I lupi stanno tornando in zone in cui erano scomparsi da secoli. È il caso delle colline pisane inferiori, in Toscana, dove un branco è stato documentato e studiato a partire dal 2017 dal gruppo di ricerca del professor Antonio Felicioli dell'Università di Pisa, in una zona in cui la presenza del lupo non rientrava a far parte delle memorie della popolazione residente.

 

Da lì l'interesse di capire anche l'evoluzione storica della presenza del lupo, per cercare di capire come e perché siano tornati, che ha portato alla pubblicazione di un articolo a metà tra ricerca storica e faunistica sulla rivista scientifica Human Dimensions of Wildlife.

 

Un articolo che ha suscitato molto interesse anche sulla stampa generalista, ma che è stato letto anche in chiave allarmistica, lettura da cui gli autori vogliono dissociarsi, spiegando il perché.

 

"Questo lavoro - come spiega il professor Felicioli - è nato quando, nel 2017, una fototrappola installata in un bosco delle colline pisane inferiori vicino a casa mia, usata per lo studio degli istrici, ha immortalato quello che con tutta probabilità era un lupo. Una probabilità che è diventata certezza quando sono stati ritrovati alcuni escrementi e sono state fatte le analisi genetiche. Il fatto è che in quella zona, quella delle colline pisane inferiori, nessuno aveva mai avvistato un lupo, né se ne conservava memoria. Da qui l'idea di indagare il conflitto/coesistenza tra l'uomo e il lupo attraverso una lente di ingrandimento storica. Abbiamo quindi iniziato a studiare questi esemplari e abbiamo cercato di indagare come fosse la situazione nel passato, iniziando un lavoro di ricerca storica accanto a quello prettamente faunistico".

 

Com'è stata fatta questa ricerca?
"È stato raccolto molto materiale storico e archivistico associato allo studio dei toponimi e della cartografia antica. Il tutto è stato poi integrato con materiale raccolto come racconti e cronache d'epoca, dal 1600 ad oggi, ed altri dati come i contratti stipulati con i lupai regnicoli, i cacciatori reclutati nel Regno di Napoli e pagati per uccidere i lupi. È stato un lavoro lungo, in cui i revisori dell'articolo scientifico ci chiedevano continue correzioni e che ci ha permesso di acquisire delle competenze nuove, tipiche della ricerca storica che ha modalità e metodologie diverse dalla ricerca biologica e faunistica con cui lavoriamo tutti giorni, ma che alla fine ha portato alla pubblicazione di questo lavoro".

 

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Il professor Antonio Felicioli nel suo studio

(Fonte: Università di Pisa)

 

E cosa è venuto fuori?
"È venuto fuori che in una parte delle colline pisane, le colline pisane superiori, il lupo è sempre stato presente dal '600 ad oggi, anche se con un andamento diverso nel corso dei secoli, mentre nelle colline pisane inferiori i lupi sono di fatto iniziati a diminuire dal Settecento per arrivare ad essere considerati scomparsi dall'800 fino a dopo gli Anni '70 del '900, per poi ricomparire oggi.

Un fenomeno dovuto ai cambiamenti socioeconomici che hanno coinvolto il territorio.

 

A partire dal Settecento, per l'esigenza di proteggere le greggi, durante la transumanza è iniziata la caccia al lupo, poi dall'Ottocento fino a tutta la metà del Novecento le zone delle colline pisane inferiori sono state capillarmente coltivate, mantenute in ordine in ogni loro parte, trasformandole quindi in un ambiente totalmente antropizzato, non ospitale al lupo e a molti altri animali selvatici. Dal secondo dopoguerra con la riforma agraria del 1950 si è assistito a un profondo cambiamento socioculturale e ambientale di questo territorio.

 

L'urbanizzazione, il cambiamento d'uso progressivo dei poderi da agricoli a residenze per persone pendolari, con i paesi più grandi e le città, hanno portato a un graduale abbandono delle campagne, favorendo una progressiva riespansione dei boschi che sono tornati ad essere abitati da fauna selvatica. Il ritorno degli ungulati selvatici quali cinghiali e caprioli, prede elettive dei lupi, nonché la rigorosa protezione legale imposta sul lupo a partire dagli Anni '70 hanno quindi favorito il ritorno di questa specie".


