Con il blocco alle esportazioni di grano duro annunciato da Mosca da oggi, primo dicembre 2023, e con l'invio di navi in Burkina Faso e Somalia e l'annuncio di inviare 200mila tonnellate di frumento ai Paesi africani "più dipendenti dalle importazioni", come si è affrettato a precisare il ministro dell'Agricoltura della Federazione Russa, Dmitry Patrushev, è la Russia uno dei poli da tenere sotto osservazione per comprendere quali saranno le evoluzioni del comparto dei cereali e dei semi oleosi nei prossimi mesi. Non sarà sicuramente facile interpretare diverse dinamiche dalle quali è complesso trarre indicazioni univoche.
Il Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti (Usda) nell'ultimo Report ha rivisto al rialzo le previsioni concernenti la produzione russa di frumento per il 2023-2024, portandola da 85 a 90 milioni di tonnellate. Dovrebbe essere il secondo raccolto cerealicolo più alto di sempre, dopo un 2022 su volumi record e con conseguente boom di esportazioni, che Mosca mira ora a rallentare, in parte volontariamente per evitare un eccessivo deprezzamento del frumento, in parte per un calo della domanda causato in alcune aree del Nord Africa (come Egitto e Tunisia) per le difficoltà ad accedere alla valuta pregiata.
Export, dunque, in flessione, seppure le indicazioni non siano univoche. Lo stesso Usda, infatti, prevede esportazioni di frumento russo in aumento a 50 milioni di tonnellate (+5,3%), con conseguente alleggerimento degli stock interni al di sotto dei 12 milioni di tonnellate (-18,4%).
Il ruolo giocato dalla Cina
La Cina, altro grande player che in questi ultimi anni ha rafforzato i propri stock di grano, mais, soia, riso, intercettando carichi da tutti i continenti e badando poco, almeno in passato, ai prezzi di acquisto, ha scelto una strada parallela. Accanto all'import, infatti, che vede l'ex Celeste Impero al primo posto fra i principali acquirenti mondiali con 91,7 milioni di tonnellate di semi oleosi ritirati fra gennaio e ottobre 2023 (+19,51% sullo stesso periodo dell'anno precedente), e oltre 46 milioni di cereali importati nei primi dieci mesi di quest'anno (-3,88% tendenziale. Fonte dati: Teseo.Clal.it), Pechino ha scelto la strada dell'innovazione, della ricerca e dello sviluppo per implementare le produzioni interne.
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L'obiettivo è duplice e strettamente interdipendente: da un lato migliorare i volumi produttivi interni, dall'altro rendere il mercato più resiliente di fronte alla prevedibile volatilità che scenari internazionali incerti (dalla guerra di invasione russa in Ucraina al conflitto in Medio Oriente, fino ai rischi climatici globali) potrebbero innescare.
Uno choc dei prezzi alimentari, tanto più in una fase di depressione economica e di tassi elevati di disoccupazione, sarebbe abbastanza difficile da affrontare per la Repubblica Popolare Cinese. Da qui, allora, la politica di spinta produttiva interna, sostenuta a colpi di ricerca, ricorso agli Organismi Geneticamente Modificati (Ogm), sviluppo di catene di approvvigionamento diversificate, seguite da un aumento dei raccolti.
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Secondo quanto comunicato solo qualche settimana fa dal Ministero dell'Agricoltura e degli Affari Rurali, la produzione cerealicola della Cina dovrebbe quest'anno superare i 650 milioni di tonnellate per il nono anno consecutivo e toccare un picco storico, nonostante alcuni terreni agricoli siano stati colpiti, quest'estate, da ondate di caldo e piogge torrenziali.
L'aumento del raccolto sarebbe dovuto, in parte, a un incremento della superficie coltivata e all'adozione di varietà di colture ad alto rendimento, come rilanciato dal quotidiano China Daily. Buone notizie, secondo gli analisti, in quanto un aumento della solidità produttiva di uno dei principali Paesi mondiali comporterebbe una tranquillità in campo internazionale sia sul versante della sicurezza alimentare che sul fronte dei prezzi. Il tutto, ovviamente, in assenza di imprevisti, speculazioni, incertezze, eccetera.
Ucraina, niente accordo. E ora?
L'Ucraina, altro player strategico nel bilancio mondiale dei cereali, soffre il mancato rinnovo dell'accordo Black Sea Grain Initiative. La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha reso noto che "da quando sono stati attivati, sedici mesi fa, i corridoi hanno consentito l'esportazione di 100 milioni di tonnellate di merci ucraine e i prodotti destinati all'alimentazione hanno inciso per oltre la metà sul totale".
L'assenza di un accordo, nonostante gli impegni a più riprese della Turchia e dell'Onu, dovrebbe portare a un calo dell'export del grano ucraino (peraltro in parte pare saccheggiato dai russi), con 12 milioni di tonnellate contro gli oltre 17 milioni dell'annata 2022-2023, pur difficilissima.
Le stime per il mais
Quanto al mais, le stime Usda segnano un miglioramento rispetto all'Outlook precedente di ottobre. Una crescita delle produzioni negli Usa (+11,1%), in Ue (+14,4%) e in Argentina (+61,8%) dovrebbe portare i raccolti mondiali su vette mai raggiunte negli ultimi anni, a 1,22 miliardi di tonnellate (+5,5% rispetto all'annata precedente), in grado di trascinare anche le scorte mondiali (+5,3%). Segnali, questi, che salvo sorprese su scala internazionale, dovrebbero calmierare i prezzi.
Soia: produzione mondiale in aumento
Prevista in aumento anche la produzione mondiale di soia (+7,6%), con un raccolto globale superiore ai 400 milioni di tonnellate, grazie a buoni risultati di Brasile (+3,2%) e Argentina (+92%), dopo le difficoltà legate ai cambiamenti climatici.
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Autore: Matteo Bernardelli