La proposta di Dorfmann è quella di “togliere 10 miliardi di euro dal Primo e dal Secondo pilastro per favorire ricerca e innovazione in agricoltura”, partendo da un budget complessivo che l’Italia ha di 52 miliardi di euro per la Pac 2014-2020.
AgroNotizie ha chiesto ad alcuni stakeholder di esprimersi sulla proposta.
Non è del tutto convinto a sottrarre risorse l’assessore all’Agricoltura della Lombardia Gianni Fava, comunque favorevole a sostenere il settore R&D. “Piuttosto che togliere 10 miliardi dalla Pac - commenta Fava - io li aggiungerei al bilancio, in modo da sostenere gli agricoltori in una fase congiunturale di estrema negatività e offrire al sistema strumenti idonei per favorire ricerca e sviluppo, elementi chiave per la competitività e il reddito delle aziende”.
Sulla stessa lunghezza d’onda dell’assessore Fava si colloca Ettore Prandini, vicepresidente nazionale di Coldiretti. "Dobbiamo innanzitutto capire la finalità della ricerca" afferma Prandini. "Non servono studi fini a se stessi, piuttosto l’agricoltura ha bisogno di creare le condizioni perché il prodotto agroalimentare italiano sia ancora più distintivo nei confronti di quello mondiale ed europeo, visto che in alcuni frangenti gli agricoltori di casa nostra si trovano a subire un vero e proprio attacco frontale in termini di concorrenza sleale".
Bene puntare su ricerca e innovazione, per il presidente lombardo di Coldiretti, “ma se queste devono esserci, vanno necessariamente trovate risorse aggiuntive. Non si può pensare che l’agricoltura venga usata sempre quando bisogna sottrarre risorse al comparto. Il capitolo sulla ricerca c’è, bisogna fare in modo che si creino le condizioni per accedere a livello europeo”.
Per Dino Scanavino, presidente della Confederazione italiana agricoltori e portavoce di Agrinsieme, "il tema andrà senz’altro approfondito nel 2017, quando si riparlerà di riforma della Pac. Assicurare risorse per la ricerca e lo sviluppo in agricoltura è senza dubbio interessante" sottolinea Scanavino. "Non saprei dire se 10 o 20 miliardi di euro sono molti o pochi per la ricerca e lo sviluppo e se si possono dirottare in blocco dal Primo e dal Secondo pilastro e con quali formule, perché è una scelta pesante e che va fatta in sede di riforma di metà percorso e non certo per decreto, perché le risorse sono attualmente allocate. Di sicuro affronteremo a partire dal mese di settembre anche questo ragionamento, perché è ineccepibile che la Pac, così com’è, serve a nulla".
Si trova d’accordo ad incentivare ricerca e sviluppo nel settore primario Sandro Cappellini, coordinatore nazionale di Confai. “A parte che ricerca e sviluppo trovano un capitolo di spesa anche in Horizon 2020 - premette Cappellini - condivido la proposta di Dorfmann nel dedicare maggiore attenzione al segmento R&D. Magari non distogliendo fondi dal Primo o dal Secondo pilastro della Pac, ma prevedendone di aggiuntivi e specifici per poi sviluppare concretamente le linee in grado di migliorare l’agricoltura e l’alimentare dal campo”.
Resta comunque una sfida da vincere in agricoltura, essenzialmente di mentalità. “Già oggi le imprese agromeccaniche, che detengono mezzi e strumenti altamente innovativi - analizza il coordinatore di Confai - devono fare i conti con imprenditori agricoli talvolta restii a fare i conti con le nuove frontiere dell’innovazione in agricoltura, dalle mappe satellitari al precision farming. E' essenziale compiere un percorso culturale, come primo passo per la competitività”.
Parte da una premessa generale sul ruolo e la missione della Pac Paolo De Castro, collega di Dorfmann proprio nella Commissione Agricoltura al Parlamento europeo. "Nel dibattito sulla riforma approvata nel 2013, un professore dell’Università di Leuven propose provocatoriamente di azzerare i pagamenti diretti spostando tutti i fondi del Primo pilastro verso attività di ricerca e sostegno alle imprese innovative" racconta De Castro.
"Provocazioni a parte, il problema è che, essendo la Pac la politica più integrata a livello europeo e quella che ancora conta di più nel bilancio Ue, negli anni si è caricata di tanti compiti e missioni, che in altri contesti sono appannaggio di più politiche che si coordinano tra loro. L’Ue non può farlo perché purtroppo l'integrazione sopranazionale delle altre politiche, in particolare ambientali e sociali, non è stata altrettanto forte come nella Pac".
"La Pac quindi oggi si trova a dover essere politica economica, sociale e ambientale: deve valorizzare le aziende competitive e preservare quelle piccole, il tessuto sociale delle campagne, e far sì che gli agricoltori siano protagonisti di una gestione dei suoli e dell’ambiente all'avanguardia" precisa l'ex ministro del Governo Prodi.
"Questa, condivisibile, triplice ambizione rappresenta le aspirazioni di tre blocchi sociali. In quanto tale, è una delle fonti di legittimazione della spesa pubblica della Pac, e scaturisce da una determinata situazione storica. Ma il problema sotto gli occhi di tutti è che è sempre più difficile realizzare questa sintesi in modo efficace. Le tre funzioni rischiano di essere forze centrifughe, che aprono la strada a una strisciante ri-nazionalizzazione. La domanda cui tocca rispondere è se l’Ue sarà capace di fare delle scelte, quindi anche di rimettere in gioco una o più funzioni storiche della Pac, o se invece dovremo trovare nuove risposte con una configurazione della politica agricola, e del consenso sociale verso di essa, in continuità con il passato recente".
“Certo - conclude De Castro - il problema dei fondi per la ricerca e lo sviluppo nel settore agricolo esiste, ma la riposta principale va trovata nei fondi già predisposti alla ricerca (Horizon 2020, programmi quadro…) dove il settore agroalimentare ha sì una quota di risorse, ma risulta troppo bassa”.