Presidente, nelle sue prime dichiarazioni ha tenuto a sottolineare che bisognerà lavorare per tenere unita e coesa la filiera. Le chiedo: come pensa di utilizzare lo strumento del Piano di regolazione dell'offerta di Pecorino romano Dop?
"Il Piano dell'offerta è uno strumento indispensabile per il buon funzionamento della filiera, perché aiuta a stabilire regole e dare indirizzi precisi e, allo stesso tempo, a dare a ciascuno dei soggetti coinvolti il giusto potere contrattuale. Ma, così come è stato concepito, è molto difficile da approvare: regole farraginose e quorum troppo alti anche solo per la presentazione - parliamo di due terzi delle 12mila aziende interessate - rendono quasi impossibile renderlo operativo. Però bisogna unire le forze e lavorare per l'approvazione di un Piano che certo da solo non risolve tutti i problemi del comparto, ma sicuramente può garantire un grande contributo".
Sempre sul Piano di regolazione dell'offerta, ritiene possa strutturarsi un coordinamento con gli altri due consorzi di tutela di formaggi ovini sardi?
"Sarebbe una cosa estremamente utile, perché è vero che il Piano dell'offerta è uno strumento valido, ma è anche vero che se non abbiamo uno sbocco per le produzioni alternative al Pecorino romano non facciamo altro che nascondere la polvere sotto il tappeto. Abbiamo bisogno di mettere a punto tipologie di prodotto che assorbano altro latte, e per fare questo serve un'azione condivisa con gli altri consorzi. E' importante fare rete, soprattutto in un momento storico-economico come quello che stiamo vivendo, come ha dimostrato il nostro Consorzio durante il primo lockdown, quando si è fatto carico di tutto il latte ovino trasformandolo in Pecorino romano. In quel momento, con i ristoranti, le pizzerie, i fast food chiusi, il consumo dei formaggi freschi era precipitato. A quel punto, per non perdere neanche un litro di latte e senza pensare se per noi fosse conveniente o meno, ce ne siamo fatti carico, mettendo spontaneamente in moto un meccanismo solidaristico che ha consentito alla filiera di reggere i contraccolpi di quanto stava succedendo".
In questi giorni il Consiglio Ue ha ratificato l'accordo di collaborazione commerciale sui prodotti a denominazione di origine tra Unione europea e Repubblica popolare cinese e a breve si attende il definitivo via libera anche da Pechino. Nella lista dei prodotti europei che potranno godere in Cina dello stesso livello di protezione che hanno già nella Ue ci sarà anche il Pecorino romano. Come valuta tale opportunità?
"La valuto in modo molto positivo, perché è un primo passo verso la tutela del prodotto dalle contraffazioni. La ratifica del Consiglio Ue arriva dopo un anno dalla sigla del primo protocollo che inseriva il Pecorino romano fra i 26 prodotti italiani che rientrano nell'accordo bilaterale fra Unione europea e Cina. E' uno strumento che arriva in un momento molto positivo per noi rispetto al mercato cinese: registriamo infatti un importante incremento percentuale nell'export, il che fa ben sperare nell'interesse crescente nei confronti del nostro prodotto. Con l'entrata in vigore di questo accordo ci aspettiamo vantaggi commerciali reciproci e un incremento della domanda di prodotti di elevata qualità: c'è una classe media cinese in crescita che apprezza moltissimo i prodotti europei autentici, e che cerca l'esclusività e l'originalità. Puntiamo perciò a un riscontro importante proprio da questa fascia di consumatori, come ha sottolineato la stessa Unione europea, forti anche dell'indiretto sostegno del Governo cinese che sensibilizza continuamente la popolazione sull'opportunità di consumare cibi di alta qualità per garantirsi una buona salute".
Al di là delle pur legittime aspettative, sarà un mercato ricettivo?
"Per l'Ue la Cina è la seconda destinazione delle esportazioni agroalimentari e la seconda destinazione di Indicazioni geografiche: ci sono quindi tutte le condizioni favorevoli per posizionare il Pecorino romano in un mercato sconfinato come quello cinese, con le protezioni necessarie a difendere l'originalità del prodotto. Quella contro le contraffazioni e l'Italian sounding è una battaglia complessa, impegnativa e sicuramente ancora molto lunga. Una battaglia che il Consorzio continuerà a combattere in prima linea".
