"Di contoterzisti ce n'è di tutti i tipi. Per sottolineare l'appartenenza della categoria al settore primario preferiamo il termine 'agromeccanico'.
Le aziende agromeccaniche, a livello nazionale, sono circa 18mila. Di queste, circa 10mila si qualificano come 'professionali' svolgendo esclusivamente attività agromeccanica. L'agromeccanico è quello che chiamiamo 'il professionista dell'agricoltura'. In sostanza sono agricoltori che si sono evoluti e fanno lavori per gli altri; difficilmente si trovano aziende agromeccaniche nate per fare solo questo lavoro. Attualmente gli agromeccanici lavorano circa il 76% di tutti i lavori presenti in agricoltura, con punte molto alte che riguardano aratura e raccolto.
Sono imprese molto strutturate e che investono molto soprattutto nell'innovazione tecnologica dei macchinari.
Cai (Confederazione agromeccanici e agricoltori italiani) è l'organo sindacale di queste aziende e ad oggi ne rappresenta circa il 75% grazie all'unione di Unima (Unione nazionale imprese di meccanizzazione agricola) e Confai (Confederazione agromeccanici e agricoltori italiani)".
Quali sono i settori e le coltivazioni di intervento degli agromeccanici?
"Il volume d'affari del contoterzismo vale 3,7 miliardi di euro per una superfice lavorata di 6,5 milioni di ettari. Il 13% del totale delle aziende agricole si servono esclusivamente del contoterzismo per le lavorazioni.
Il 98% della raccolta di cereali, il 70% delle colture industriali e il 70% dei trattamenti fitosanitari sono svolti dalle aziende agromeccaniche. Gli agromeccanici intervengono in quasi tutte le coltivazioni, a seconda di come sono strutturate le aziende. È chiaro come nella semina e nel raccolto fanno la parte preponderante del lavoro, ma più che significativi sono anche gli interventi nel settore vitivinicolo dove, al di là di certi vini che richiedono la raccolta manuale delle uve, tutte le aziende si sono meccanizzate sia per fare i trattamenti che per operare sulla pianta".
Quale è il vantaggio per un agricoltore nel ricorrere al contoterzismo?
"Acquistare oggi un macchinario che soddisfi le esigenze di un'agricoltura molto responsabile verso i consumi e di precision farming e che permetta di coltivare i terreni in modo conforme alle necessità richiede investimenti molto alti. Mentre una volta a usufruire del contoterzista erano le aziende piccole e medie, oggi anche le grandi aziende preferiscono non correre il rischio di investire in un macchinario che potrebbe essere obsoleto nel giro di due-tre anni perché cambia la coltura. Anche queste, dunque, ricorrono a chi è fornito di tutte le conoscenze e tecnologie per soddisfare le esigenze contingenti del mondo agricolo.
Il comparto, da parte sua, deve cambiare il modo di porsi nei confronti del mondo agricolo, smettendo di dire cosa vuole dagli agricoltori e lasciando a questi l'onere di dire cosa vogliono da noi. Se il mondo agricolo cominciasse seriamente a ragionare in maniera fredda su quello che si aspetta dagli agromeccanici, darebbe già tutte le risposte alle nostre richieste. Se vogliono l'innovazione, la professionalità, il rispetto dell'ambiente e i costi certi garantiti dagli agromeccanici, dovranno fare in modo che questi escano dal limbo in cui li hanno relegati. Abbiamo sempre chiesto rispetto, sostegno e aiuti per essere integrati; ora non siamo neanche certi di portare a casa ciò ci è dovuto per le lavorazioni fatte".
Vista dall'esterno, la scissione tra Unima e Confai del 2004 è sembrata rispondere a una crisi di identità del mondo agromeccanico. Come l'avete risolta?
"Quando ci si è divisi tra Unima e Confai, ci si è divisi su temi sindacali, su diversità di vedute. Non è stata una manovra politica per creare posti di potere o quanto altro. Una parte di noi riteneva di dover essere integrata completamente nel mondo agricolo e un'altra voleva invece salvaguardare la propria specificità. Premesso che entrare nel mondo agricolo significava passare per il riconoscimento delle organizzazioni sindacali degli agricoltori che ci hanno sempre boicottato, ci sono stati lunghi anni nei quali ognuno ha portato avanti le proprie posizioni e istanze. Oggi c'è una consapevolezza che l'imprenditore agromeccanico, per poter fornire servizi al mondo agricolo, debba essere in esso integrato, pena il non sapere come dare servizi adeguati a costi adeguati agli imprenditori agricoli".
