Marcia indietro di Bruxelles sulla liberalizzazione nel settore del vino. La produzione vitivinicola continuerà ad essere controllata: così ha deciso, concludendo i lavori, il Gruppo di alto livello istituito per studiare la materia.

Come si è arrivati fin qui

La conclusione è netta: non ci sarà più la fine del regime dei diritti d’impianto, prevista nel 2015 (o, in deroga, nel 2018). A chiederlo era sia la categoria che i Paesi produttori (in 15 rappresentano la quasi totalità del vino europeo, il 98%). Eppure, la Commissione europea era del tutto intenzionata a procedere in un’ottica di deregolamentazione, eliminando i diritti d’impianto, ovvero le autorizzazioni necessarie per impiantare vigneti e produrre vino.
Si sarebbe dato così il via libera alla “deregulation”, obiettivo perseguito dall’esecutivo di Bruxelles in diverse filiere agroalimentari, anche per il vino.

Di fronte alla posizione della Commissione europea, già la costituzione di un Gruppo d’alto livello per ragionare sul futuro del settore era stata una conquista
Nel corso dell’anno, membri della Commissione europea, Stati membri e esperti della professione si sono riuniti per trovare delle soluzioni alla questione fino a maturare la svolta emersa nell’ultima riunione, venerdì 14 dicembre.

Cosa prevede il nuovo sistema di autorizzazioni

“È emerso un ampio consenso sulla necessità di mantenere un quadro normativo per gli impianti per tutte le categorie di vino”, si legge nelle conclusioni del gruppo di esperti.

La soluzione raccomandata è quella di un sistema di autorizzazioni di nuovi impianti di vite, gestito a livello nazionale. Un meccanismo, dunque, del tutto simile a quello in vigore attualmente, con un’unica importante differenza: i permessi di produzione non sarebbero cedibili, contrariamente a quanto avviene oggi, per cui un produttore in possesso di una licenza può trasferirla, vendendola, a un altro produttore.
Nel nuovo sistema, invece, i diritti d’impianto, gratuiti, non sarebbero una proprietà di cui il viticoltore può disporre. Si tratterebbe di autorizzazioni valide per un periodo di tempo limitato di tre anni.

Il nuovo sistema sarebbe accompagnato da un “meccanismo di salvaguardia” a livello europeo: verrebbe stabilita una percentuale comunitaria annua per i nuovi impianti autorizzati (è ancora in discussione, ma si parla di un 1,5-2% di superficie in più all’anno).
Gli Stati membri potrebbero fissare un limite più basso ma, se le domande di autorizzazione superassero queste soglie nazionali, allora i permessi dovrebbero essere concessi sulla base di priorità obiettive e non discriminatorie stabilite a livello di Unione europea. 

Partendo dalle raccomandazioni del gruppo di alto livello, spetterà ora alla Commissione europea formulare una proposta legislativa, tenendo conto che questa dovrà rientrare nella riforma della politica agricola comune (Pac).


Le reazioni

Soddisfazione per la rinuncia a liberalizzare da parte della Commissione europea è arrivata dalle associazioni di categoria, così come dal ministro alle politiche agricole, Mario Catania, impegnato mercoledì 18 dicembre a Bruxelles, proprio per discutere, in seno al Consiglio Agricoltura, di queste conclusioni.
"Eravamo partiti 10-12 mesi fa - ha ricordato - da un atteggiamento di rifiuto da parte della Commissione anche solo all'idea di aprire una discussione sull'argomento".
Un risultato per cui il ministro ha rivendicato il lavoro eccellente svolto dall’Italia, insieme agli altri Paesi produttori.
Positiva anche la valutazione sulla modifica circa la non cedibilità dei diritti.

''Il testo va nella buona direzione ma bisogna restare vigilanti'', ha commentato Copa-Cogeca, ricordando la fragilità della situazione per le aziende familiari che, secondo i dati recentemente presentati dall’ufficio statistico comunitario Eurostat, hanno perso il 9,4% del valore della loro produzione rispetto al 2011.
In particolare, l’associazione europea degli agricoltori e delle cooperative punta a chiarire e migliorare alcuni aspetti quali la durata del sistema (per ora viene indicata una scadenza di 6 anni) e la data di entrata in vigore del nuovo meccanismo (che per ora oscilla tra il 2015 e il 2018).