E quelli che per la difesa delle colture prendono in considerazione (addirittura!) l'uso di agrofarmaci? Ovviamente sono inquinatori, magari al soldo delle multinazionali della chimica.
I luoghi comuni, e non gli agrofarmaci, sono i veri veleni che intossicano l'agricoltura.
Un male, quello del pregiudizio, di cui soffre da sempre la società in senso lato. Scalzarlo costa molta fatica e spesso non riesce neanche bene.
Ai 110 relatori di "Future Ipm in Europe" le loro ricerche sono costate tempo, risorse e fatica. Hanno richiesto competenze specifiche, ma anche visione d'insieme e cultura settoriale vasta e solida.
Ognuno di essi ha portato un contributo tangibile, ponendo le basi per l'agricoltura che verrà.
Non si sono cioè raccolti a Riva del Garda per discutere solo del futuro della Lotta integrata in Europa: per dirla in un modo meno "asettico", i 110 relatori e i 500 partecipanti si sono riuniti per discutere della sopravvivenza stessa dell'agricoltura europea.
E non è un'esagerazione: l'agricoltura tutta, quindi pure quella che lavora sodo e che porta risultati concreti, è fatta oggetto di crescenti attacchi e polemiche. Polemiche sproporzionate rispetto ai fatti e che spesso si rivelano miopi o, peggio, strumentali.
Agricoltori, tecnici ed Enti ufficiali si trovano quindi a lavorare sotto il fuoco incrociato di fin troppi demagoghi, i quali beneficiano per giunta di ampi spazi privi di contraddittorio sui media generalisti. Spazi che peraltro tendono a mostrarsi inversamente proporzionali al livello scientifico dei contenuti. D'altronde, si sa, la verità è spesso banale e non fa notizia. E se una notizia non fa vendere, addio copie e addio budget pubblicitari.
Mostrandosi gravemente superficiali, giornali, televisioni e web diffondono ogni tipo di boutade allarmista, con un'enfasi quasi compiaciuta, influenzando e fuorviando profondamente un'opinione pubblica composta per la quasi totalità da persone che sanno di agricoltura, ambiente e alimentazione quanto ne può sapere un agricoltore delle leggi di Planck e di Chandrasekhar. Cioè zero.
Per esempio l'opinione pubblica non sa, perché vi sono interessi che non lo sappia, che l’utilizzo di agrofarmaci di sintesi è in continua riduzione in Italia: oggi si usa un terzo di agrofarmaci in meno rispetto agli Anni 90, come pure dal 2007 al 2010 l’uso di insetticidi è calato in soli quattro anni del 20% e quello dei fungicidi del 14% (dati Fao). Questo grazie all’introduzione e al perfezionamento di tecniche di monitoraggio di patogeni e parassiti e alla conseguente razionalizzazione dei trattamenti.
La tossicità media dei prodotti impiegati, per giunta, sta progressivamente calando. Questo grazie si ai sempre più stringenti processi selettivi dei protocolli di produzione, ma anche e soprattutto grazie agli imponenti investimenti in ricerca stanziati proprio dalle tanto vituperate multinazionali. Magari non tutte si impegnano allo stesso livello, è vero. Magari non tutte si sbattono per dimostrare che l'avversione al loro business è sproporzionata. Anzi, qualcuna sembra pure divertirsi nell'apparire arrogante e preclusa al dibattito. Ma non si può fare di tutta l'erba un fascio. Né delle persone, né delle multinazionali, le quali in fondo sono anch'esse composte di persone.
Eppure, nonostante il panorama fitoiatrico tenda sempre più decisamente "al bello", la pressione mediatica sul comparto cresce. Verrebbe da dire "stranamente". Ma ciò implicherebbe il riconoscimento di una certa quota di buona fede da parte dei detrattori della chimica agraria. Una buona fede che chi scrive stenta a riconoscere in taluni soggetti, i quali pare abbiano trovato il modo di guadagnarsi il pane pianificando a tavolino il fango da gettare su chi il pane invece lo produce davvero. E come insegnano le regole della comunicazione (spregiudicata): "Chi meno ha da dire, più urla".
Poi certe volte si sconfina nel folklore. Per esempio, arrivano proposte di Comuni "depesticidizzati", come accaduto a Conegliano (TV). Oppure vi sono cicloturisti(1) che dalle loro piste ciclabili reclamano la precedenza sugli agricoltori che stanno lavorando nei propri vigneti. Agricoltori che magari stanno producendo proprio quel vino che gli stessi cicloturisti si godranno alla sera, quando le gambe le stenderanno sotto al tavolino anziché usarle per spingere sui pedali. Infine, i soliti consumatori che pretendono spesso la luna, ma che non vogliono sacrificare alcunché del proprio stile di vita.
Forse sarebbe interessante vedere le loro reazioni proponendo la creazione di comuni "deautomobilizzati", oppure "desaponiliquidizzati" e "deriscaldamentizzati". O magari anche "detraliccizzati" e "deripetitorizzati", cioè privati di elettrodotti e di segnale per cellulari e tablet. Perché certi taddei non capiscono quanto le loro istanze siano sciocche finché non vengono messi di fronte a proposte di pari dabbenaggine, ma indirizzate verso temi sui quali parole come "rinuncia" o "abolizione" vadano loro di traverso anziché scatenare applausi.
A fronte di cotanta miseria culturale (e colturale), i 110 relatori e i 500 partecipanti ad "Future Ipm" hanno dimostrato che il mondo non si migliora con l'allarmismo e la diffusione di leggende metropolitane, bensì lavorando con serietà e scientifica competenza. Magari stando lontani da beceri riflettori mediatici e da giornalisti in cerca per lo più di scoop sensazionalisti a senso unico. Perché purtroppo, come detto sopra, serietà, concretezza e razionalità non fanno notizia.
Cosa che gli scaltri Talebani anti-tutto e anti-tutti hanno invece perfettamente capito.
(1) Nota: chi scrive, su 49 anni di vita ne ha pedalati 45 e ha praticato ciclismo agonistico per dieci anni smazzandosi avversari che portano i nomi di Gianni Bugno e Claudio Chiappucci. Però questo non ha offuscato quel bene prezioso che si chiama buon senso.