Quindi è vero che oggi non ce ne sono mai stati così tanti da 3 secoli, come hanno titolato alcuni giornali?
"Possiamo dire che mai titolo fu più fuorviante, se non addirittura allarmistico. Dire che oggi ci sono tanti lupi quanti non ce ne sono mai stati in tre secoli, induce a pensare che siano in alto numero ma ciò vorrebbe dire che sappiamo quanti lupi ci fossero tre secoli fa. E questo non lo sappiamo. Addirittura non sappiamo nemmeno quanti ce ne siano oggi.

 

Dagli ultimi dati disponibili della popolazione del lupo in Toscana del 2016 si stima un numero di circa 530 individui in tutta la Regione. Noi come gruppo di ricerca stiamo osservando un branco formato da un maschio e una femmina che fanno in genere una cucciolata l'anno, dove poi i cuccioli in parte muoiono, in parte crescono, in parte si disperdono in altre località, così come altri individui possono arrivare da fuori. Il fatto che sia presente una famiglia stabile nella nostra area di ricerca fa sì che questa specie abbia raggiunto un livello di abbondanza che è il più alto degli ultimi tre secoli nelle colline pisane inferiori, ma sempre una sola famiglia è!!. Già a livello di questo piccolo branco abbiamo un numero di componenti che può variare nel corso dell'anno da 2 a 10 esemplari.

 

Dare dei numeri è difficile per l'oggi, pressoché impossibile per il passato. E infatti nell'articolo non parliamo mai di numeri di esemplari. Il fatto che oggi nelle colline pisane inferiori ci sia un branco di lupi è un dato. Così come è un dato che dall'800 a praticamente per tutto il '900 in quella zona non ci siano più stati. Il resto sono interpretazioni giornalistiche o, se vuoi, discorsi".

 

Dal punto di vista economico e agricolo ci sono problemi con il ritorno del lupo?
"In queste zone il problema è molto contenuto. Ci possono essere ovviamente casi di predazione di animali di interesse zootecnico, ma ormai queste colline non hanno più una vocazione pastorale tale da rendere la cosa problematica come accade in altre parti d'Italia e della Toscana.

L'uso di recinzioni e di cani da guardianìa sono metodi sufficienti per la difesa degli allevamenti che ci sono".

 

E per le persone ci possono essere pericoli?
"No. L'uomo non è una preda del lupo. Ovviamente ci vuole una consapevolezza e una prudenza nuova. Non è assolutamente pericoloso andare a passeggio nei boschi, ma è opportuno tenere il cane al guinzaglio, perché il cane è un animale domestico che potrebbe andare a cercare e a disturbare animali selvatici, ed essere aggredito da questi per difesa. Lo stesso vale con altri comportamenti, come quello di non lasciare avanzi di cibo in giro, cosa che potrebbe attirare i lupi o altri selvatici in zone con maggior presenza umana, con la possibilità di creare situazioni di confidenza in cui ci siano incontri ravvicinati che non sono piacevoli né per noi né per gli animali. Dobbiamo iniziare a pensare di comportarci da ospiti educati nel 'nostro' territorio condiviso".

 

Dal punto di vista ambientale questa situazione è positiva o negativa? Siamo di fronte ad una rinaturalizzazione dell'ambiente o ad una situazione di abbandono del territorio che porta problemi?
"Dal mio punto di vista è una rinaturalizzazione ed è una situazione positiva. Non si sta parlando solo di lupi, ma in generale anche di molti altri animali che prima erano di fatto scomparsi, come caprioli, cinghiali, lontre, castori, gatti selvatici.

Il lupo in questo contesto ha un ruolo centrale ed è una sorta di medico dell'ecosistema. Ad esempio contribuisce al controllo degli ungulati come i cinghiali e i caprioli, così come alla modulazione del paesaggio.

 

Stiamo vivendo un'epoca in cui abbiamo l'occasione di vivere nuovamente a fianco di animali selvatici. Un campo abbandonato è abbandonato perché economicamente a noi non serve più e lì parte un processo di rinaturalizzazione, tecnicamente una successione ecologica, che tenderà ad un nuovo equilibrio 'climax', che comprende anche gli animali. Conviverci serenamente è un'occasione e una sfida culturale, ecologica ed economica che vale la pena di non perdere".