Tra i molteplici servizi ecosistemici svolti dalle foreste quello del "sequestro" del carbonio atmosferico risulta essere estremamente importante per il contrasto ai cambiamenti climatici.

Tronchi, rami, foglie e radici si propongono infatti quali potenti magazzini di molecole organiche prodotte a partite dall'anidride carbonica presente nell'aria attraverso la fotosintesi. Le stesse sostanze vengono successivamente trasferite e conservate anche nel suolo forestale. La cura dei boschi risulta però un aspetto fondamentale per un pieno sfruttamento della loro capacità di sottrarre gas climalteranti - meglio noti come "gas serra" - all'atmosfera.

In Alta Val Nure, nell'ambito del Gruppo operativo per l'innovazione FarmCO2Sink finanziato dal Psr Emilia Romagna, è stata svolta nel triennio 2018-2020 una ricerca scientifica mirata alla comprensione degli effetti di gestioni alternative di boschi di faggio sul rispettivo potenziale di sequestro di carbonio.

A fronte di un progressivo spopolamento della montagna emiliana e del conseguente abbandono delle attività forestali in gran parte del territorio appenninico, i ricercatori dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, coordinati da Stefano Amaducci, hanno messo a confronto tre realtà selvicolturali ben distinte: il classico bosco ceduo utilizzato con turni di trenta anni per la produzione di legna da ardere, un bosco di faggio abbandonato da circa settantacinque anni e, infine, un ceduo in graduale conversione alla fustaia. Per quest'ultima tipologia gestionale, nel corso dell'estate 2020, è stato inoltre realizzato un intervento dimostrativo di conversione irregolare della fustaia transitoria, volto alla disetaneizzazione della futura faggeta ad alto fusto.

I lavori sperimentali si sono interamente svolti entro le proprietà consortili afferenti al Consorzio Agro-forestale dei Comunelli di Ferriere, che con Riccardo Simonelli, il suo direttore tecnico, ha collaborato alla ricerca.

Fustaia di faggio
Comunelli di Ferriere, fustaia di faggio
(Fonte foto: Enrico Martani)

In particolare, è stata implementata un'analisi del ciclo di vita o Lca (dall'inglese "Life cycle assessment") per il calcolo dell'impronta di carbonio delle tre diverse tipologie di gestione della faggeta applicate ai boschi dell'Alta Val Nure.

Dalle prime analisi emerge come l'opzione dell'abbandono colturale risulti la meno efficiente in termini di carbonio totale sottratto all'atmosfera negli ultimi settantacinque anni (periodo 1945-2020) e la peggiore per quantitativi di necromassa - legno morto - presente nell'ecosistema, a fronte però di nessuna emissione derivante dalla filiera produttiva, di fatto inesistente.

Per contro, la conversione del ceduo invecchiato all'alto fusto, soprattutto nell'innovativa versione "irregolare" messa in atto nell'ambito del progetto di ricerca, appare il miglior compromesso fra capacità di immagazzinamento di carbonio all'interno delle foreste, livello di emissioni derivanti dall'utilizzo del legname, durata dei prodotti legnosi ottenibili e, non ultimo, grado di salute dell'ecosistema.

Maggiori informazioni in questo sito.
Contatto per informazioni: farmco2sink@crpa.it

Tabella: FarmCO2Sink
Clicca sull'immagine per ingrandirla
 
Le innovazioni della misura 16 del Psr
Piccoli progetti che cambiano dal basso l'agricoltura italiana

Questo articolo fa parte delle collezioni: