Il Dl Semplificazioni, approvato lo scorso 7 febbraio, ha aperto la strada all'introduzione dell'obbligo di indicare in etichetta l'origine della materia prima degli alimenti trasformati. Accanto a uova, miele, frutta fresca, olio, pasta e riso (solo per citarne alcuni) in futuro anche altre tipologie di alimenti dovranno riportare chiaramente in etichetta da dove viene la materia prima con cui sono stati confezionati. Salumi, carne di coniglio, marmellate, legumi in scatola e altri prodotti ancora dovranno dunque evidenziare se sono totalmente made in Italy o se solo la trasformazione finale è avvenuta nel nostro paese. Il provvedimento è stato accolto con reazioni differenti, a seconda dell'osservatore.

Per Coldiretti si tratta di una conquista importante. "E' una nostra grande vittoria che consentirà di valorizzare la produzione nazionale, garantire scelte di acquisto consapevoli ai cittadini e combattere il falso made in Italy", ha commentato il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, nel sottolineare che l'Italia "si pone così all'avanguardia in Europa nella battaglia per la trasparenza dell'informazione".

Più cauta invece Federalimentare, l'associazione che riunisce le aziende di trasformazione, che chiede che la legislazione in materia di etichettatura alimentare venga coordinata a livello europeo, per evitare che le aziende italiane subiscano una regolamentazione più stringente rispetto alle concorrenti europee.

"La questione dell'etichettatura è materia armonizzata a livello europeo proprio per evitare di introdurre obblighi valevoli per le sole imprese nazionali che, in questo modo, sarebbero le uniche a sostenere l'aggravio dei costi derivanti dalle misure introdotte e si troverebbero in svantaggio competitivo rispetto alle altre imprese dell'Ue che non si vedrebbero applicare tale normativa", ha dichiarato il presidente di Federalimentare Ivano Vacondio.

Secondo alcuni detrattori, l'iter che porterà alla piena applicazione del provvedimento ministeriale si concluderà successivamente all'applicazione del Regolamento europeo 2018/775 (che implementa il Regolamento UE 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori), rischiando così di essere superato dalla legislazione comunitaria.
 

Tracciabilità alimentare: un valore per il consumatore

Al di là degli aspetti prettamente normativi e burocratici, ciò che emerge è una crescente attenzione dei consumatori verso la qualità che viene comunicata tramite la trasparenza delle informazioni (ad esempio in etichetta) e la sicurezza dei prodotti garantita dai sistemi di tracciabilità.

I temi della tracciabilità e dell'origine dei prodotti agroalimentari sono cruciali per molti consumatori. Basta fare un giro per i mercati cittadini o nei punti vendita della grande distribuzione per capire quanto il fattore made in Italy orienti le scelte delle famiglie e sia al contempo sfruttato dall'industria.

D'altronde secondo l'organizzazione europea dei consumatori Beuc il 70% dei cittadini europei vuole conoscere l'origine del cibo, percentuale che sale all'82% per gli italiani. Mentre la percentuale tocca il 90% nei casi di derivati del latte e della carne.
 

Tracciabilità completa, dal seme al prodotto finito

Eppure in tema di tracciabilità rischiamo di perdere un pezzo importante della filiera, quello che riguarda il seme. Nelle nostre aziende agricole oggi viene fatto largo uso di seme non certificato. Seme che dunque ha una origine incerta e che può portare con sé fitopatologie o altri aspetti negativi perché privo dei controlli cui sono, invece, sottoposti i materiali certificati.

L'impiego di seme certificato assicura invece l'utilizzo di un materiale riproduttivo con germinabilità e purezza che rispetta i limiti imposti dalla legge. Dei vantaggi di utilizzare un seme certificato ne abbiamo parlato in questo articolo: Seme certificato, una questione di valore.

Adoperare sementi certificate significa anche avere la possibilità di offrire sul mercato alimenti e mangimi di origine certa, come nel caso della soia. L'Italia è il primo produttore Ue di questo legume che nel resto del mondo è coltivato prevalentemente a partire da sementi Ogm. Per gli agricoltori nostrani, dunque, poter dimostrare l'origine del seme può tradursi in un vantaggio nei confronti di chi invece non utilizza sementi certificate. Siamo quindi certi che i consumatori attenti all'origine dei prodotti alimentari, non siano anche interessati al seme che dà origine alla derrata agricola?