Unima e Confai si sono riuniti in Cai; ma esiste ancora una terza associazione. Possibile che il comparto non riesca a essere unito?
"La terza associazione è nata prima della nascita di Cai, in occasione dell'elezione del nuovo Consiglio di amministrazione nazionale di Unima. Il presidente di Unima, Aproniano Tassinari, sapendo che non sarebbe stato rinnovato, ha creato una sua organizzazione; una organizzazione che però mi permetto di dire vale poche province ed è molto legata alla presenza dell'attuale presidente. Non credo che possa avere prospettive molto più in là. Tenga conto che per quello che mi riguarda ho dato la piena disponibilità a parlare con tutti di tutto, basta che si metta al primo punto l'interesse degli agromeccanici, non delle categorie e tantomeno delle persone".
Cosa significa innovazione in agromeccanica?
"Innovazione significa tenere il passo con quello che chiede il mondo agricolo. E non è semplice. Per quanto riguarda l'agromeccanico significa diventare un professionista a 360°. Credo che l'agromeccanico debba diventare quella persona che nel futuro dica all'imprenditore agricolo cosa fare dei propri terreni. Mentre oggi è l'imprenditore agricolo che chiama l'agromeccanico e gli dice cosa fare, in un domani l'agromeccanico dovrà avere una conoscenza perlomeno europea, e poi nazionale, di cosa convenga o non convenga fare all'interno di determinate aree agricole e proporlo allo stesso imprenditore agricolo. Oltre alla conoscenza ci devono essere gli investimenti in macchinari, che devono essere assolutamente di ultima generazione, in grado di dare quei vantaggi, quei risparmi e quella sicurezza che oggi il mercato chiede.
Gli agromeccanici hanno un ruolo fondamentale per l'industria, con la quale abbiamo un ruolo fondamentale per testare le nuove tecnologie e dare e ricevere suggerimenti sul come operare. Tenga conto che il 70/80% dei macchinari costruiti vengono venduti all'estero; quello che fa l'agromeccanico nella fase di ideazione progettazione e costruzione di un macchinario è molto importante".
Come vi inserite nella discussione sulle biotecnologie sugli agrofarmaci?
"Credo che l'agromeccanico, in un momento di confusione generale, potrebbe essere il soggetto certificatore di comportamenti corretti e precisi sull'uso delle biotecnologie. Credo serva un passo culturale in avanti a livello nazionale sul loro uso. L'agromeccanico può essere un anello di congiunzione molto serio per garantire le imprese, soprattutto sui volumi, sui dati e sulle operazioni in campo.
Sugli agrofarmaci è chiaro che il mondo sta andando da un'altra parte. Credo che una chimica responsabile non sia comunque da scartare e non c'è nemmeno da scartare la scienza. Crediamo però, e su questo abbiamo sottoscritto un protocollo d'intesa con Coldiretti, che il prodotto italiano vada selezionato, certificato e garantito possibilmente senza agrofarmaci o altre cose, per vincere sulla qualità. Se in Italia produciamo agli stessi livelli e lo stesso prodotto di altri paesi europei o mondiali veniamo sconfitti dal costo del lavoro e altre cose che abbiamo sul nostro territorio. La superfice a nostra disposizione non è enorme e la filiera corta italiana va valorizzata. Se all'interno di questa filiera non vengono utilizzati agrofarmaci meglio, ma non siamo contro a prescindere".
La deriva dell'agricoltura italiana oggi va verso il biologico e verso mode pseudonaturiste…
"Il biologico è di per sé, già oggi, da prendere con le pinze. Alcuni paesi, come la Germania, in questo campo sono più avanti di noi per quanto riguarda la consapevolezza dei cittadini. Credo che in Italia ci voglia del tempo e soprattutto ci vogliono prodotti che possano andare sul mercato e portare a casa quel valore aggiunto che a quel punto costeranno; bisognerà anche avere cittadini e consumatori disposti a pagare certi prezzi".
Quale è il ruolo del web e delle tecnologie digitali nell'agromeccanica?
"Il futuro non so dove andrà. Un po' mi dispiace quando le tecnologie non richiedono più il fattore umano, che credo debba avere ancora un suo ruolo importante. Vanno bene tutti i servizi, va bene quello che può darci la mappatura dei terreni, guidare una seminatrice o orientare i tempi di raccolta, ma il fattore umano come capacità formativa e di guida, ritengo debba rimanere necessario".
Droni: aspettiamo il contoterzista volante?
