i giovani e gli agricoltori più anziani affrontano il disagio?
"Sì, esistono differenze importanti. Gli agricoltori più anziani tendono a essere più resilienti, ma questa resilienza li porta spesso a soffrire in silenzio e a non chiedere aiuto, fino ad arrivare a gesti estremi. I giovani agricoltori, invece, chiedono aiuto con maggiore facilità, inoltre sono più aperti all'uso della tecnologia e hanno una visione imprenditoriale dell'agricoltura che li porta a diversificare le proprie attività. Tuttavia, molti giovani figli di agricoltori cercano di allontanarsi dall'agricoltura tradizionale, vedendola come una professione poco sostenibile sia economicamente che psicologicamente".
Quali sono i campanelli d'allarme per riconoscere un disagio psicologico tra gli agricoltori?
"I segnali includono cambiamenti nel comportamento, come perdita di motivazione, difficoltà ad alzarsi dal letto la mattina o svolgere le normali attività quotidiane. Questi sintomi spesso si intensificano fino a trasformarsi in una vera e propria depressione, se non vengono affrontati in tempo. Il supporto delle persone vicine è cruciale: familiari, amici e colleghi devono prestare attenzione a questi segnali e incoraggiare la persona a chiedere aiuto".
Perché per gli agricoltori è più facile cadere in depressione?
"Gli elementi tipici della depressione sono tre: poca speranza per il futuro, sensazione di essere solo al mondo e convinzione che nessuno possa fare nulla per aiutarmi. Il lavoro agricolo in questo momento storico facilita stati depressivi prima di tutto perché rende difficoltoso per l'agricoltore guadagnarsi da vivere e, in prospettiva, sembra che le cose possano solo peggiorare. Inoltre l'agricoltore, che solitamente vive isolato fisicamente, ha anche perso quel tessuto rurale di supporto che caratterizzava la civiltà contadina. Infine, la sfiducia verso la politica, le associazioni rappresentative, ma anche spirituali, lascia gli agricoltori nella convinzione che nessuno possa aiutarli".
Lei ha a che fare spesso con gli agricoltori, come si sentono percepiti dal resto del mondo?
"In passato gli agricoltori erano fieri del lavoro che facevano, poiché senza di loro le persone non potevano mangiare. Oggi sentono crescere nei loro confronti un certo odio sociale. A questo si deve aggiungere il fatto di sentirsi schiacciati dalla filiera e non più in grado di sostenere economicamente le proprie famiglie".
Quali strategie possono essere utili per prevenire o affrontare questi problemi?
"La prevenzione è fondamentale. Gli agricoltori dovrebbero avere accesso a servizi di supporto psicologico, anche attraverso iniziative delle associazioni di categoria. È importante creare una cultura del benessere mentale, promuovendo l'uso di strumenti tecnologici e risorse online per migliorare l'accesso ai servizi, soprattutto nelle aree rurali. Tuttavia, serve anche un investimento infrastrutturale per garantire che gli agricoltori non siano isolati fisicamente e socialmente".
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