“Sul piano generale è positivo che l’area dell’Unione europea si allarghi e integri territori come la Croazia, rispondendo a criteri generali, come la pacificazione del continente”. Il professor Dario Casati, economista agrario, già prorettore dell’Università di Milano, interviene sull’ampliamento dei confini dell’Ue, che dal prossimo 1° luglio avrà nella grande famiglia comunitaria il 28° Stato.

Tuttavia, seppure l’ingresso della Croazia non dovrebbe causare grandi stravolgimenti in termini di bilancio e di equilibri, Casati invita a non sottovalutare altri risvolti, a partire dall’euro.
“Forse, per il bene della Croazia stessa, il governo di Zagabria dovrebbe accedere all’Eurozona il più tardi possibile. Lo diciamo egoisticamente come italiani, ma per quanto abbiamo visto in questi anni anche nel vantaggio del popolo croato”.
In ogni caso, la nuova frontiera vincolerà la Croazia “ad osservare politiche monetarie e di cambio più stabili, col divieto di operare svalutazioni competitive – prosegue -. Piuttosto, ci saranno vincoli di fluttuazione monetaria che andranno a stabilizzare i rapporti fra Croazia e gli altri Stati dell’Unione europea”.

Sulla carta, comunque, sono maggiori i benefici per Bruxelles, ma in primis per l’Italia. “Dai dati dell’interscambio, già pubblicati da AgroNotizie – analizza Casati – vediamo che l’Italia è il primo partner commerciale della Croazia fin dal 2000, con un interscambio bilaterale che nel 2012 è stato di 4,18 miliardi di euro. In questo siamo più forti anche della Germania (che però dovrebbe essersi già inserita nel business del turismo, che nel Paese dell’ex Jugoslavia non è poca cosa, ndr)”.
Rispetto ai cosiddetti Paesi Peco, che fecero il loro ingresso nell’Unione europea nel 2004/2007, la Croazia sembra avere i conti più in ordine.
E anche l’opinione pubblica dei cittadini europei, che dai sondaggi fatti nell’Ue negli anni apparivano piuttosto rigidi verso nuovi ampliamenti, prima che venissero “digeriti” quelli dell’area dell’ex Patto di Varsavia, sembra mostrarsi meno inflessibile.

L’adesione della Croazia, però, lascia spazio anche a qualche incognita non di poco conto. “Per i piccoli Paesi, normalmente, entrare in Europa è un massacro. Il caso più clamoroso fu l’ingresso della Grecia, nel 1981, che nell’immediato uscì schiantata – ricorda Casati - messa al tappeto dall’industria manifatturiera estera. Fu un colpo così duro per la popolazione ellenica che Spagna e Portogallo trattarono un periodo transitorio molto più lungo. Ma anche in tempo più recenti l’Italia fece i numeri cinesi pur di entrare nell’euro. Insomma, in un momento di crisi come è ora, il gioco potrebbe non valere la candela”.

Sul piano agricolo potrebbe innescarsi qualche competizione, comunque gestibile, con l’Italia. “La Croazia ha un’agricoltura abbastanza importante, ma non di primissimo piano – riconosce Casati -. Potrebbero tuttavia esserci problemi se esportassero prodotti agricoli in Italia, dal momento che si tratta della stessa fascia climatica. Per alcune produzioni, come vino e salumi, la partita potrebbe farsi più accesa, anche se parliamo di una scommessa a lungo termine. E molto dipenderà da come si risolverà questa crisi”.
La parola d’ordine, dunque, pur rimanendo l’allargamento dei confini dell’Unione europea un fattore positivo, rimane “cautela”.

La Turchia. Chissà, uno dei prossimi ingressi potrebbe essere la Turchia, anche perché Ankara ha inoltrato la domanda di adesione fin dal 1987 e nel 2005 sono stati avviati i negoziati per l’ingresso. “Prima o poi sarà un nodo da sciogliere – afferma il professore – e parliamo di un Paese con 80 milioni di abitanti, più altri 5 che vivono in Germania. Servirà prudenza, soprattutto in una fase economica non proprio favorevole”.
Per inciso, “la posizione dell’Italia è sempre stata favorevole all’ingresso della Turchia in Europa, mentre la Francia è contraria. Il peso dell’agricoltura è meno del 10% sul Pil e, fatte le debite proporzioni, tutto sommato è un po’ come l’Italia di 30-40 anni fa”.