Anche quello giapponese è per voi un mercato importante, dove puntate a conquistare i ristoranti della cinta metropolitana di Tokyo, è vero?
"A proposito di Giappone, anche qui lavoriamo da anni per la protezione della nostra Dop. Con risultati importanti: il ministero degli Affari esteri ha indicato come 'Best practice' la registrazione, a dicembre scorso, del marchio collettivo Pecorino Romano Dop presso l'ufficio Marchi giapponese, per garantire l'origine, la natura e la qualità del prodotto. Il ministero ci indica come esempio e sottolinea che questa azione di tutela favorisce l'export. In Giappone investiamo 1 milione di euro in tre anni per valorizzare il Pecorino romano soprattutto nei ristoranti, ma anche attraverso campagne informative e programmi televisivi locali. Quello giapponese è un mercato in forte crescita: nell'ultimo triennio sono stati esportati circa 4mila quintali di Pecorino Romano Dop per un giro d'affari di 3 milioni di euro, e ci sono ancora molti spazi per crescere".
Il Pecorino romano sta tentando di sganciarsi dal mercato Usa nei segmenti del formaggio industriale "già grattugiato" ed al tempo stesso sta tentando una ricollocazione sul banco delle specialità. In tal senso ci sono già numeri interessanti. Ma complessivamente nel lungo periodo l'export verso Usa è destinato a diminuire o ad aumentare?
"E' destinato ad aumentare, soprattutto se ci dedichiamo alla creazione di nuove linee non solo da tavola e non per forza Dop, da indirizzare su precisi filoni di vendita. Quello statunitense è un mercato molto importante per noi, ma mentre prima il Pecorino romano ne era totalmente dipendente, adesso fortunatamente per noi non è più così. Certo il prodotto da grattugia è per l'America irrinunciabile: siamo praticamente gli unici a garantire formaggio ovino in una marea di produttori di formaggio vaccino. Non solo: il Pecorino romano alimenta un segmento industriale (gli impianti per grattugiare il prodotto) e un indotto che sono vitali per gli Usa. C'è stato un calo nell'export negli ultimi mesi rispetto al 2019, dovuto però all'effetto dazi, da noi evitati grazie a un duro e lungo lavoro sul campo: per paura di dover pagare nuove tasse, l'anno scorso c'è stata un po' la corsa all'acquisto, i dati sull'export sono schizzati verso l'alto e quindi si sono accumulate scorte da smaltire. Adesso i dati sono tornati fisiologici, ovvero in linea con quelli del 2018".
Nel piano di diversificazione produttiva, che passa nelle modifiche al disciplinare di produzione, quali crede possano meglio favorire il rilancio del Pecorino romano sui mercati internazionali e quali sul mercato Italia?
"Abbiamo votato con convinzione le modifiche al Disciplinare. I tempi erano maturi, il mercato era pronto per accogliere i nostri nuovi prodotti e dunque serviva legittimare e sostenere le nuove tipologie. E dico di più: sono convinto che il Disciplinare, per essere al passo con i tempi, debba restare 'aperto', debba cioè essere pronto a poter essere modificato e migliorato ogni volta che lo si ritiene opportuno per andare incontro alle esigenze che di volta in volta si presentano. Dopo questa pandemia ci troveremo di fronte a un mercato profondamente cambiato, che tenderà a essere più ripiegato su se stesso e sulle produzioni interne. L'innovazione, nel pieno rispetto della tradizione, è la chiave per riuscire ad andare incontro ai gusti e alle esigenze dei consumatori, in Europa e non solo".
Anche per questo siete presenti in diversi paesi con progetti internazionali
"Abbiamo investito 11 milioni di euro in cinque anni per quattro progetti che spaziano dal Giappone agli Stati Uniti, dal Canada alla Germania fino alla Francia e al Regno Unito, senza dimenticare l'Italia. Di recente il Pecorino romano ha conquistato il podio in Europa con 'Pekorase Italia-Germania', progetto che si è classificato terzo fra le migliori proposte arrivate da tutti i paesi Ue. Insomma, c'è un gran fermento e tanto entusiasmo: credo che innovazione e internazionalizzazione siano le chiavi giuste per entrare, e restare, nel futuro dell'economia globale".