Una Politica agricola comune più verde, più orientata alla sostenibilità, attenta alla sfida dei cambiamenti climatici e alla biodiversità, attenta ai piccoli agricoltori, ma anche ai diritti dei lavoratori e, da quel che potrebbe essere, un concentrato di burocrazia. Luci e ombre per la Pac 2021-2027, a una prima e velocissima analisi dopo la ratifica da parte del Consiglio Agrifish dell'accordo avvenuto nel super trilogo fra Commissione, Consiglio e Parlamento Ue. L'ultima chance per la presidenza portoghese di turno nel primo semestre del 2021, prima di passare la palla alla Slovenia. È fatta, il treno prosegue la propria corsa.
 
Tuttavia, sulla Pac che entrerà in vigore nel 2023 e che avrà una revisione di medio termine nel 2025, restano - parere assolutamente personale - alcuni elementi da focalizzare meglio. Ne citiamo qualcuno, avvertendo che l'elenco non è esaustivo e potrebbe anche essere integrato dai lettori, purché si tratti di contributi costruttivi e non polemici (vietatissimi gli insulti, ça va sans dire), ma confidiamo nella platea qualificata che ci segue con attenzione.

Di seguito, alcuni spunti di riflessione, personali e sicuramente incompleti.

Il primo. Che ruolo avranno le regioni nella stesura del Piano strategico nazionale? E nei Piani di sviluppo rurale? L'Italia presenta ventuno Piani di sviluppo rurale, uno per regione, oltre alle due province autonome di Trento e Bolzano. Come si potranno armonizzare? Ci saranno ancora oppure il Piano strategico nazionale uniformerà tutto e i margini di manovra delle regioni si ridimensioneranno (o addirittura si azzereranno)?

Il secondo. La riserva di crisi come verrà gestita? Con lucidità e consapevolezza oppure tergiversando e minimizzando? Ce lo chiediamo perché in passato, si veda il crollo del prezzo del latte dopo la fine del regime delle quote latte (marzo 2015), la Commissione europea impiegò molti, ma molti mesi per riconoscere la situazione anomala dei listini, intervenendo dopo una massiccia chiusura di stalle. Il problema non sembra quindi essere legato alla disponibilità finanziaria, ma alla volontà di intervenire tempestivamente, cercando se non di prevenire, almeno da fungere da "pronto soccorso".

Il terzo. La condizionalità sociale avrà un minimo comun denominatore europeo oppure ogni Stato si muoverà con criteri liberamente individuati? Perché se così fosse, si aprirebbero ulteriori rischi di concorrenza sleale fra Paesi all'interno dell'Unione europea e nei commerci internazionali extra Ue. A proposito, aggiungerei, gli accordi multilaterali saranno fiscali su questi aspetti anche con Paesi al di fuori dell'Unione europea? Penso alla Cina, all'Africa, al Sud Est Asiatico, ma l'elenco sarebbe abbastanza lungo.

Il quarto. Siamo sicuri che stabilire per i giovani il 3% dei fondi sugli aiuti diretti sia sufficiente? O servirebbero iniezioni di denaro più massicce, tenuto conto che nei prossimi tre-cinque anni una buona fetta di agricoltori europei andrà in pensione? Non si potrebbero attivare politiche davvero più coinvolgenti ed inclusive per i giovani agricoltori?

Il quinto. Quali strategie adottare nel sostegno alle colture? L'attenzione sollevata da una parte del mondo agricolo italiano a confrontarsi per non perdere competitività con altri grandi produttori comunitari è mirabile, ma forse sarebbe più efficace cercare di dialogare e costruire insieme politiche e azioni di sostegno a determinate catene di approvvigionamento. Pensiamo ad esempio alla soia: a fronte di una previsione di rafforzamento degli stock strategici a livello mondiale (elaborazione di Teseo su dati Usda al 2021-2022), in crescita del 5,2%, i magazzini comunitari potrebbero subire un impoverimento (meno 4,9%), dopo un crollo del 40,3% nella stagione 2020-2021. Ipotizzare che sia solo l'Italia e pianificare una campagna di rilancio - ricordiamo che la soia è strategica per la zootecnia - non avrebbe senso. L'Unione europea ci sta pensando o amplieremo il deficit dell'autosufficienza?

Il sesto. La riforma della Pac stabilisce la convergenza interna dei titoli, con un taglio/aumento che arriverà al più/meno 15%, cioè abbassamento fino al 15% dei titoli più elevati e innalzamento fino al 15% dei titoli più bassi. Ma quale sarà il parametro di riferimento? I titoli storici? Resteranno quelli i valori standard sui quali effettuare l'avvicinamento? E la convergenza avverrà su base regionale o nazionale?

Il settimo. Continuare a pensare che il Green deal non esista, in quanto non ancora tradotto in atti legislativi, significa rimandare il problema dell'armonizzazione della Pac al Green deal. Un'analisi di impatto delle strategie Farm to fork e Biodiversity sull'agricoltura avrebbe dovuta essere già stata fatta (ci ha invece pensato l'Usda e gli esiti non sono stati dei migliori), così da aggiustare il tiro, eventualmente e se ce ne fosse bisogno. Si è visto che gli agricoltori non sono contrari a misure ambientali, purché non si traducano in azioni vessatorie o insensate o a doppio taglio e soprattutto senza ritorni economici.

L'ottavo. Il peso economico finanziario della Pac sul bilancio europeo è andato progressivamente ridimensionandosi a ogni programmazione. Se negli anni Settanta la Politica agricola comune incideva per oltre l'80% del bilancio della Comunità europea, oggi con la Riforma 2021-2027 siamo intorno al 30%. Che cosa dobbiamo aspettarci dalla Pac 2028-2034? Per favore, mettete via le forbici o ad essere tagliato, nei prossimi anni, sarà il numero di aziende agricole.

Il nono. Più per scaramanzia che per dimenticanza, non è stata menzionata la sigla che ha accompagnato la vita di tutto il mondo negli ultimi quindici mesi: il Covid-19. La speranza è quella di lasciarlo definitivamente sepolto come un triste episodio fra il 2020 e il 2021, confidando nella saggezza dei medici della Serenissima Repubblica di Venezia, secondo i quali per sconfiggere la peste il tempo necessario era "un nadal e do pasque", proverbio che riteniamo sufficientemente comprensibile anche a chi veneziano non è. Pur tuttavia, avrà un impatto anche sulla Pac?