Il nostro futuro è legato all'agricoltura. Non parliamo di cibo ma di una economia sostenibile, capace di rigenerare i territori dal punto di vista ambientale e sociale e di creare al contempo ricchezza.

Parliamo di economia circolare quindi di bioeconomia, sistemi in cui le filiere agricole si integrano con l'industria per la produzione di prodotti eco compatibili - quei bioprodotti (biobased products) che vanno dalle plastiche ai lubrificanti, dai pannelli per l'isolamento termico e acustico ai detersivi, dalle creme per il sollievo dal dolore ai liquidi antigelo. Tutti prodotti che possono sostituire egregiamente i prodotti altamente inquinanti derivati dall'industria petrolchimica.

Il Joint Research Center della Commissione europea ha calcolato che già oggi la bioeconomia produce nella Ue un fatturato di 2,2 miliardi di euro, occupando 18,6 milioni di lavoratori. Ma si potrebbe fare molto di più. E questo riducendo la dipendenza dall'estero e diminuendo l'impatto ambientale.

Per sviluppare dei modelli funzionali di green economy è però necessario cambiare i paradigmi del capitalismo moderno, globale, mobilissimo nel mondo e spesso rapace. Occorre tornare sui territori e creare dei sistemi locali in cui la produzione agricola si integri armoniosamente con quella industriale. Per fare questo c'è la necessità di avere una ricerca capace di creare nuovi prodotti e di una industria capace di svilupparli oltre che di una agricoltura capace di integrarsi.

Ovviamente c'è la necessità di una strategia a livello nazionale per la transizione verso una bioeconomia sostenibile - ma anche di una nuova consapevolezza a livello locale. La bioeconomia è una economia circolare, un modello che funziona bene a livello dei singoli territori e località, in cui si può sviluppare una vera biodiversità di risorse naturali rinnovabili. Il futuro è locale.