"Gli agromeccanici stanno seguendo l'evolversi di questo fenomeno. Da noi non c'è ancora un uso intensivo dei droni per usi diversi dalle mappature. Dove andrà la tecnica per l'uso di questi macchinari non lo so, ma se questo genere di attività dovesse prendere piede, sicuramente gli agromeccanici non si terranno in disparte.
Oggi è talmente complicato gestire i droni che, conoscendo come sono fatti gli italiani, la nostra struttura geografica e la normativa nazionale, è difficile immaginarne l'evoluzione. Certo è che le norme per la navigazione aerea si troveranno a dover regolare una partita piuttosto delicata che investe anche problemi di sicurezza".
Cos'è la Pac per il comparto agromeccanico?
"Noi dalla Pac non abbiamo avuto nulla. Finora la nostra attività è stata sostenuta dall'industria 4.0, che prevedeva misure come iperammortamenti e superammortamenti. Queste possibilità di ammortamento di macchinari comunque hanno un valore all'interno di un'azienda quando questa ha un utile. Noi chiediamo alla Pac, e lo abbiamo richiesto anche alla politica nazionale, un riconoscimento della nostra categoria che permetta attraverso i Psr di sostenere gli investimenti e il rischio imprenditoriale che l'agromeccanico fa in vece dell'imprenditore agricolo.
Partiamo da un riconoscimento di ruolo. Lo scorso anno abbiamo sottoscritto con Coldiretti, unica associazione che si è seduta al tavolo con noi, un protocollo d'intesa molto importante nel quale si riconosce l'agromeccanico come fattore importante, se non indispensabile, per l'agricoltura italiana e la Cai come struttura sindacale di rappresentanza del comparto. Noi di contro riconosciamo a Coldiretti il ruolo della filiera corta italiana. È stato un tavolo importante, che ha visto come primo elemento la pari dignità dei ruoli, con il riconoscimento della figura dell'agromeccanico nello svolgimento delle attività agricole connesse e un'apertura sulla Pac basata su un dato di fatto: se il ruolo dell'imprenditore agromeccanico non viene sostenuto, l'aumento dei rischi di impresa delle nostre aziende non potrà che tradursi per l'imprenditore agricolo in un aumento dei costi.
Alla politica nazionale chiediamo un passo in avanti. Abbiamo sempre vissuto in un limbo, in cui sanno che ci siamo, ci usano quando serviamo e poi si dimenticano di noi. È ora di finirla, perché potremmo anche non farcela e non essere più in grado di servire l'agricoltura. I problemi sono molti, a partire dall'assegnazione di carburante agricolo e fino a quelli sulla viabilità, o anche loro fanno squadra per arrivare a risolverli, o non andiamo da nessuna parte.
Negli ultimi anni, comunque, la considerazione per il ruolo è cresciuta e stiamo lavorando su quella che è la Pac che verrà, che parla molto di risparmio energetico, di innovazione, di agricoltura di precisione, tutela del verde… tutte cose di cui ci occupiamo noi, oppure gli imprenditori agricoli comprando i servizi da noi. Dovremo pure metterci d'accordo su chi deve fare queste cose".
La discriminazione della categoria non comporta il rischio di concorrenza sleale?
"La concorrenza sleale c'è già. Voglio essere chiaro sul termine 'sleale': tutto viene fatto nei termini di legge, però l'agricoltore ha una legge che gli permette di fare attività connessa, nella fattispecie quella agromeccanica, con regole che sono diverse dalle nostre. Noi la riconosciamo come attività connessa se fatta nell'ambito del vicinato e in percentuale minima rispetto a quella agricola che dovrebbe essere la principale; ma se chiami 'connessa' un'attività principale in diretta concorrenza con la nostra, devi assumerne gli oneri e gli onori".
Il ruolo dell'agromeccanico sembra ritagliato per la lavorazione di grandi estensioni. In Italia il panorama è completamente diverso…
"L'Italia è effettivamente qualcosa di particolare. Quando sento parlare degli ettari lavorati dagli agromeccanici in altri paesi quasi mi spavento. Da noi la superficie è molto ristretta, per cui la professionalità dell'agromeccanico italiano si è formata e affinata su qualsiasi tipo di coltura. Parlando di commodities in generale, va tenuto conto della volontà comune di far emergere il nostro paese per le sue specificità. Per esempio nella battaglia tra Ogm sì e Ogm no: probabilmente per difendere le unicità del made in Italy e non appiattirsi su standard globali sarebbe opportuno schierarsi per il no e coltivare prodotti di nicchia; di contro bisogna anche trovare mercati remunerativi su cui piazzarli".
