L'Efsa prosegue con il proprio lavoro di valutazione del rischio, legato a eventuali effetti cumulati delle differenti sostanze attive presenti come residui negli alimenti e nei mangimi. Presenza ricavata dalle periodiche campagne di monitoraggio europee.

Approvato a dicembre 2020 e pubblicato a febbraio 2021, il documento porta il titolo di "Comparison of cumulative dietary exposure to pesticide residues for the reference periods 2014–2016 and 2016–2018".

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In estrema sintesi, nulla cambia in tema di esposizione per il triennio 2016-2018 rispetto al triennio precedente. Esposizione, ovviamente, tramite residui negli alimenti. Al centro delle valutazioni, le sostanze attive sospettate di provocare effetti sulla tiroide o sul sistema nervoso centrale.

L'approccio metodologico ha previsto il calcolo del Moe, acronimo di Margin of total exposure, in inglese, ovvero la somma armonica dei diversi Moe per singola molecola. Questo deriva dalla comparazione fra un parametro tossicologico di riferimento, come per esempio la No adverse effect level (Noael), e l'esposizione umana ipotizzata. In nome di una sicurezza ai massimi livelli, il rapporto fra Noael ed esposizione deve essere superiore a 100. In sostanza, si considera sicura un'esposizione quando questa stia al di sotto dell'1% della dose che in laboratorio non ha prodotto alcun effetto avverso nelle cavie.

Tale limite viene ulteriormente abbassato per molecole che siano riconosciute per esempio cancerogene o genotossiche. Si sta quindi parlando di approcci metodologici oltremodo cautelativi, poiché è tutto da vedere che possa essere davvero pericolosa nei fatti una molecola il cui Moe è risultato pari a 4 o 5 anziché inferiore a uno. Poiché vi è fortemente da dubitare che tale molecola possa sviluppare effetti avversi su un organismo umano quando presente al 4-5% della dose risultata innocua sulle cavie. Ma una soglia va pur fissata e quella dell'1% fa attualmente da spartiacque tra ciò che può essere considerato sicuro e ciò che invece non fornisce altrettanta sicurezza.

Da spazzare quindi subito un possibile fraintendimento: ciò che sta al di sopra dell'1% della Noael non è affatto detto provochi un danno. Anzi: resta comunque altamente improbabile che lo possa generare. Semplicemente, non si può giurare sulla testa dei propri figli che mai si verificherà un pur minimo effetto in qualche individuo su otto miliardi attualmente viventi. Perché nemmeno una probabilità pari allo 0,00000001% è comunque zero. Da qui a bollare quella molecola come "pericolosa", però, ci corre come dal Sole a Plutone.
 

Calcolo dell'esposizione

L'esposizione umana, da parte sua, deriva dai risultati dei monitoraggi degli alimenti in tema di residui, moltiplicati per le quantità di ogni alimento consumato pro-capite. Le esposizioni così derivate possono essere poi classificate secondo la logica dei percentili, cioè quei valori che sottendono una determinata percentuale della popolazione considerata. Il 50esimo percentile sarà quel valore sotto al quale è compreso il 50% della popolazione. Il 75esimo abbraccerà il 75% eccetera. La stima comparativa di Efsa si è basata sul 99,9esimo percentile. Cioè su quel valore di esposizione sotto al quale risiede il 99,9% della popolazione considerata. Praticamente tutti.
 

Alcune criticità metodologiche

Efsa stessa si dichiara consapevole delle criticità insite nel prendere in considerazione il 99,9esimo percentile per effettuare la valutazione del Moet, dal momento che a un tale livello di inclusione anche un singolo dato deviante per cause puntuali e transitorie può spostare le valutazioni complessive.

Il rischio di tale forzatura verso l'alto, imposta a Efsa dalla Comunità Europea ("Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole", giusto per citare Dante e la Divina Commedia) è infatti che eventuali incertezze nel campionamento, errori nell'elaborazione dei dati o banali svarioni analitici, possono alterare fortemente il giudizio finale facendolo apparire molto peggiore di quello che in realtà dovrebbe essere interpretato. Non a caso, di solito si ricorre al 95esimo percentile, proprio per tagliare fuori quei dati che non è bene influenzino l'intero scenario con delle mere e specifiche puntualità plusdevianti nate da molteplici ragioni, inclusi eventuali errori.

Per dire, nei report 2020 sulle analisi delle acque (Ispra) il metolaclor è stato rinvenuto nelle acque superficiali con un massimo di 16,5 microgrammi per litro, quando il suo 95esimo percentile segna un misero 0,07 microgrammi (235 volte di meno). Se la valutazione del rischio per la popolazione dovesse esser sviluppata in base al valore superiore - singolo e puntuale - si fornirebbe di quella molecola un'immagine molto distante da quella reale. Tipico esempio di come un dato plusdeviante rischi di fuorviare la valutazione complessiva del reale impatto di una sostanza attiva.

Medesimo rischio si corre quando si stiano valutando i residui sui cibi, caso nel quale ancor più razionale dovrebbe essere quindi l'approccio statistico. Anche perché c'è anche il caso che il "Pierino" di turno avanzi gli usuali allarmismi indicando a rischio lo 0,1% della popolazione, in quanto l'esposizione calcolata in tal modo, per quella percentuale di popolazione, non ricade al di sotto dell'1% di quella stabilita sicura dalle normative. E in tal caso passerebbe ben poco a dire che lo 0,1% della popolazione è a rischio di malattie, o addirittura affermare che è malata a causa dei pesticidi. Vizio tanto maramaldo quanto consapevole, visto più e più volte negli ultimi anni.

Allarmisti a parte, però - e nonostante la soglia del 99,9esimo percentile imposta dagli Stati Membri a Efsa - le conclusioni dell'Agenzia europea sono le seguenti: "[...] cumulative exposure to pesticides that have chronic effects on the thyroid and pesticides that have acute effects on the nervous system did not exceed the threshold for regulatory consideration".

Tradotto, "[...] l'esposizione cumulativa a pesticidi che hanno effetti cronici sulla tiroide e sui pesticidi che hanno effetti acuti sul sistema nervoso non supera la soglia per la considerazione normativa". In sintesi, la salute degli Europei, in base a queste specifiche valutazioni, non è a rischio. Inoltre, l'esposizione è risultata maggiore negli adulti, mentre si è mostrata molto più ridotta per bambini e neonati. A dimostrazione che le politiche di razionalizzazione degli usi degli agrofarmaci hanno prodotto risultati tangibili e consistenti.

Di certo, tali conclusioni non fermeranno chi insiste a prefigurare Armageddon sanitari continentali, soprattutto a carico di infanti, muovendo accuse farlocche agli agrofarmaci (tutti, a prescindere). Ma più di tanto non si può pretendere, nemmeno da Efsa.