A partire dagli anni Cinquanta dello scorso secolo l'agricoltura ha subìto un processo di innovazione che ha reso possibile la produzione di grandi quantità di cibo, a basso costo e con un livello di sicurezza elevato. Questo è stato possibile grazie allo sviluppo della chimica agraria, della meccanizzazione e al miglioramento genetico varietale.

Le ditte sementiere e gli istituti di ricerca hanno fatto un incredibile lavoro per rendere altamente efficienti specie che in natura lo erano ben poco. Per razionalizzare gli sforzi e rispondere alle esigenze della filiera agroalimentare il miglioramento genetico si è concentrato su numero ridotto di specie e sulla selezione di tratti particolarmente interessanti dal punto di vista agronomico e alimentare.

Basti pensare che oggi tre colture (grano, mais e riso) forniscono il 60% delle calorie che l'umanità consuma ogni giorno. E che solo una piccola frazione delle piante edibili in natura è di fatto coltivata. Questo però, secondo Stefan Schmitz, executive director di Crop Trust, ha portato alla perdita della biodiversità agraria. In altre parole varietà che un tempo venivano coltivate da agricoltori locali e che si erano adattate agli areali di coltivazione ora sono state perse.

Basti pensare che l'80% delle varietà di mais coltivate in Messico nel 1930 ora non lo sono più. La percentuale sale al 90% per le varietà di riso coltivate in Cina nel 1950. Oppure il 90% delle varietà di frutta e verdura coltivate negli Usa nel 1900 oggi non sono più disponibili. E tutte le varietà di mela coltivate in Germania derivano da sole sette capostipiti.



Per salvare dalla scomparsa queste sementi è nata Crop Trust, un'organizzazione internazionale no profit che vive di contributi pubblici e privati, che ha realizzato una banca del seme di portata globale costruita sulle isole Svalbard, in Norvegia, dove le temperature basse tutto l'anno offrono le condizioni ideali per la conservazione delle sementi.

A spiegare il motivo profondo di questo progetto è stato lo stesso Schmitz che ha partecipato al World Agri-Tech Innovation Summit, l'evento internazionale (di cui AgroNotizie è partner) dedicato all'innovazione in agricoltura che si tiene ogni anno a Londra e a San Francisco.

Sotto il terreno ghiacciato delle isole Svalbard si trovano miliardi di semi appartenenti a migliaia di specie differenti e provenienti da ogni angolo del globo. Non si tratta tuttavia di un'operazione amarcord, né della costruzione di un'arca al fine di riportare la vita sulla Terra dopo un cataclisma. L'idea è quella invece di raccogliere la variabilità della genetica per migliorare l'agricoltura stessa.

Per capire l'importanza di questo progetto bisogna però fare un passo indietro. Il miglioramento genetico degli ultimi settant'anni si è basato prima di tutto sulla necessità impellente di fornire cibo sano e a basso costo a tutti, tralasciando aspetti come il valore nutraceutico o il gusto. In secondo luogo non si prese in considerazione che il clima sarebbe potuto cambiare. Infine i ricercatori hanno preso alcune decisioni sulla base delle conoscenze fino a quel momento acquisite. Molte priorità e presupposti stanno cambiando però.

Prendiamo il clima. Ormai la temperatura media terrestre è cresciuta di oltre 1°C ed è previsto che aumenterà ancora di più in futuro. Questo comporta ad esempio per l'areale mediterraneo estati siccitose e particolarmente calde (quest'anno si è raggiunto il record di 48,8°C) e il susseguirsi di fenomeni intensi. Condizioni che le varietà oggi coltivate gestiscono in maniera non sempre adeguata. Per renderle maggiormente resilienti una strada è quella di cercare nel patrimonio genetico della stessa specie geni che aiutino la pianta a tollerare meglio gli stress ambientali. E la ricerca può essere fatta solo se si ha a portata di mano una banca dati genetica, come quella che sta appunto creando Crop Trust.

Ma anche le conoscenze sulle piante sono andate via via migliorando negli ultimi anni. Un esempio riguarda il microbiota, la comunità di microrganismi che vive in simbiosi con le piante e le aiuta a crescere e a contrastare i microrganismi patogeni.

Ogni pianta seleziona il proprio microbiota che può essere più o meno performante. Individuare quindi piante che riescono ad instaurare efficienti rapporti di mutua convenienza con i microrganismi del terreno significa avere colture più produttive a parità di input agronomici. E anche qui la risorsa genetica racchiusa alle Svalbard può tornare utile ai ricercatori, che anzi stanno valutando se non sia il caso di realizzare anche una banca del suolo, prelevando e conservando campioni di terreno dai quattro angoli del globo.

Insomma, Crop Trust sta salvando il patrimonio genetico che la natura e gli agricoltori hanno sviluppato nel corso di milioni di anni e lo sta rendendo disponibile per migliorare le attuali colture. Chiave di volta per il vecchio continente sarà la decisione dell'Unione Europea su come regolare le Tea, Tecnologie di evoluzione assistita, strumenti altamente sofisticati in grado di prendere geni di interesse agrario da una varietà e di inserirli in un'altra sessualmente compatibile.


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In altre parole i ricercatori sono in grado di riprodurre in laboratorio ciò che avviene in natura, ma in maniera molto più precisa e veloce. In questo processo giocano un ruolo di primo piano le aziende sementiere, come anche gli istituti di ricerca che oggi stanno sviluppando strumenti sempre più efficaci per mappare il Dna vegetale, migliorandolo in maniera precisa e sicura.

L'obiettivo è avere piante resilienti ai cambiamenti climatici, resistenti alle malattie e agli insetti, altamente produttive e che offrano ai consumatori non solo calorie, ma anche gusto e un alto profilo nutrizionale.

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