Uno scenario che, se forse è prematuro interpretare come una ripresa dei prezzi lattiero caseari su scala mondiale, lascia intravedere una ripartenza delle importazioni di Pechino. A ben vedere, i dati elaborati da Clal.it, portale di riferimento nel settore, smentiscono anche in questo caso i timori di un crollo delle importazioni cinesi, che fra gennaio e febbraio di quest'anno sono diminuite di appena l'1,9% rispetto allo stesso periodo del 2019, con una crescita del 3,8% a valore. Questo sta a significare che i prezzi unitari sono aumentati, almeno per alcune voci.
Si può immaginare che prendano piede le raccomandazioni delle autorità cinesi di modificare le abitudini alimentari, inserendo in quella che loro definiscono "la pagoda alimentare", applicazione stilisticamente più consona al loro mondo della nostra "piramide alimentare", una maggiore quantità di latte e derivati.
Da qui anche l'aumento degli investimenti per potenziare le stalle e gli stabilimenti di trasformazione. Nemmeno è stata casuale, nelle scorse settimane, la visita del presidente Xi Jinping a un'industria lattiero casearia, prima uscita pubblica dopo il lockdown dettato dal coronavirus.
Dei numeri positivi dell'import cinese nel primo bimestre di quest'anno, trascinati dai prodotti finiti (burro +70%, formaggi +15%, crema di latte +31,4%, latte confezionato +4,3%, Fonte: Clal.it), ha beneficiato anche l'Unione europea, che si conferma il primo esportatore mondiale di latte confezionato verso la Cina e cresce del 19,7% rispetto ai numeri tendenziali.
Tutto positivo, dunque? Non esattamente. Va detto che nelle scorse settimane il settore lattiero caseario ha pagato non soltanto il panico da Covid-19 e il disorientamento dato dalle nuove dinamiche di approvvigionamento e consumo, le difficoltà che hanno riguardato la collocazione del prodotto, la difficoltà logistica delle esportazioni, che hanno contribuito al ribasso dei prezzi.
Nel periodo immediatamente successivo al blocco totale del paese, intorno alla metà di marzo, il prezzo del latte spot è crollato vertiginosamente, facendo gridare il mondo agricolo alla speculazione. Sicuramente ci sarà stato chi ha cercato di approfittare della contingenza del mercato, ma l'effetto negativo sui prezzi è stato figlio anche di un incremento produttivo, accompagnato appunto dalle difficoltà logistiche e di raggiungere mercati esteri.
L'Unione europea lo scorso gennaio ha prodotto l'1,8% di latte in più rispetto allo stesso periodo del 2019, proprio quando già i volumi di export stavano frenando. Gli Stati Uniti, oggi alle prese con difficoltà non solo di sovrapproduzione (+3,1% nei primi due mesi del 2020 su base tendenziale), ma anche di ritiro del prodotto, stanno vivendo la crisi del Covid-19 in maniera massiccia, al punto che non si sa se le ingenti iniezioni di denaro immesse nel sistema salveranno la presidenza di Donald Trump nello scontro con il democratico Joe Biden.
Complessivamente, i principali paesi esportatori di latte, polveri, burro e formaggio hanno prodotto in due mesi il 2,5% in più, con la necessità di ricorrere ai magazzini per non far implodere i listini.
Il prezzo del latte in questo frangente è poco in spolvero, con decrementi diffusi in Unione europea (-0,3%), in Oceania (-6,1%) e negli Stati Uniti (-1,8%).
In Italia, dove le consegne di latte sono aumentate lo scorso gennaio del 2,56%, con la Lombardia prima regione a vocazione lattiera a segnare un +4,64%, dopo l'abisso di metà marzo le quotazioni del latte spot sono aumentate. L'ultima quotazione disponibile delle Borse merci di Milano e Verona è datata 6 aprile e ha visto il latte in cisterna crescere su entrambe le piazze (+1,6%), toccando i 30,75 euro/100 chilogrammi a Milano e 31,50 euro/100 chilogrammi a Verona.
Ma questi prezzi sono inferiori rispetto ai contratti annuali (o semestrali) solitamente fissati in Lombardia per forniture garantite su un periodo maggiore. Certo, è innegabile che il 2020 non sarà così brillante come la seconda parte del 2018 o la prima parte del 2019, ma il livello per l'anno in corso non dovrebbe essere inferiore ai 36-38 euro al quintale.
Il futuro dei prezzi dipenderà essenzialmente dalla capacità di reazione del comparto nel suo complesso. Per gli analisti di Clal.it, è giunto il momento di un cambio di passo e, in particolare, di una rivoluzione nell'approccio da parte degli attori della filiera.
Serviranno obiettivi condivisi, grande responsabilità, sostegno alle imprese che esportano con un "bonus export", come suggerisce il team di Clal, utile non soltanto per individuare nuove destinazioni dei prodotti lattiero caseari ed essere competitivi con una concorrenza internazionale (europea e statunitense, in particolare) agguerrita in chiave di prezzi, ma anche per sostenere l'occupazione e - aiutando le vendite all'estero - influendo positivamente sul prezzo del latte.
Se la globalizzazione è tramontata così come è stata vissuta fino adesso, le imprese non potranno prescindere dagli scambi internazionali e da una rinnovata collaborazione di filiera, improntata all'etica e alla crescita complessiva della società.
Serviranno aiuti mirati per sostenere produttori e mercato e l'intervento pubblico sarà strategico. Negli Stati Uniti, dove lo choc del coronavirus potrebbe avere un impatto superiore rispetto all'Europa, il mondo allevatoriale ha già avanzato richieste di aiuto. Evitare il default è essenziale.