Una delle parole chiave per le moderne imprese agricole è "differenziare". Vale anche per gli agromeccanici?
"In realtà le imprese agromeccaniche sono ancora troppo preoccupate di salvare il proprio core business per pensare a differenziare. Nel corso del passaggio generazionale delle aziende, inoltre, si accentua la tendenza alla crescita dimensionale delle aziende a scapito del numero. Ci sono aziende molto strutturate che stanno pensando di muoversi in questa direzione, ma siamo ancora talmente presi da battaglie sindacali fondamentali, come l'omogeneità interregionale nell'assegnazione del carburante agricolo, che non possiamo di fatto metterci a pensare ad altro che non sia la soluzione di problemi vecchi e mai risolti. Un passo avanti è stato fatto recentemente, con la sottoscrizione di un accordo sindacale che ci riconosce la stagionalità e risolve alcune questioni rimaste per anni in sospeso.
Un ambito in cui gli agromeccanici operano al di fuori dell'agricoltura è quello della manutenzione del verde pubblico e nella tutela del territorio, ma qui si apre un fronte diverso: la mancata conoscenza da parte di molti sindaci e amministrazioni di ciò che è necessario fare quando si rendono necessari determinati interventi, per cui si dava l'incarico all'agricoltore conoscente di fare determinate cose. Oggi, con tutti i rischi noti e le regole che ci sono, gli unici a poter svolgere determinati incarichi sono proprio gli agromeccanici, ma questa è una cosa che facciamo parecchia fatica a far capire".
Come immagina l'agricoltura tra cinquanta anni?
"Ci sono vari scenari: quello mondiale, dominato dalla preoccupazione di sfamare la popolazione. Sarà uno scenario in cui le commodities avranno la parte del leone sostenute da un'impellenza che alimenterà una cultura del cibo non perfetta e orientata al puro sostentamento. Credo che l'agricoltura italiana debba essere diversa dalle altre: dovremo lavorare sulla qualità ed essere bravi anche a non farci male con le nostre mani; deve essere brava l'industria, risolvendo i problemi di provenienza delle materie prime trasformate e dell'etichettatura. Il problema dell'autosufficienza alimentare in parte preoccupa, ma non credo si arriverà ad affamare la popolazione, mentre dovremo stare molto più attenti a ciò che accadrà a livello climatico".
Come si rilancia il settore primario nelle aree marginali e che ruolo possono avere gli agromeccanici in questo processo?
"Nella Pac ci sono proposte volte a valorizzare queste aree e contenerne il fenomeno dell'abbandono, ma gli agricoltori che accetteranno la sfida, magari rivolgendosi a produzioni di nicchia e ad alto valore aggiunto, non potranno fare a meno di rivolgersi agli agromeccanici, a meno di non ricevere contributi tali da permettergli di investire in tecnologie".
Un fenomeno frequente è quello di un'impresa agromeccanica che affitti un terreno e conduca la coltura in proprio…
"Succede spesso ed è all'origine della battaglia che ci hanno fatto le associazioni degli agricoltori. I nostri associati, per svolgere queste attività, hanno sostenuto costi importanti per l'affitto dei terreni, per poi sentirsi tacciare di essere coloro che questi costi li hanno alzati. Quello che non viene preso in considerazione è che quegli stessi terreni sarebbero stati in gran parte lasciati in set aside e improduttivi, mentre i canoni di affitto sono comunque finiti nelle tasche dell'imprenditore agricolo".
Cosa fanno gli agromeccanici per la sostenibilità?
"Il contributo che gli agromeccanici danno è strettamente legato allo sviluppo della tecnologia. Sistemi come la mappatura dei terreni o il precision farming consentono di ottimizzare al massimo l'uso della chimica; le macchine di ultima generazione e la capacità di sfruttarle al meglio degli agromeccanici riducono il consumo di carburanti e la relativa produzione di gas inquinanti. L'importante, comunque, è che i terreni vengano coltivati, perché un terreno trascurato e lasciato a sé stesso è un tassello del pesante degrado ambientale amplificato dal cambiamento climatico e dai fenomeni atmosferici estremi".
L'agricoltura vista con gli occhi dei protagonisti del settore.
Per i 30 anni di Image Line abbiamo voluto dar voce ai principali Istituti, Confederazioni e Associazioni che, dall'agrimeccanica all'agroalimentare, passando per la zootecnia, hanno tracciato il quadro presente e futuro del settore primario